Tesse alleanze, getta ponti con l’Egitto e la Grecia, firma accordi con il Ciad, e glissa sui diritti umani. E ora punta ai Mondiali del 2030 per estendere la sua influenza

Il vero obiettivo del Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, ormai noto a tutti con l’acronimo MbS, è di fare dell’Arabia Saudita la cerniera, l’hub, di un nuovo ordine mondiale imperniato sulla confluenza d’interessi di due vaste aree geografiche, l’asiatica e l’euro-africana. Lo strumento per attuare questo piano è la stratosferica ricchezza del reame petrolifero, irrobustita dagli effetti nefasti della guerra in Ucraina e dalla conseguente crisi energetica. L’espediente per attrarre consensi e alleanze sui suoi progetti è quello che per gli antichi romani erano i circenses e per i contemporanei sono le planetarie adunate mobilitate dagli sport più popolari.

 

È di questi giorni l’indiscrezione, svelata da Politico.eu, circa il tentativo dei governanti di Ryad di avanzare una candidatura a firma Arabia Saudita, Grecia ed Egitto per i Mondiali di calcio del 2030. La Grecia del premier conservatore Kyriakos Mitsotakis aveva, e ha ancora, i suoi buoni motivi per cercare nell’Arabia Saudita un protettore, più che un alleato, in grado, teoricamente, di bilanciare la pressione esercitata dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan non soltanto nella contesa su Cipro, ma anche sulle isole egee. Non a caso Atene è stata la prima e allora unica capitale europea visitata da Mohammed bin Salman quando il principe, accusato dai servizi segreti americani di aver approvato l’agghiacciante omicidio, con sparizione del cadavere, del giornalista oppositore, Jamal Khashoggi (2 Ottobre 2018) era stato di fatto bandito dalla comunità internazionale. Il punto è, però, che l’economia greca appare tuttora in bilico e spesso riaffiorano i fantasmi del passato. Vero è che secondo il progetto saudita, l’operazione Mondiali 2030 sarebbe per Grecia ed Egitto a costo zero (il Fondo sovrano saudita, sopperirebbe alle spese della costruzione degli stadi, ottenendo in cambio di ospitare il 75 per cento delle partite), ma i greci ricordano ancora come le Olimpiadi del 2004, costate oltre 15 miliardi di euro, abbiano tradito tutte le aspettative di crescita.

 

Quanto all’Egitto, la partecipazione al megaprogetto Mondiali proposta da MbS al presidente Al Sisi, appare in totale contraddizione con la decisione saudita annunciata al Forum di Davos, di interrompere gli aiuti economici al Cairo, da quando, nel luglio-agosto 2013, al Sisi era salito al potere con un colpo di mano contro il presidente eletto, Mohammed Morsi, esponente di spicco dei Fratelli Musulmani. Adesso, il ruolo dell’alleato egiziano sembra essere quello di un nobile parente decaduto, di cui MbS utilizza prestigio e influenza per guadagnarsi i favori dei Paesi vicini. È di qualche giorno fa la firma di un memorandum di cooperazione militare tra l’Arabia Saudita e il Ciad.

 

È difficile dire se queste grandi manovre basteranno a rendere credibile l’offerta saudita per i Mondiali 2030. In teoria è molto difficile che otto anni dopo i mondiali del Qatar, la competizione venga assegnata ad un altro Paese del Medio Oriente. Inoltre, appare molto forte la candidatura, appoggiata dalla Uefa di Spagna, Portogallo, Ucraina.

 

Ma per l’incontentabile principe saudita il 2030 è un anno cruciale. È il termine che si è dato per mettere in pratica la sua Visione del Mondo, (Vision 2030) basata su progetti megagalattici destinati a trasformare non soltanto l’immagine del Paese, ma anche il suo tessuto economico (fine della dipendenza dal petrolio come unica fonte di ricchezza, largo alle energie alternative) e sociale.

 

Per questo, c’è bisogno di intrattenimento, di sport, di turismo che attraggano investimenti dall’interno e dall’estero, anche a costo di rompere il giocattolo. Come è successo con il golf, diviso tra due associazioni, la LIV Golf League, creata da MbS a suon di centinaia di milioni di dollari per strappare i migliori giocatori alla tradizionale Pga Tour. Come nel caso di Greg Norman che, in cambio di 300 milioni di dollari, è corso alla guida della LIV Golf.

 

Presto anche le squadre di calcio saudite, rimpolpate di giocatori stranieri pagati cifre folli e non necessariamente al tramonto come Cristiano Ronaldo (200 milioni di dollari l’anno per cinque anni), o come Lionel Messi al quale sono stati offerti 300 milioni l’anno, ma invano, potranno competere negli stadi di Qiddiyah, il divertimentificio grande 330 chilometri quadrati, che si sta preparando non lontano da Ryad per dare degna ospitalità al Mondiale per Club a 32 squadre voluta dal presidente della Fifa, Gianni Infantino a partire dal 2025.

 

Magari il Mondiale 2030 non arriverà in tempo. In compenso, bisognerà prepararsi per i giochi asiatici invernali ed estivi del 2034 e per le Olimpiadi del 2036.

Insomma, un luminoso futuro all’insegna delle tre f (feste, farina e forca) con cui Ferdinando di Borbone asseriva di riuscire a governare Napoli, attende i 35 milioni di sauditi. Se MbS avesse impresso alle riforme sociali, alle leggi sul rispetto dei diritti umani e civili lo stesso ritmo travolgente che sta usando per ammodernare il Paese, oggi i suoi progetti non solleverebbero le accuse di sportwashing (come dire: lo sport utilizzato per riciclare la propria immagine compromessa) che sempre sollevano. Perché in tutto questo progettare, costruire, sognare il futuro, gli oppositori continuano a sparire e, secondo Amnesty International, ad essere condannati a pene sempre più severe, spesso soltanto per aver chattato su Tweeter il proprio malcontento.

 

Il rischio è che la grande spugna del danaro cancelli anche la decenza e il rispetto di sé. E possa ancora capitare in futuro di ascoltare un Greg Norman rispondere a proposito dell’omicidio efferato di Jamal Khashoggi, di cui il principe è ritenuto il mandante, che «a tutti succede di fare degli errori. L’importante è imparare da questi errori e andare avanti».