La Procura di Padova ha impugnato gli atti di nascita di 33 figli di coppie di sole donne, registrati dal 2017 a oggi, rinforzando così la crociata del governo contro questi nuclei familiari. Ecco cosa succede ora

«La Procura di Padova ha deciso di togliere un genitore legale a minori anche a distanza di sei anni dalla nascita: un atto vergognoso e indegno di un paese civile», Alessia Crocini, Presidente di Famiglie Arcobaleno sintetizza così la decisione della Procura che ha impugnato tutti e 33 gli atti di nascita di figli di coppie di due donne, registrati dal sindaco Sergio Giordani dal 2017 a oggi.

 

Sa di cosa parla, prende le misure, conosce la violenza del Governo Meloni verso le coppie omogenitoriali, qualunque veste assuma. Crocini si sofferma su un dettaglio non di poco conto: «È incredibile che in una città dove per tutti questi anni nessun certificato era stato impugnato, la cosa avvenga a pochi mesi dalla circolare del ministro dell'Interno Piantedosi ai Prefetti. Sarà una casualità?».

 

Del perché proprio ora, a distanza di 6 anni, la Procura che era già in possesso di questi atti, abbia deciso di impugnare questi atti resta materia di fini analisti politici. Postuma, la storia dirà. 

L’Espresso aveva già raccontato a metà marzo della direttiva del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che aveva fatto pressione sulle Procure italiane affinché togliessero diritti e doveri ai figli e ai genitori delle famiglie arcobaleno. Eppure qui la procura si è spinta oltre, o meglio a ritroso nel tempo. «Mentre Carolina Varchi di Fdi, relatrice della proposta di legge contro la gestazione per altri, oggi assicurava in Parlamento che il suo partito ha a cuore tutti i bambini, veniva notificata alle prime mamme di Padova l'impugnazione del certificato di nascita: ipocrisia allo stato puro di un Governo che da quando si è insediato agisce in maniera sistematica per cancellare i diritti dei nostri figli».

 

Gli effetti della decisione
È una questione politica, favorita da un’opportunità giuridica, quella del vuoto legislativo. La giurisprudenza infatti è vaga e una legge non c’è: «Le coppie madri non accedono alla gestazione per altri, ricorrono alla Procreazione medicalmente assistita all’estero». La premessa, fondamentale, è di Stefano Chinotti, Avvocato di Bergamo, membro della Commissione diritti umani del Consiglio Nazionale Forense e socio di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford. Questa decisione, infatti, non ha nulla a che fare con il discusso ddl sul reato universale di gestazione per altri

 

«Se il bambino nasce all’estero la giurisprudenza è ormai pacifica nel dire che il certificato dei nati all’estero con due mamme possono essere trascritti in Italia perché non si tratta di azione contraria all’ordine pubblico (non c’è la Gpa). La questione che si pone è un’altra: è possibile iscrivere nei nostri registri dello Stato civile dei bambini che nascono non all’estero da due donne ma in Italia? Il tema è ancora oggetto di un dibattito giurisprudenziale. Ci sono sentenze della Cassazione che ci dicono che non è possibile ma ci sono anche pronunce di merito che dicono che è possibile».

 

Le notifiche della Procuratrice facente funzioni di Padova Valeria Sanzari somigliano più a una presa di posizione, politica, ripetono dalle opposizioni: «La decisione della procura di Padova di impugnare 33 atti di nascita dal 2017 di bambini con due mamme è crudele e disumana, diretta conseguenza della politica persecutoria del governo contro le famiglie arcobaleno. Questi bambini rimarranno orfani di una madre per decreto» dice, senza mezzi termini, il deputato del Pd Alessandro Zan: «In Italia l'accanimento contro le famiglie arcobaleno inaugurato dal governo Meloni non conosce tregua» sottolinea la deputata del Pd Rachele Scarpa, entrambi padovani. 

 

Il sindaco di Padova, Sergio Giordani, intanto si dice sereno: «Dal 2017 trascrivo gli atti di nascita delle bambine e dei bambini figli di due mamme. È un atto di responsabilità verso questi piccoli perché non accetto il pensiero che ci siano bambini discriminati fin da subito, e appena nascono, nei loro fondamentali diritti».

 

Gli effetti di questa “cancellazione” possono essere diversi, spiega Chinotti: «In una famiglia con due genitori, dove soltanto uno di questi è riconosciuto, la situazione pesa sulle scelte educative e sull’attività di cura. Le faccio un esempio, immaginiamo una coppia di donne in cui la madre biologica ha un impegno lavorativo che la porta all’estero. La figlia rimane per lunghi periodi con la madre sociale e se questa non è riconosciuta l’altra deve munirla di delega per fare qualsiasi cosa: dalle cure mediche all’asilo. La bambina non può neanche espatriare con la madre per andare a trovare quella biologica che si trova all’estero. Per non parlare poi dell’eventualità in cui malauguratamente dovesse accadere qualcosa alla madre riconosciuta. L’altra si troverebbe in balia delle determinazioni dei parenti della prima».

 

Cosa succede adesso? 
La prima notifica della Procura è arrivata a una madre, quarantenne sposata all'estero con la propria compagna, insieme all'atto conseguente dell'udienza fissata dal Tribunale Civile l'11 novembre 2023. A ruota, spiega il capo dell'ufficio giudiziario, arriveranno le notifiche di tutte le altre impugnazioni. Le famiglie arcobaleno saranno messe davanti ad un cambio drastico del proprio stato civile. Anche per loro si aprirà un contenzioso di fronte al Tribunale. La questione potrebbe essere risolta solo da una disposizione di legge, un pensiero magico di fronte al Governo in carica. Resta tuttavia una presa di posizione della Corte Costituzionale, troppo spesso dimenticata che due anni fa, con la sentenza n. 32 del 2021, aveva lanciato un monito al legislatore; regolamentare la situazione dei figli della famiglie arcobaleno. Monito caduto nel vuoto. «A questo punto, dopo il monito, è importante che la Corte costituzionale torni ad occuparsi della questione. La decisione spetta ai giudici del Tribunale di Padova», sottolinea l’avvocato Chinotti: «Aggiungo un'ultima considerazione: si dovrebbe anche stabilire se sia possibile privare dei bambini e delle bambine che hanno acquisito uno status da così tanto tempo della loro attuale condizione giuridica di figli e di figlie». Una considerazione, questa, che attiene al buon senso prima che alla politica.