Le nuove generazioni hanno un compito importante: superare la liturgia costruita dagli adulti e onorare davvero il senso del 25 aprile. Leggendo, indignandosi, dicendo no di fronte alla violazione e negazione dei diritti

Care ragazze e cari ragazzi che siete sommersi dalla liturgia del 25 aprile, qui si fida in voi per resistere davvero, che è l’unico modo per onorare fino in fondo la Resistenza in tempi in cui soffiano venti così tristi da far singhiozzare lo spettro di Baruch Spinoza. Non credo ci sia bisogno di descrivere i tempi medesimi o di ricordarvi gli attacchi all’Anpi che si sono susseguiti negli ultimi tempi e che molti, in questo 25 aprile, avranno già dimenticato, perché da ultimo si dimentica sempre più in fretta (a proposito: un altro buon modo per trasformare la liturgia in qualcosa di meno retorico è cominciare col prendere la tessera dell’Anpi).

Magari possiamo ricordare soltanto che l’onda lunghissima della rivalutazione del fascismo non è certo di oggi, ma anzi viene da lontano: si era ancora nel secolo scorso e già si ripeteva che, a ben vedere, il fascismo non solo aveva governato con grande consenso di popolo, ma aveva portato nel nostro Paese una ventata (appunto) di modernità.

Detto questo, basta guardarsi intorno, prendere un bel respiro e farsi largo faticosamente, come quando si cammina nei boschi su un sentiero non tracciato, fra le indignazioni estemporanee per questa o quella dichiarazione intollerabile, ma subito dimenticata, e concentrarsi sulle indignazioni che dovrebbero essere permanenti: le conoscete benissimo, peraltro.

L’aborto, le famiglie «non naturali» (su quel naturale singhiozza anche lo spirito di Alfred Kroeber, padre di Ursula Le Guin e antropologo che evidenziò con acume la differenza fra natura e cultura). Il lavoro che vi viene sottratto. La casa, visto che vi propongono di dormire in un garage per settecento euro al mese. La svalutazione delle vostre scuole. La vostra presunta apatia. La derisione di quel che amate, della vostra musica, del vostro modo di vestire. Le accuse di non saper parlare e di fare i bulli sui social, quando i bulli sono per lo più ultracinquantenni compiaciuti e rancorosi.

E poi i diritti, proprio loro, che vengono trattati come faccenduola secondaria e che anzi avrebbero portato la sinistra a perdere le elezioni: il diritto di scegliere chi amare e con chi vivere, il diritto di scegliere se essere o non essere madri, il diritto alla salute. Il diritto di lottare per un mondo che scivola danzando verso la catastrofe ambientale.

Da dove si comincia? Intanto, si può cominciare a leggere, anche se lo fate già. Perché non è vero, come ogni tanto si pontifica, che voi siete quelli che non hanno parole (com’era quell’accusa? Gli adolescenti conoscono seicento parole? Già nel 2006 Tullio De Mauro, che di parole ne sapeva, la bollò come falsa). Leggete molto più degli adulti, se è per questo, che assai più di voi passano il tempo sui social a insultarsi a vicenda. Dunque, leggete.

Ma, potendo, evitate i libri di circostanza: li riconoscete subito, sono quelli che vengono pubblicati in vista del 25 aprile, esattamente come quelli sulla Shoah escono a gennaio e quelli contro la mafia a maggio. Leggete i classici sulla Resistenza, quelli sì. E magari leggete “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville, a cui Italo Calvino avrebbe dedicato la lezione americana che non riuscì a scrivere, la sesta, e chissà quanto sarebbe stata bella. Leggetelo rifuggendo dalle decine di interpretazioni analitiche che ne sono state date, solo per apprezzarne la forza e per riflettere sulla famosissima frase: «Preferirei di no».

Ecco, la Resistenza di ieri e di oggi si basa su quella frase e su quel no. La Resistenza non è un tema in classe; e non basta dire che era buona per capirla e farla propria, così come non basta dire che la mafia è cattiva e la droga fa male. La Resistenza non è cantare “Bella ciao” (anche se “Bella ciao” è bellissima). È dire, come è stato detto da chi l’ha vissuta, «I would prefer not to».

Dite no al modello vincente e competitivo che vi viene imposto e che spesso vi spezza. Dite no al giovanilismo di facciata e a quella contraddizione velenosa secondo la quale prima vi si cerca per esporvi, perché ci vuole il o la giovane, salvo poi sbarazzarsene quando i trenta diventano quasi quaranta; e pazienza per tutta l’esperienza fatta e le competenze affinate: largo al o alla prossima. Dite no a chi sostiene che le cose che amate sono pericolose: sono trent’anni almeno che al primo episodio di bullismo si dà la colpa a “Final Fantasy” e ancora un anno fa era possibile leggere frasi come «bisogna strappare i bambini e i ragazzi ai videogiochi e a Internet» (lettera di un genitore ad Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera).

Dite no a quelli che vi accusano di essere stupidi. Quando scendete nelle piazze per evidenziare che l’emergenza climatica non è una favoletta, molti, moltissimi adulti parlano di voi con odio. O almeno con il cinismo di chi davanti a qualsiasi avvenimento ha sempre una spiegazione dissacrante, una frasetta cinica, un articolo puntuto che mantengano salda la sua street credibility, su Twitter o su un giornale, non importa. Sono gli stessi che fino a ieri vi dicevano che eravate sdraiati, hikikomori, ludopatici, avvinghiati ai cellulari. E cretini, per lo più, perché questo era il pensiero sottinteso; e l’altro era ed è: «Per fortuna che ci siamo noi, gli adulti, che li proteggiamo da tutto».

Un grande poeta come Franco Fortini, nelle sue ultime poesie, scriveva: «Proteggete le nostre verità». Credo che quelle sue bellissime parole debbano essere cambiate: proteggete le vostre e siate loro fedeli. Dite di no. «I would prefer not to».