Per il piano di ripresa serve una squadra che esamini e sblocchi le opere. Parte l’opera di reclutamento

La carica dei 1.800 assunti per far funzionare il Pnrr
La posta in palio è altissima: altri 40 miliardi entro quest’anno, per poi ottenerne – auguriamocelo – 191 in tutto dalla Ue per riformare il Paese. Ma per farlo serve una squadra di ammazza-burocrati all’altezza che esamini i progetti e sblocchi le opere. Così per la nuova Struttura di missione per il Pnrr — che sostituisce la segreteria tecnica voluta da Mario Draghi — il ministro Raffaele Fitto ha varato massicce assunzioni. Ben 980 dipendenti per il nucleo per le politiche di coesione, 500 stabilizzazioni per coloro che già lavoravano all’unità di missione, altri 50 alla Struttura di missione, 10 all’Antitrust, 112 vigili del fuoco, 89 a strutture del ministero dell’Agricoltura. Totale: un piccolo esercito di 1.741 posti ritenuti necessari per far funzionare il piano. Naturalmente tutto questo farà schizzare i costi per il personale. Che passano dagli 1,8 milioni della gestione Draghi agli oltre 7,1 previsti dal governo Meloni per l’anno in corso. L’arma in mano allo squadrone non sarebbe piccola: cade il diritto di veto degli enti locali. Quindi, se una Regione o un Comune ritardasse a sbloccare un progetto, il governo potrebbe intervenire allo scadere del 15° giorno con poteri sostitutivi. Se verranno raggiunti gli obiettivi e quindi incassate le prossime rate del Pnrr, saranno soldi mirati. Altrimenti, l’Italia avrà mancato un’occasione storica. Per burocrazia malata.

 

L’autonomia in minoranza, bocciata alle Regionali
C’è una sconfitta nascosta nella vittoria. Lo dicono i numeri del voto in Lombardia. Così, accanto al centrodestra vincitore con Attilio Fontana, c’è l’autonomia differenziata – cavallo di battaglia della Lega – che ne esce malconcia. Innanzitutto, il flop dell’affluenza (41,6%), anche rispetto alle politiche di cinque mesi fa. Per un test che avrebbe dovuto portare a frotte gli elettori a premiare lo strumento federalista (varato dal governo alla vigilia del voto) si registra un drastico calo di consensi. Basti pensare che nel 2017 per il referendum autonomista voluto dall’allora governatore Roberto Maroni andarono a votare in 2.875.438 per il sì e 119 mila per il no (affluenza del 38,21%) e che il 12-13 febbraio scorsi la maggioranza ha raccolto 1.774.477 voti su 7,8 milioni di elettori potenziali. Ma c’è di più. Il test elettorale ha detto molto sulla «perdita della Regione»: definito dagli autonomisti come il livello di Stato più vicino ai cittadini, ha invece registrato una storica fuga dalle urne. Un segnale da cogliere.

 

Il Cencelli delle bicamerali
L’accordo della maggioranza sulle commissioni Camera-Senato ne prevede sette a FdI, quattro alla Lega, tre a Fi, una a Noi Moderati. All’opposizione è andato il Copasir (Pd) e andrà la Vigilanza tv (probabile l’m5s Stefano Patuanelli). Fratelli d’Italia, tra le altre, ha prenotato l’Antimafia e quella sui femminicidi. Quest’ultima sarà oggetto di scontro perché richiesta anche da Fi: tutta da vedere la ripartizione donne-uomini nonché la scelta della presidente. Morta sul nascere quella sull’operato dei magistrati, si prevede guerra su quella sul Covid. Eppure, la storia insegna che andrebbe evitato il regolamento di conti sulle commissioni d’inchiesta: nascono per colpire l’avversario, ma poi si ritorcono contro il promotore.