Spudorate, ironiche, innovatrici. Sulla scena della stand-up comedy, dominata dai maschi sinora, si fanno largo giovani attrici. Dagli Usa a casa nostra

La nuova generazione di stand-up comedian italiane ha lo sguardo sornione e l’insostenibile leggerezza di Giorgia Fumo. Trentasette anni, nata a Roma e cresciuta in Sardegna, laurea in Ingegneria a Pisa, improvvisatrice teatrale, disinvoltura e snellezza (non è body shaming) da donna in carriera. Per anni ha condotto due vite parallele: digital strategist di giorno, comica di notte. Il suo show “Vita Bassa”, un’ora di special, è dedicato ai Millennial, ed è l’unica italiana ad essere arrivata in semifinale ai “Funny Women Awards” con uno show in inglese. «Quando ero iscritta a Ingegneria, non è che gli altri studenti mi guardassero e dicessero: “Oh, che schifo una femmina. Che schifo le femmine. Io non lo faccio il progetto di tecniche delle costruzioni con una femmina”. Non è mai successa questa cosa. Non le dicono gli uomini queste cose. Le diranno quando diventeranno dei manager!», scandisce l’attrice per scaldare il pubblico in uno dei suoi show su Comedy Central, il canale di Paramount dedicato a intrattenimento e comicità (canale Sky 129 e in streaming su Now). Il palco naturale dei comici italiani.

 

Palco, sgabello, microfono, rigorosamente in piedi. Basta partecipare a una serata in un club qualsiasi – per esempio “Rido Poco” a Largo Venue, nel quartiere Pigneto di Roma – per rendersi conto che oggi gli ingredienti della stand-up comedy sono gli stessi dell’epoca dei pionieri: frasi spudorate, corrosive ai limiti del politicamente corretto, parolacce, battute a volte riuscite a volte meno, un pubblico sempre attento, soprattutto nei piccoli teatri di Roma e Milano. In platea tanti giovani, pronti a sbellicarsi dalle risate assieme a spettatori di altre età, con i social a fare da cassa di risonanza, in primis TikTok e Instagram. Di follower Giorgia Fumo ne conta quasi 200 mila: «TikTok è l’ultimo baluardo di innovazione comunicativa al quale la mia generazione si aggancia. Poi saremo troppo stanchi e imbarazzanti per gli strumenti che verranno dopo e ci ritireremo».

Il caso di Fumo non è isolato. Sono Valeria Angione, Laura Formenti, Aurora Leone, Alice Mangione le nuove comiche venti-trentenni che stanno conquistando la scena – sui social, in tv, dal vivo anche in questa torrida estate italiana, perfino nelle conferenze TedX in giro per il mondo – finora occupata dai colleghi maschi. Il più famoso è Luca Ravenna, nato a Milano ma romano di adozione, che nei suoi sketch gioca molto con i riferimenti autobiografici. Ma il parterre è affollato: Saverio Raimondo, Stefano Rapone, Edoardo Ferrario, Valerio Lundini, solo per citarne alcuni.

Sul palco le donne si contavano sulle dita di una mano fino a qualche anno fa, fra tutte Michela Giraud, classe 1987, romana di Roma Nord, che molti ricordano in “Lol – Chi ride è fuori” (Prime video) e adesso aspettano in un nuovo show nel 2024 e nel suo primo film da regista, “Flaminia” il titolo provvisorio, ora in lavorazione: al centro i temi del corpo e degli odiatori da tastiera. «Una cosa che ho capito dopo essere tornata single è che voglio stare da sola, completamente. Invece le mie amiche non lo capiscono: mi devono piazzare. Mi devono accoppiare, come se fossi un amico gay», ironizza Giraud in uno dei suoi sketch.

Le nuove comiche professano un femminismo inedito, rivendicato attraverso freddure, boutade, citazioni. «Dalle donne ci si aspetta che ridano alle battute degli uomini, non che facciano ridere. Per questo nessuno si aspetta mai una donna sul palco della stand-up. Ora le cose stanno cambiando per fortuna», chiosa Fumo.

«Tradizionalmente, il mondo della stand-up comedy è sempre stato un “boys club”: battute intrise di sesso, cattiva condotta e tutto quello che non si può dire», afferma Giulio D’Antona, esperto del settore, appassionato di cultura americana e autore di “Stand-up comedy” (Einaudi Stile libero), la prima antologia italiana sul pianeta dei comici. Tutto è cambiato prima con Sarah Silverman, caustica e irriverente, poi con Hannah Gadsby, comica australiana che parla apertamente di omosessualità, misoginia, salute mentale. E con Tig Notaro, americana del Mississippi, campionessa dell’umorismo «deadpan», impassibile e anaffettivo. «Negli ultimi anni la comicità è diventata uno strumento per affermare qualcosa. Vale per le donne, per gli esponenti della comunità Lgbt e di altri gruppi sociali sottorappresentati», aggiunge D’Antona. Le parolacce, inoltre, non sono più indispensabili per imbastire uno spettacolo: «A un certo punto sembrava che bestemmie, droga e sesso fossero fondamentali. E invece no». Secondo lo scrittore, negli ultimi anni si è perso lo spirito artigianale degli esordi, la carica underground ha ceduto il passo alle lusinghe dei riflettori: «È stata la pandemia a fare da spartiacque, non c’è più il ricambio di una volta. Molti locali hanno chiuso e i grandi nomi si sono consolidati, quelli che fanno numeri importanti in tv».

A tirare la volata è stata “La fantastica signora Maisel” (Prime Video), serie tv statunitense pluripremiata, ambientata tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, molto seguita anche in Italia. Protagonista Miriam Maisel, una casalinga della borghesia ebraica newyorchese che, dopo essere stata lasciata dal marito Joel, entra per caso nell’ambiente della stand-up comedy: improvvisa un’esibizione al Gaslight Cafe di New York, in cui esibisce il seno nudo e viene arrestata. L’inizio di un lungo viaggio costellato dal successo, che tra le altre cose rilancia con ironia la questione femminile. «La comicità è alimentata dall’oppressione, dalla mancanza di potere, dalla tristezza e dalla delusione, dall’abbandono e dall’umiliazione. Ora, chi diavolo descrive meglio questo fenomeno di una donna? Giudicando con questi standard, solo le donne dovrebbero essere divertenti». Il monologo di Mrs. Maisel suona come il manifesto di una svolta epocale, il tempo delle comiche al potere. Fiumi di parole, sparate a raffica, in cui si mescolano sesso, relazioni difficili, salute, lavoro.

Si muove in questa terra di confine Laura Formenti, uno dei volti fissi di Comedy Central. Nata in provincia di Pavia, abita a Milano da diversi anni, ma deve parte del suo successo a una romana. Infatti, è stata Serena Dandini a scoprirla, dopo aver visto il suo monologo a Italia’s Got Talent 2021, “Io se fossi un uomo”, che spopola anche sui social. «Mi piacerebbe un giorno svegliarmi ed essere un uomo. Provare l’ebbrezza di aver torto. A me non capita mai», esordisce Formenti. «Serena mi ha chiamato mentre mi trovavo in treno, aveva visto il monologo. Mi sono emozionata perché a casa mia è sempre stata un mito. Mi ha stupito che cercasse nuovi talenti per il suo spettacolo», dice la comica. E così Laura entrata a far parte del cast di “Vieni avanti, cretina”, questo il titolo dello show, «una rivendicazione della cretineria femminile. Le donne devono sempre dimostrare di essere intelligenti e non solo belle. Ecco, noi rivendichiamo il diritto delle donne a essere cretine!».

È il sesso una delle leve su cui molte stand-up comedian puntano per conquistare il pubblico. «È diverso il sesso tra uomini e donne. Non è una questione di parità. È fisicamente diverso», recita uno dei monologhi di Formenti: «Gli uomini hanno delle sensazioni diverse. Io non le proverò mai. Da single, anche io vorrei scegliere tra cinquanta diverse categorie di YouPorn. Dovrebbero farle anche per le donne, che so: addominalato, pancetta, stempiatino, piastrellista, ingegnere, Alberto Angela. Sarei sempre lì a cliccare, io, su Alberto Angela». Ora l’attrice è in tour con il suo spettacolo “Tranquilli, poi vi spiego” e, come tutti i colleghi, si pone la questione dei limiti del politicamente corretto. Fino a dove si può spingere un comico? Esistono tabù che non possono essere infranti? «Il compito di un comico è surfare tra le regole. Decidere quali trasgredire, prendersi la responsabilità di farlo. Mi piace spostare i confini, ma, per esempio, non ho mai preso di mira le minoranze», conclude Formenti.

A volte sono i social, con le loro dinamiche legate al consenso, a determinare i temi affrontati dagli stand-up comedian. E spingono a scelte solo per inseguire i like. «Preferisco lasciar stare alcuni argomenti per non risultare ridicola o forzata», dice Valeria Angione, cresciuta a Napoli, laurea in Economia e Commercio, ben 800 mila follower su Instagram e un libro all’attivo, “Riparti da Te(cna)” (Mondadori Electa). Si è fatta largo nel mondo del Web raccontando la propria quotidianità di studentessa, oggi è uno dei volti più in voga della nuova scena, sempre presente su Comedy Central. «A volte un tema, il razzismo o l’omosessualità, può diventare virale. Bisogna stare attenti a rispettare i limiti e a non degenerare nella cattiveria, per non risultare inopportuna», afferma l’attrice. Le sue radici affondano nella tradizione della comicità partenopea, soprattutto nel teatro – Massimo Troisi ed Eduardo De Filippo di “Natale in casa Cupiello”, fra tutti – ma anche nello squadrone di “Mai dire Gol” e Aldo, Giovanni e Giacomo. Al centro, in molti casi, ci sono le vicissitudini e i tic della sua generazione. E le nuove professioni. «Non è così semplice, come si potrebbe pensare, la vita di noi influencer. Voi non potete neanche immaginare la difficoltà di aprire un pacco con una sola mano, mentre devi filmarla con il telefono nell’altra. Provateci, non c’è nessun corso di laurea che te lo insegni. Devi imparare sul campo. Farti le ossa. E poi, noi influencer facciamo una cosa che i giovani non vogliono più fare: guadagnare. Siamo rimasti solo noi. E l’Enel».