La Commissione della Camera potrebbe essere un’occasione utile per affrontare problemi gravi. Ma è forte la probabilità di dare luogo solo a processi politico-mediatici

Degrado a Roma, insicurezza a Milano: doppio processo
Nel giro di quattro mesi, di proposte di inchiesta parlamentare sulle nostre città se ne contano già otto. Alcune già discusse, altre arrivate in zona Cesarini. In ogni caso, da destra a sinistra, tutti d’accordo nel far decollare una commissione monocamerale a Montecitorio (20 deputati, tetto di spesa 65 mila euro l’anno) che faccia luce sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado dei grandi centri urbani e delle loro periferie. I promotori: dai forzisti Battilocchio e Dalla Chiesa, al dem Morassut, al m5s Colucci, passando per Fdi con De Corato e Rampelli (quest’ultimo in predicato di diventarne il presidente). A fine mese è già calendarizzata l’aula della Camera per un primo voto sul testo. Nella scorsa legislatura la commissione venne strozzata in culla, dal momento che i grillini non volevano creare un megafono sui mali di Roma che in quel momento era governata dalla sindaca Raggi. Adesso invece il via libera. Ma visto lo stato pietoso in cui versa la Capitale, nonostante il cambio di guardia in Campidoglio, e a giudicare dalla fiammata criminale che allarma i milanesi, c’è da giurare che fioccheranno “processi” alle amministrazioni in sella. In realtà, grazie ai poteri di inchiesta pari a quelli dell’autorità giudiziaria, sarebbe una formidabile occasione per dare risposte al profondo malessere di sterminati quartieri di città sparse in tutto il Paese. Un’occasione che dovrebbe puntare su trasporti, rifiuti, energia, e sicurezza, tentando di dare risposte univoche a realtà pur diverse. Senza cadere nel solito derby Roma-Milano.

 

…ma qui si gioca la candidatura per antiriciclaggio e brevetti
Ci sono due partite europee in cui ci giochiamo potere e portafogli. Parliamo della sede dell’Autorità Ue per l’antiriciclaggio (Alma) e di una delle tre corti centrali del nuovo Tribunale per il brevetto unitario. Per la prima, il ministro Giorgetti ha candidato l’Italia a gennaio. La partita vera la gioca Roma. Deve vedersela con Vienna e con una decina di altri Paesi Ue. L’antiriciclaggio e il monitoraggio del finanziamento al terrorismo sono il cuore di un’attività che si estende alla supervisione di enti creditizi e finanziari, compresi i fornitori di servizi per le criptovalute. Tenendo conto che la Bce è a Francoforte e l’Eba a Parigi, Roma avrebbe i titoli. La sede sarebbe già pronta: le torri di Ligini all’Eur. Ma l’incognita è il potere contrattuale del governo Meloni e la capacità nel gioco di sponda a Bruxelles. Armi indispensabili anche nel match su Milano, affinché ospiti una delle tre sedi dell’Agenzia dei brevetti Ue dopo che Londra, causa Brexit, ha perso la sua chance. Il ruolo è cruciale: dirimere le liti tra Paesi su brevetti e proprietà intellettuale. Parliamo di un indotto di 300 milioni all’anno che fa gola a Francia e Germania, che già ospitano le altre due corti centrali e che vorrebbero avocare a sé le competenze che aveva Londra. Contenziosi ultramilionari. Il piano spartitorio prevedeva di lasciare chimica e metallurgia a Monaco di Baviera e a Parigi i brevetti farmaceutici più danarosi. L’Italia ha risposto picche. Ma il tempo stringe e il primo giugno partirà il nuovo assetto. Ottenere la sede a Milano ma con competenze svuotate saprebbe di beffa: senza contenziosi d’oro da gestire, all’Italia resterebbero solo briciole.