Una donna e un bambino senza passato e neppure futuro. Nel nuovo romanzo dello scrittore spagnolo la lotta è per la sopravvivenza di ciò che ci rende umani

Da quando Cormac McCarthy ha preso un uomo e il suo bambino e li ha abbandonati, con un carrello pieno del poco rimasto, lungo “La strada” americana, a fare i conti con un’apocalisse nucleare, è impossibile leggere storie come “Fumo” di José Ovejero (Voland, traduzione di Bruno Arpaia) senza cercare assonanze.

 

Qui siamo anche dalle parti di “Anna” di Niccolò Ammaniti, dove una ostinata e coraggiosa tredicenne va alla ricerca di un fratellino sparito, tra campi inariditi e una misteriosa epidemia che fa strage solo di adulti. E la Fine è anche lo spazio e il tempo nel quale sono immersi madre e figlio nello struggente romanzo di Manon Steffan Ros “Il libro blu di Nebo”. Ovejero, con quel cinismo e disincanto già in azione nei romanzi precedenti, da “Insurrezione” a “La seduzione”, ma anche con quei lampi di tenerezza che accarezzano a sorpresa, si spinge più in là, sbalzando in un nuovo Paleolitico i suoi protagonisti, umani e non – una donna, un bambino, un gatto, un fucile, una miserabile baracca. E affidando loro interrogativi cruciali: cos’è una famiglia? Cosa ci fa felici? Quanto siamo in grado di resistere a fame, freddo, solitudine? E cosa ci rende ancora umani, quando il mondo è sferzato dal gelo, nei campi restano solo bacche ammuffite, la violenza maschile è accettata come l’unico calore possibile e zombie e fiere sono pronti a colpire? Nello spaventoso mondo “in fumo” in cui Ovejero incapsula i suoi personaggi, non ci sono legami di sangue (“conviviamo, in silenzio per la maggior parte del tempo. Facciamo ciò che dobbiamo fare, senza giustificarci. Senza mentire. Non riesco a immaginare una famiglia migliore”).

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Rare sono le tracce superstiti di civiltà. Poche le possibilità di sopravvivere. Ma una certezza resiste, nella protagonista e in noi che ne seguiamo la lotta: che le parole siano, sempre, la nostra difesa. Che nominare le cose è il potere: “e non dico di essere Dio che crea dal nulla”. Perché il Logos è qui, e serve alla vita. Evitando termini di un mondo svanito - pc, app, cellulari - e scovando alleati nella natura - ginestra, quercia, more, e pure quel fiore azzurrino che cresce rasente alla terra - puoi provare a distrarre la morte.

 

FUMO
José Ovejero
Voland, pp. 135, € 17