La sua è una sfida all’opposizione e ai sindacati. Per dimostrare che non incidono sui problemi del lavoro. A perdere sono i lavoratori

Il rilevante incremento della diseguaglianza sta dando origine a una profonda disarticolazione della struttura sociale, generando una massa crescente di lavori precari, a rischio povertà, dovuta alla liberalizzazione del mercato del lavoro, alla segmentazione di processi produttivi e alle esternalizzazioni di attività.

 

Non passa inosservata, inoltre, l’espansione del terzo settore, derivante dalla straordinaria movimentazione delle merci (e-commerce) e dalla crescente diffusione del turismo di massa e la moltiplicazione di forme di lavoro di per sé oggettivamente incapaci a forgiare una “classe”.

 

In questo contesto, in continua evoluzione, si è affermata, con la complicità della politica e la debolezza organica del mondo sindacale, una regolamentazione contrattuale singolare, avente anche forza di legge, che ha prodotto una moltitudine di contratti regolanti rapporti di lavoro diversi, ma nella sostanza simili, che non tiene conto della diversa forza degli attori in campo.

 

Il precariato si è diffuso a dismisura, producendo un vasta categoria di poveri, giovani o meno giovani, che si spacca la schiena lavorando, ma che non è in grado di programmare niente, se non il lavoro che l’aspetta il giorno dopo. Il presente è il loro futuro. Nella Ue a 27 i lavoratori poveri sono il 9%, in Italia il 12%.

 

È in questa situazione che la Presidente Meloni si spende, e giustamente, per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale, senza tuttavia indicare dove reperire le risorse finanziarie, mentre, allo stesso tempo, dichiara di essere contraria al salario minimo determinato per legge, presente e proprio definito con legge negli altri Paesi dell’Eurozona.

 

La differenza tra questi due grandi temi sul tappeto del Governo, ma anche del Parlamento, non è commisurabile. Si tratta di due questioni che ricordano le convergenze parallele di altri tempi.

 

Il taglio strutturale del cuneo fiscale è rivolto a limitare i danni dell’inflazione che persiste, con l’aumento della retribuzione dei lavoratori dipendenti, purché non risultino incapienti fiscalmente, altrimenti non avranno alcun beneficio.

 

Il salario minimo stabilito per legge, da applicare in ogni settore di lavoro ha un’altra precipua finalità. Riguarda la dignità del lavoro. Colpisce lo sfruttamento di milioni di lavoratori sottopagati, a rischio povertà, e alla mercè, molto spesso, del caporalato.

 

Tra l’altro la determinazione per legge del salario minino, a differenza del taglio strutturale del cuneo fiscale, non pone problemi di bilancio pubblico, perché concorrerebbe ad aumentare le entrate fiscali.

 

La dicotomia di atteggiamento della Presidente Meloni ha lo scopo di prendere due piccioni con una fava. Da un lato estendere il consenso in più di 20 milioni di lavoratori più o meno organizzati. Dall’altro lasciare le cose come stanno, lanciando una sfida al mondo sindacale, facendo capire che discutere con i sindacati di grandi problemi diventa inutile, di fronte all’incapacità di risolvere con la contrattazione collettiva la questione del precariato, retribuito da fame. L’opposizione è inesistente nella sostanza in Parlamento e fuori.