Zelensky annuncia che le sue truppe riconquistano terreno occupato dai russi. Secondo Mosca, invece, sono impantanate. Per entrambe le parti questa fase ha valore strategico. Ma se nessuno dei due schieramenti riuscisse a prevalere, si profilerebbe il congelamento dei fronti

Per mesi abbiamo sentito parlare della controffensiva ucraina e adesso che è iniziata si fatica a comprenderne lo sviluppo. Le truppe di Kiev avanzano «posizione per posizione, passo dopo passo», come ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelensky, oppure sono impantanate e stanno subendo «perdite enormi» di uomini e mezzi come sostiene Mosca?

Non è facile rispondere a questa domanda, anche perché in alcuni contesti un’affermazione potrebbe non escludere l’altra. Partiamo da un punto: nonostante l’ottimismo degli alleati, è già evidente che la manovra attuale non assomiglierà alla cavalcata trionfale dello scorso autunno che ha permesso alle forze ucraine di riconquistare l’intera regione di Kharkiv, parte del Donetsk e Kherson ovest.

Le truppe russe hanno trascorso gli ultimi mesi a costruire trincee e linee di difesa fortificate con denti di drago e campi minati, soprattutto nel Sud. La maggior parte degli analisti è concorde nel giudicare queste fortificazioni resistenti e difficili da penetrare e, infatti, per ora l’esercito ucraino non è riuscito a sfondare. Ma siamo ancora lontani dal culmine dell’operazione, che potrebbe durare mesi, e una valutazione in tal senso è prematura. Del resto, è chiaro che questa fase delle ostilità segnerà l’evoluzione del conflitto non solo tra i due belligeranti, ma anche rispetto all’approccio internazionale.

Sul campo si sono delineati due settori principali di attività, nel Sud e nell’Est. Il fronte meridionale abbraccia una porzione di territorio vastissima, dalle sponde orientali del fiume Dnipro fino al Mar d’Azov. A metà circa di questo territorio occupato si trova Melitopol, secondo molti analisti l’obiettivo principale di Kiev. Riconquistarla significherebbe riuscire a spezzare in due il controllo russo sulla costa orientale del Mar Nero e isolare Kherson est, da cui partono bombardamenti costanti verso i territori controllati dagli ucraini. Inoltre, taglierebbe fuori la Crimea dai rifornimenti che attualmente arrivano via terra a causa del danneggiamento del ponte di Kerch.

Poco più a Nord, l’attentato alla diga di Nova Kakhovka sembra aver allontanato la possibilità di scontri feroci tra una sponda e l’altra del Dnipro e i due comandi avrebbero già riposizionato i reparti. Ora gli scontri principali si svolgono nella regione di Zaporizhzhia, a Sud dell’omonimo capoluogo del distretto, tra Orikhiv e Guliaipole. Fonti russe hanno ammesso che gli ucraini in quest’area sono riusciti a riconquistare qualche chilometro di terreno, senza tuttavia aver acquisito nuove posizioni strategiche significative.

Qui potrebbero trovarsi alcuni reparti delle divisioni di soldati ucraini (tra i 60 e i 70 mila uomini) che negli ultimi mesi si sono addestrati nei Paesi Nato. Sono loro l’asso nella manica di Kiev, assieme alle nuovissime armi e ai mezzi ricevuti negli ultimi pacchetti di forniture belliche. Dove sono, ufficialmente, non si sa. Ma le notizie, diffuse dalla Difesa russa, sulla distruzione di almeno 16 mezzi corazzati Bradley (un blindato di ultima generazione prodotto negli Usa che permette di trasportare fino a dieci uomini al fronte e offre copertura di fuoco anche contro i carri armati) a Sud di Orikhiv danno degli indizi importanti.

D’altronde, la direttrice meridionale non è l’unica possibilità ucraina. La viceministra della Difesa, Hanna Malyar, quasi quotidianamente scrive brevi report che indicano la quantità di terreno riconquistato dai suoi soldati, soprattutto sui fianchi di Bakhmut. In quell’area il tentativo abbastanza evidente è quello di chiudere la città e lasciare i soldati russi senza rifornimenti in modo da costringerli alla ritirata. Ma, pur considerando il valore simbolico che la cittadina ha assunto negli ultimi mesi (di sicuro un’eventuale ritirata russa avrebbe un’eco mediatica straordinaria), il risultato strategico di tale operazione non sarebbe altrettanto rilevante. Nelle vicinanze di Bakhmut gli ucraini hanno annunciato la riconquista di diversi villaggi: nulla di significativo dal punto di vista tattico, ma i proclami servono anche a far capire all’estero che la grande manovra è partita.

Intanto, i bombardamenti sulle principali città ucraine continuano. Secondo il Cremlino, l’obiettivo è colpire i centri decisionali dell’esercito, i comandi dell’intelligence e i depositi di mezzi e armamenti; ma a farne le spese, al momento, sono come sempre i civili. L’esercito ucraino è costretto a prendere l’iniziativa, a tentare tutte le strade affinché i massicci invii di armi da parte dell’Occidente diano dei risultati da esibire alle varie opinioni pubbliche nazionali.

Vladimir Putin minaccia di radere al suolo il centro di Kiev, se necessario, ma nel frattempo attende al varco il fallimento delle aspirazioni ucraine per sedersi al tavolo negoziale da una posizione di forza. Inoltre, c’è chi ritiene che resistere alla spinta della controparte potrebbe dare agli uomini del Cremlino un inaspettato vantaggio strategico nel medio termine, infliggendo pesanti perdite agli ucraini e rendendo addirittura possibile un contrattacco dopo l’estate.

Zelensky, di contro, spera di riconquistare più terreno possibile in modo da dimostrare al nemico che un eventuale prolungamento del conflitto non gli sarebbe favorevole. Sullo sfondo si muove lo spettro dello «scenario coreano», ovvero del congelamento dei fronti a causa dell’impossibilità per entrambi gli schieramenti di piegare l’avversario.