Carenza di posti, turni di lavoro massacranti, scarso rispetto da parte delle istituzioni. Nella regione più colpita dalla pandemia i generalisti pagano il conto della salute privatizzata. E con l’ondata di Omicron 5 rischiano di saltare le ferie

La medicina territoriale è un incubo dal quale molti sono in fuga. Orari infiniti, mancanza di personale, incombenze burocratiche deliranti hanno colpito la prima rete di sicurezza della sanità. Il danno maggiore è stato in Lombardia che è la regione più colpita dalla pandemia ma anche la più ricca d’Italia. Gli oltre dieci milioni di residenti, se possono pagare, dispongono di strutture private che hanno fatto concorrenza poco leale agli ospedali pubblici e che offrono ben altre opportunità di guadagno rispetto alla convenzione di cui godono i medici di base, liberi professionisti senza ferie pagate, senza malattia e, a maggior ragione, senza previdenza infortunistica.

 

Già in difficoltà quando devono trovare i sostituti, che pagano di tasca propria, in Lombardia molti dottori di medicina generale rischiano di passare l’estate in ambulatorio dopo avere tentato senza grande successo di lanciare il movimento Coccarde gialle. Lo sciopero di sabato 26 marzo con 500 partecipanti, non pochi rispetto al numero dei medici di base, e il corteo fra la stazione Centrale di Milano e il Pirellone, non ha avuto molto seguito. Il movimento langue sui social con 3.187 follower su Facebook e un ultimo post Instagram dei primi di giugno. È una foto del Siss, il sistema informatico socio-sanitario della regione che registra le attività di ogni medico. In un mese il dottore coccarda gialla autore del post ha fatto segnare 1.422 accessi al sistema con 2.157 accertamenti. Tutto poco compatibile con le 38 ore settimanali del contratto.

 

Anche i dati generali non lasciano dubbi. Secondo l’agenzia statistica regionale (Asr), che peraltro riporta cifre aggiornate al 25 marzo 2021, la Lombardia ha un medico di base per ogni 1.614 abitanti. Ogni medico ha 1.389 assistiti. La media nazionale è di un medico ogni 1407 abitanti con 1.212 assistiti. Soltanto la provincia autonoma di Bolzano, caratterizzata da un territorio molto meno accessibile, fa peggio con un medico ogni 1.905 abitanti e 1.583 assistiti per medico.

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Alla fine del 2021 si contavano in Lombardia 5.919 medici di base, di cui 5.496 titolari e 423 provvisori, con una carenza di personale valutata fra il 10 e il 15 per cento destinata a un peggioramento verticale nel prossimo quinquennio quando 2.465 medici del territorio, quasi la metà di quelli attivi oggi, raggiungeranno l’età pensionabile. Infine, secondo i dati del bollettino regionale dello scorso marzo, mancano 1.166 fra medici e pediatri.

 

Anche se sulle cifre non c’è discussione, le possibilità di scaricabarile politico rimangono intatte. «La carenza di medici di famiglia», ha detto la vicepresidente e assessore al welfare lombardo Letizia Brichetto Moratti, «è un problema nazionale che si trascina da anni. La questione verrà risolta solo quando il nostro sistema sarà capace di formare in numero sufficiente il personale necessario. Intanto lavoriamo su riorganizzazione dei tempi e dei modi di lavoro, maggiore capacità dei medici di lavorare insieme, rafforzamento della telemedicina e integrazione con la rete delle case di comunità che stanno sorgendo. Stiamo lavorando affinché il ministero della Salute accolga le proposte avanzate dalle Regioni».

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Quello che i dati e le dichiarazioni ufficiali non raccontano lo raccontano le storie raccolte da L’Espresso. Sono anni che la Lombardia corre a tappare i buchi importando medici dal Mezzogiorno, dall’Europa dell’Est e prossimamente dall’Ucraina. I risultati non sempre sono stati all’altezza.

 

«In Calabria o in Sicilia è più difficile prendere una convenzione di medicina generale», racconta una dottoressa partita dal Sud per l’avventura in Lombardia. «A ottobre 2021 ho iniziato a lavorare in Val Seriana, nella zona più colpita dal Covid-19. Sono passata da zero a 1.800 pazienti in brevissimo tempo, perché lì si può sforare il tetto dei 1.500 per mancanza di medici. Il carico burocratico-amministrativo è micidiale. Dovevano inserirmi nella rete intranet e ci hanno messo una settimana. Una settimana di ricette a mano. Ho affittato l’ambulatorio del medico andato in pensione. Con lui era a norma. A me hanno mandato un’ispezione e mi hanno minacciato di multa o chiusura perché mancava il termosifone in bagno. A fine gennaio mi sono dimessa ma ritento nel lecchese, un’altra zona molto carente».

 

L’ondata pandemica che ha infierito sulla Lombardia ha dato la mazzata definitiva a un mestiere sotto pressione che gode di cattiva stampa e di un rapporto pessimo con la macchina istituzionale guidata per oltre quattro anni dal forzista Giulio Gallera, fino alla sostituzione con l’altra azzurra Brichetto Moratti, aspirante alla poltrona di Fontana nel 2023, perché in politica comanderà anche la Lega del presidente Attilio Fontana ma la sanità resta saldamente in mano agli uomini del Cavaliere. I soldi sono lì e sono sempre di più grazie alla quota di circa un sesto della spesa sanitaria nazionale, proporzionale agli abitanti, di cui la Lombardia gode. Oltre ai 124 miliardi complessivi di budget 2022 c’è la missione 6 del Pnrr, dedicata agli investimenti sanitari da qui al 2026 per 18,5 miliardi di euro. La missione 6 ha destinato 8,043 miliardi alla riqualificazione della medicina territoriale con il decreto del ministro Roberto Speranza. Alla Lombardia, tra Pnrr e fondo complementare, andranno 1,24 miliardi di euro da destinare alle nuove strutture della sanità territoriale.

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L’investimento più dispendioso, con 3 miliardi di euro da distribuire in tutta Italia, riguarda 1.350 case di comunità (cdc) e 400 ospedali di comunità (odc). Sono soluzioni concepite per tappare i buchi lasciati da anni di chiusure di ospedali. Le case di comunità, in effetti, seguono la falsariga delle case della salute create per decreto dal ministro Livia Turco nel 2007. Si spera con migliore fortuna visto il sostanziale fallimento del tentativo introdotto quindici anni fa dal governo Prodi.

 

Su missione 6 la Lombardia è stata fra le ultime a partire. Oggi il sito della Regione, aggiornato a febbraio 2022, annuncia l’apertura di 216 case di comunità e 71 ospedali di territorio entro la fine del 2024. Poco più di un anno fa non esisteva niente. A fine aprile 2022 c’erano quindici strutture aperte. In due mesi ne sono arrivate altre undici, divise fra venti case di comunità e sei ospedali leggeri. La distribuzione geografica è ancora abbastanza casuale con aree di forte concentrazione nel corridoio Milano-Como-Varese, che è già ben attrezzato di ospedali tradizionali, sia pure anche quelli in difficoltà di staff. I centri urbani di Leno (Brescia) e Giussano (Monza-Brianza) hanno una casa e un ospedale di comunità a pochi passi di distanza.

 

Nel capoluogo regionale ci sono due case, una in viale Zara e l’altra nella centrale via Rugabella che dipende dall’Asst Milano nord con sede a Sesto San Giovanni, a una decina di chilometri di distanza, invece che dall’Ats Milano, guidata da Walter Bergamaschi. Persino nella metropoli pochi conoscono l’esistenza delle case della comunità che sono mal spiegate e molto poco frequentate, al contrario delle sale di attesa in pronto soccorso. Non è detto sia un male. I carichi di lavoro ordinari e straordinari stanno tenendo i medici generalisti lontani dalla nuova formula che propone di dividere le 38 ore settimanali in 20 di ambulatorio e 18 nelle cdc o negli odc.

 

«La riforma prevede un distretto ogni centomila abitanti, con due case di comunità», ha dichiarato il consigliere salviniano Emanuele Monti, presidente della commissione sanitaria. «Ognuna ha bisogno di sei o sette medici di medicina generale. A livello territoriale ogni distretto dovrebbe avere ottanta medici di base. Ce ne sono sessantacinque. Quindici di questi devono andare nelle cdc. Sono disponibili a fronte di quello che sarà un aggravio di lavoro?».

 

La replica è di un medico di base. «Fino a dicembre dovevamo fare noi le prenotazioni dei tamponi molecolari. Con quaranta richieste il sistema andava in palla e la rotellina girava per cinque minuti. Io aspettavo dopo cena, quando il carico di richieste si alleggeriva. Hanno risolto a marzo, con i tamponi rapidi. Adesso hanno aggiunto le case di comunità. Ma quando trovo il tempo di andarci se, dopo tre ore di visite in ambulatorio mi trovo novanta fra messaggi e chiamate perse sul cellulare? Il problema è che ci sono pochi laureati con tante opportunità in ospedale dopo trent’anni di selezione assurda. Quando ho studiato a Pavia eravamo in 400 per corso. A chi sceglieva medicina generale la Regione offriva tre anni di specializzazione. Con i test siamo scesi a 200 studenti per corso. Se ne sono accorti adesso e hanno tolto dai questionari le domande di cultura generale. Nel frattempo, la Lombardia ha cambiato modello. Una volta si reggeva sugli ospedali mentre gran parte del Sud aveva i medici di base, stimati e rispettati. Oggi è diventata come il Sud, con la differenza che le istituzioni ci disprezzano e i pazienti ci accusano di ogni nefandezza».

 

Insomma i medici di base sono un po’ come gli operatori del turismo. C’è sempre qualcuno che li accusa di non volersi sacrificare. Ma mentre i balneari lottano per gli indennizzi, i medici di base non hanno questa opportunità e finora nessuno dei morti sul lavoro per Covid-19 è stato riconosciuto come tale. Non è proprio un incentivo alla vigilia della prima ondata estiva segnata dalla variante Omicron 5.