In Germania usano la dinamite. Da noi basta che piova. L’ennesima tragedia mancata per un soffio riporta in evidenza una catena di responsabilità frammentate. E le procure preparano processi destinati a finire nel nulla

Il 7 maggio i tedeschi spendaccioni hanno comprato 150 chili di esplosivo per demolire il ponte Rahmedetal, inaugurato nel 1968 sull’autostrada 45, fra Dortmund e Aschaffenburg.

 

In Italia basta aspettare che piova. Il 3 maggio è caduto così il viadotto Ortiano 2 della statale 177 nel territorio di Longobucco (Cosenza). Una piena del Trionto, un fiumiciattolo rabbioso che scende dalla Sila greca in Calabria diretto verso lo Jonio, ha scalzato un pilastro del ponte ad appoggio isostatico, un’opera che i progettisti definiscono “stupida” perché è di realizzazione semplice, a patto di non piantarla nell’alveo di un corso d’acqua.

 

A fronte dei 55 anni di vita del collega tedesco, l’Ortiano 2 era alla prima infanzia, essendo stato collaudato per l’inaugurazione nove anni fa dopo un iter pluridecennale seguito dal progetto della ss 177, così tipico delle opere pubbliche al Sud. Il committente iniziale è stata la Comunità montana Destra Crati Sila Greca, ente soppresso con decreto regionale nel 2013, quindi un anno prima che fosse tagliato il nastro.

 

Nel 2019, il manufatto è passato sotto la vigilanza dell’Anas che dopo il crollo del viadotto Polcevera progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi è tornata a farsi carico di una rete viaria che era stata devoluta agli enti locali durante gli entusiasmi del cosiddetto “federalismo stradale”, varato nel 1998 a valle della legge Bassanini e destinato a un prevedibile fallimento.

 

Proprio il dirigente dell’Anas Francesco Caporaso ha evitato che il crollo dell’Ortiano 2 avesse un bilancio di vittime. Il capo compartimento della Calabria teneva sotto controllo il viadotto e ha deciso di chiuderlo di fronte all’emergenza meteo. I fatti hanno premiato la sua scelta. Ma è legittimo chiedersi che cosa sarebbe successo se il ponte fosse rimasto in piedi. È probabile che, invece dei complimenti del presidente regionale Roberto Occhiuto, sarebbero arrivate critiche e proteste per eccesso di cautela.

 

Caporaso, 56 anni, è in Anas dal 1996. Nella riorganizzazione delle opere infrastrutturali attraverso i commissari dettata dal governo Conte bis, l’ingegnere laureato con lode alla Federico II di Napoli ha ottenuto il coordinamento della statale 182, la trasversale delle Serre, sempre in Calabria, per 512 milioni di euro. I suoi colleghi a Roma riferiscono che una sua telefonata porta via non meno di mezz’ora finché ogni questione viene esposta nei minimi particolari.

 

Dopo il crollo del viadotto la procura di Castrovillari ha aperto un’inchiesta, una delle tante che finiscono presto fuori dai radar delle cronache quando non ci sono vittime. Oltre alle informazioni che fornirà Caporaso, i periti stanno lavorando intorno alla pila che ha messo fuori asse l’impalcato, forse per un difetto nei pali di fondazione. La magistratura sta setacciando gli appalti dei consorzi di costruzione, che vedono in prima fila imprese del Nord di una certa notorietà come la vicentina Maltauro, commissariata dall’Anac di Raffaele Cantone nel 2014 a seguito delle inchieste giudiziarie sull’Expo milanese del 2015 e capofila del consorzio che si è aggiudicato i lavori.

 

Poi bisognerà verificare la trafila dell’opera nelle sue innumerevoli fasi. Si parte dal progetto preliminare che andava discusso con l’autorità di bacino e il genio civile. Segue il progetto definitivo, poi quello esecutivo, poi la validazione secondo il codice degli appalti, l’affidamento alle imprese che va approvato in consiglio di amministrazione dall’Anas. A quel punto si nomina un direttore dei lavori, un responsabile unico del progetto che verifica le opere per conto del committente fino ai due collaudi, quello tecnico-amministrativo e quello statico, per finire con la dichiarazione di agibilità.

Il paradosso della moltiplicazione delle fasi, concepita per aumentare la sicurezza dell’infrastruttura, è che le responsabilità vengono frammentate all’infinito.

 

Con ruoli così confusi, quando un appalto finisce in tribunale, la prescrizione è più di una possibilità. È già andata così al processo per il crollo del viadotto Himera sulla Palermo-Catania nel 2015, prescritto all’inizio del 2023 dopo che in primo grado c’erano state due condanne e tre assoluzioni. Stessa sorte ha avuto la vicenda del viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento, crollato pochi giorni dopo l’inaugurazione in pompa magna alla vigilia del Natale 2014.

 

A scanso di equivoci, non è una questione solo meridionale. Anche per il crollo del viadotto a Fossano (Cuneo) nell’aprile del 2017, dove si procede per disastro colposo dei costruttori e omesso controllo da parte dell’Anas, si inizierà l’istruttoria dibattimentale il prossimo 27 giugno con la deposizione dei due carabinieri che si sono salvati per un miracolo mentre la loro auto di servizio veniva schiacciata dalle macerie.

 

Mentre i processi vanno avanti, in una chat fra progettisti circola una previsione desolata. «Ora faranno il decreto Longobucco aggiungendo un altro livello di controllo che nessuno attuerà nella sostanza, solo check list e lavoro ai giovani che devono imparare perché ancora non sanno e consulenze ai professori universitari che conoscono la teoria e non la pratica. In fondo fare l'ingegnere è già un pessimo affare, perché correre tanti rischi?».