Dopo l’omicidio della giornalista e le dimissioni di Muscat, a Malta poco è cambiato. Tra giudici sotto controllo, stampa intimidita e neanche un politico processato per corruzione

L’ultima volta che hanno minacciato di fargli del male era il 2 marzo scorso. Un uomo ha scritto su Facebook che, se lui avesse protestato sotto casa sua, gli avrebbe gettato addosso una bottiglia di acido. Robert Aquilina, allora, aveva appena terminato un sit-in sotto l’ufficio dell’ex premier di Malta, Joseph Muscat. «L’abbiamo organizzato dopo che il tribunale aveva dichiarato fraudolenti gli accordi siglati dal suo governo per privatizzare tre ospedali dell’isola», racconta a L’Espresso, aggiungendo: «Qui funziona così. Chi denuncia la corruzione viene attaccato e accusato dai politici di essere un traditore».

 

Notaio di professione, Aquilina è il presidente di Repubblika, un’organizzazione non governativa fondata a Malta nel 2019 per contrastare la corruzione. Oggi parla di un Paese in stallo, dove la situazione non è migliorata di molto negli ultimi anni, nonostante gli scandali che hanno ripetutamente travolto la classe dirigente dell’ex colonia britannica. E nonostante l’assassinio di Daphne Caruana Galizia, la giornalista d’inchiesta uccisa da un’autobomba il 16 ottobre del 2017. «In Europa, Malta detiene un primato – spiega Aquilina – nessun politico è mai stato processato, né tantomeno condannato, per corruzione. Nessuna delle storie raccontate da Caruana Galizia ha avuto giustizia. Un esempio? Daphne è stata la prima a denunciare la privatizzazione dei nostri ospedali. Il tribunale civile le ha dato ragione, ma i politici che hanno firmato quei contratti non sono stati ancora perseguiti. La polizia non indaga per motivi d’interesse».

 

A poco sono servite le dimissioni di Muscat, che nel 2020 ha lasciato sia la presidenza del Consiglio sia la guida del partito laburista a causa delle pressioni scatenate dalla sua vicinanza al presunto mandante dell’omicidio di Daphne, il magnate Yorgen Fenech. «Il nuovo premier, Robert Abela, deve la sua carriera al predecessore, che continua a esercitare il suo potere d’influenza all’interno del partito. Abela, dal canto suo, non rilascia interviste a media indipendenti, si sente libero di attaccare in modo aperto la società civile che lo critica, legittimando un clima d’odio, ma soprattutto si rifiuta di attuare le riforme richieste dalla commissione d’inchiesta indipendente nata per fare luce sulla morte di Caruana Galizia», continua il presidente di Repubblika.

 

La commissione, istituita nel 2019 dopo una risoluzione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nel 2021 era arrivata alla conclusione che lo Stato di Malta è responsabile della morte della giornalista per aver «creato un clima di impunità», indicando delle misure necessarie, come l’adozione di una legislazione antimafia. «Il governo si oppone, affermando che una legge del genere darebbe l’idea di un’isola mafiosa, quando Malta non lo è: un’assurdità», ribatte Aquilina. Che precisa: «L’unica raccomandazione che hanno iniziato a implementare è stata la fondazione di una commissione di esperti sul giornalismo. Il suo lavoro, però, è ignorato dal governo e alcuni componenti sono discutibili».

 

Seduto sul divano di casa, Aquilina ricorda che ha deciso di creare Repubblika dopo la morte di Daphne, con l’obiettivo di colmare le lacune che rendono i politici non responsabili del loro operato davanti ai cittadini. Un’attività che l’ha reso bersaglio di ripetute intimidazioni. «Siamo molto preoccupati per la sicurezza di Aquilina e della sua famiglia», si legge in una lettera sottoscritta, tra gli altri, dalla Federazione europea dei giornalisti. L’appello supporta la richiesta, avanzata dal suo stesso avvocato, di dotare l’attivista di una scorta.

 

Ma lui non si ferma. Ha appena pubblicato un libro dal titolo “Pilatus: a laundromat bank in Europe”, in cui ricostruisce la vicenda della Pilatus bank, una banca aperta a Malta nel 2013 e chiusa nel 2018, dopo la revoca della licenza da parte della Banca centrale europea. L’istituto finanziario, di proprietà di un uomo d’affari iraniano, è finito sotto accusa per riciclaggio di denaro, ma le autorità dell’isola hanno scelto di non perseguirne i dirigenti. Una storia che, secondo Aquilina, rappresenta il modus operandi dei vertici istituzionali maltesi: «Pilatus bank era usata dalle élite di Azerbaijan e Iran per riciclare contante sporco, ingannando le istituzioni europee e statunitensi. La scelta di Malta come propria sede, del resto, non è stata casuale, ma dettata dalla constatazione che le istituzioni locali erano deboli. E lo sono ancora».

 

Qualche passo in avanti è stato fatto con una riforma legislativa che ha azzerato il ruolo del governo nella nomina delle cariche giudiziarie, rafforzando l’indipendenza della magistratura. Ma «prima di dimettersi, l’ex premier ha messo nella commissione che ha il compito di vigilare sui giudici il proprio legale, tuttora in carica. Un grave problema per i magistrati che dovrebbero perseguire Muscat e i suoi collaboratori».

 

L’Europa – accusa ancora Aquilina – per tanti anni «ha chiuso gli occhi» perché «faceva comodo avere all’interno dell’Unione Stati come Malta o Cipro». Il regime fiscale più morbido ha reso l’isola la base perfetta per molte società off-shore, cioè con sede legale in una nazione diversa da quella in cui fanno affari. Un altro nodo irrisolto è la vendita del passaporto maltese, e quindi europeo, in cambio di investimenti economici nel Paese. Sistema che negli anni ha aperto le porte d’Europa a russi e cinesi. «Anche se la concessione della cittadinanza è materia di competenza nazionale, l’Unione può fare di più per arginare il fenomeno», prosegue l’attivista.

Secondo lui, però, il sistema che va in primo luogo scardinato è insito nella società maltese: «La corruzione ai vertici istituzionali è inaccettabile, ma è quella mentalità che la giustifica, e che permea ogni aspetto della vita quotidiana, la prima a dover essere debellata.