Una riunione tempestosa in consiglio mette in luce le difficoltà della giunta a governare un budget da 21 miliardi di euro. L’assessore parla di anarchia nelle Ats, ma le spaccature dentro il centrodestra vanno soltanto a danno dei pazienti

A palazzo Lombardia va in scena la tragicommedia degli equivoci. L’assessore al welfare Guido Bertolaso, nominato nella giunta del Fontana bis dopo essere stato responsabile dell’emergenza Covid dal marzo del 2020, si accorge che le cose non vanno come dovrebbero nella regione che gestisce il più alto budget sanitario d’Italia con 21 miliardi di euro all’anno.

 

«Ogni realtà sanitaria», ha dichiarato l’ex capo della Protezione civile, «gode di un’eccessiva autonomia. L’assessorato al Welfare e la direzione generale hanno sempre dato indicazioni, ma poi ogni realtà ha agito in modo assolutamente autonomo. Qui non si parla di autonomia, ma di anarchia».

 

Le dichiarazioni di Bertolaso fanno seguito a un’interpellanza della consigliera Pd Carmela Rozza e sono state accolte dal plauso del capo dell’opposizione Pierfrancesco Majorino.

 

All’assessore che ha ereditato la poltrona di Letizia Brichetto Moratti e di Giulio Gallera certo non fa difetto l’onestà intellettuale nel descrivere le Ats e le Asst lombarde come satrapie in miniatura dove il management si comporta come se fosse isolato dal resto del sistema. Il risultato è il disastro nei pronto soccorso e nella gestione delle prenotazioni che, anche per la scarsa condivisione di dati, obbligano i pazienti a liste d’attesa lunghissime.

 

Altro elemento di criticità sollevato da Bertolaso è nella mancanza strutturale di medici. I dati presentati dall’assessorato nella discussione a palazzo Lombardia e segnalati dal Corriere della sera evidenziano che su 442 posti disponibili da medico di base sono arrivate appena 48 domande. Per le posizioni da medico specialista soltanto in dodici hanno fatto richiesta su 53 posizioni disponibili.

 

Non si può caricare su Bertolaso la responsabilità del caro-vita che in molti centri urbani della regione, e a Milano soprattutto, rende molto poco appetibile un posto di lavoro. Ma la mancata centralizzazione delle nomine dirigenziali di seconda fascia, delle prenotazioni, delle unità di urgenza presenta una responsabilità politica unica e rara in un paese dove si gioca allo scaricabarile con l’amministrazione o con il governo precedente, purché di diverso orientamento.

 

Bertolaso, un tecnico da sempre schierato con Silvio Berlusconi, sa benissimo che la sanità in Lombardia ha sempre avuto un solo padrone fin dai tempi di Roberto Formigoni: Forza Italia. Nemmeno la pandemia e la sua gestione tutt’altro che ottimale hanno potuto scalzare gli equilibri al vertice tanto che il criticatissimo Gallera, forzista confermato in questa legislatura come consigliere, è stato avvicendato da Brichetto Moratti, anche lei con una lunga vicenda politica nei ranghi berlusconiani prima di tentare la via del Terzo Polo.

 

Le elezioni dell’autunno scorso hanno confermato il salviniano Attilio Fontana, presidente fragile rispetto all’ascesa rampante di Fdi, diventato il primo partito con circa il 28 per cento di voti. Ma Forza Italia, sempre più marginale nei pesi del governo locale, ha mantenuto l’assessorato più importante anche per i legami imprenditoriali di Silvio Berlusconi con il potente mondo della sanità privata.

 

L’indice di Bertolaso appare quindi puntato verso il livello immediatamente al di sotto del vertice dove la Lega ha sempre inserito i suoi uomini. La sparata dell’assessore in consiglio, c’è da scommettere, non resterà senza conseguenze sui delicati equilibri interni alla giunta.