Il caso di Frederick Akwasi Adofo, il senza tetto pestato a morte a Pomigliano D’Arco, porta a chiedersi ancora una volta dove sia lo Stato

Non si stava meglio quando si stava peggio, il mondo di oggi non è peggio di quello di ieri; una cosa però è certa: ci evolviamo, ma non impariamo dagli errori. Un senzatetto viene massacrato da due ragazzini a Pomigliano D’Arco. Degrado, toni di lutto misti a condanna, ma scrive bene Gianluca Nicoletti su La Stampa: quell’uomo era già stato aggredito e cosa altro sarebbe dovuto succedere lasciandolo ai margini?

 

Raccontare la favoletta del mendicante felice e amato da tutti, quando le istituzioni permettevano che vivesse di stenti in mezzo alla strada, è fargli un altro torto. Non sto parlando dei suoi assassini materiali, ma di tutti quegli osservatori silenziosi che avrebbero potuto far qualcosa per lui e non l’hanno fatta. Servizi sociali, Comune, medici, politici… Dov’è lo Stato? Non ci sono le strutture per ospitare un uomo, non ci sono i fondi per mantenerlo, non c’è niente se non quei due spicci regalati dalla signora che passava di fronte al suo giaciglio? Tanto, fino a che non succede un polverone nazionale, tutto è lecito.

 

Chi è che deve occuparsi di noi mentre cerchiamo di fare le nostre vite ed essere dei buoni cittadini? Lo Stato, considerato da tutti come il grande assente, l’uomo nero che si chiama in causa con i bambini per terrorizzarli: nessuno lo ha mai visto, ma il nome non promette niente di buono.

 

Se parli dello Stato in mezzo a una strada, a un bar, se fai un breve sondaggio tra i tuoi simili, sarà semplice auscultare la pancia del Paese. Le parole chiave del brontolio saranno: tasse, multe, assenza. Esiste uno Stato in kermesse continua, uno Stato di volti seri di presidenti e politici in tv, di servizi al telegiornale, di lanci di notizie. Uno Stato, diciamo, mediatico. Ma per la gente che aspetta mesi per una visita medica, per una sentenza nei palazzi di giustizia, che cosa è lo Stato?

 

Lo Stato incombe su di noi in una forma di iper-oggetto burocratico, un’entità kafkiana talmente ben congegnata da essere indistruttibile. La prova è quando il vigile fa la multa e non la può strappare, perché ormai «è scritta». I ricchi cercano di pagare professionisti esperti che li salvino dallo Stato il più possibile, i poveri sono vessati come dei bancomat umani per dei servizi scarsi che poi forse otterranno (vedi gli alluvionati, quelli in lista d’attesa per lo psicologo o per un intervento, quelli che non avranno mai la pensione, ecc.).

 

Lo Stato – con tutto il rispetto per i tanti valorosi servitori che pure ha e che lottano anch’essi contro una parte di colleghi e superiori, a favore della decenza – è un sacco di ometti dietro il banco di un ufficio che chiude in pausa pranzo (e tu quando mai dovresti andarci, visto che lavori tutti i giorni per pagare le tasse?) e venerdì e sabato fa festa. I centri commerciali sono aperti anche le domeniche, le cure per mia madre in ospedale no. È strano.

 

Lo Stato sono gli insegnanti che provano a promuovere con nove in condotta studenti che hanno sparato i pallini in faccia alla professoressa (serve l’intervento del ministro dell’Istruzione per fermarli). Perché va bene lo sputtanamento mediatico, ma poi chi li sente i genitori che fanno ricorso, che ci tocca riaprire tutti i verbali dell’anno, magari mettere a nudo le nostre omissioni? Tanta modernità per far vigere poi la legge della giungla, in cui ognuno si salva da solo, pure dallo Stato.