Algeria, Libia, Egitto, Qatar, Angola, Congo, Mozambico: sono gli Stati con cui abbiamo iniziato o rinforzato gli accordi per l’acquisto di risorse. Con non pochi problemi e ambiguità

Algeria, Libia, Egitto, Qatar, Angola, Congo, Mozambico… La lista di alcuni fra i Paesi più problematici del pianeta coincide con l’elenco dei potenziali fornitori di gas che dovrebbero garantirci nel prossimo inverno l’affrancamento dalle forniture russe. Una serie di accordi firmati negli ultimi drammatici mesi dal premier Draghi, dai ministri Di Maio e Cingolani e dal capo dell’Eni Claudio Descalzi, dovrebbero garantire all’Italia la continuità delle forniture.

 

Ma c’è da stare tranquilli? Fino a un certo punto, per usare un eufemismo. L’Algeria, primo Paese visitato da Draghi l’11 aprile, è legata all’Italia dai tempi di Enrico Mattei che finanziò la guerra di liberazione e aveva in calendario il suo bagno di folla ad Algeri il 29 ottobre 1962. Due giorni prima precipitò con il suo Cessna vicino Linate in circostanze mai chiarite (ma chiarissime secondo gli esegeti del suo rapporto con Big Oil). Ora Algeri ha assicurato che porterà la sua quota di fornitura - con il gasdotto che si chiama ovviamente Enrico Mattei per la parte algerina, poi diventa Transtunisia e infine Transmed - da 21 a 30 miliardi di metri cubi. Senonché il presidente Abdelmadjid Tebboune, indebolito dalle vibrate contestazioni che continuano dalla sua elezione nel 2019, è il più forte alleato di Mosca nel Maghreb. Il direttore del servizio federale russo di cooperazione tecnico-militare, Dimitri Shugaev, e il capo di Stato maggiore dell’esercito algerino, Said Shengriha, sono in contatto, l’Algeria è stata fra i 35 astenuti nel voto Onu sulla condanna dell’“operazione speciale” a differenza dei suoi vicini regionali, lo stesso Putin dopo una visita ad Algeri ha condonato 4,7 miliardi di debito algerino in cambio dell’accesso privilegiato ad alcune esportazioni. E Gazprom e Sonatrach, la società energetica statale, sono legate da un recente memorandum d’intesa.

 

In Libia invece nessun ministro ha messo piede nella campagna-acquisti. Il gasdotto Greenstream (dal “libretto verde” di Gheddafi) ci porta 3 miliardi di metri cubi l’anno ma ha un potenziale di 10. Non ci sono però le condizioni di sicurezza perché l’Eni, oltretutto proprietaria delle riserve, potenzi l’estrazione. «Il Paese è in tregua armata, diviso fra le fazioni di Tripoli e Tobruk, e non si riescono a tenere le pluriannunciate elezioni che dovrebbero segnare la rappacificazione», spiega Federica Saini Fasanotti, ricercatrice di Ispi e Brookings. La presenza dei russi è pesante: la famigerata brigata Wagner non è vero che ha lasciato il Paese per combattere in Ucraina, ma resta a dominare la zona est. «In queste condizioni, trovare un interlocutore affidabile è impossibile».

 

La missione italiana si è spinta poi al Congo ex francese, capitale Brazzaville (che fu capitale della Francia Libera del generale De Gaulle durante la resistenza al nazismo). Non va confuso con la Repubblica Democratica del Congo, ex belga ed ex Zaire, dove infuria la battaglia fra milizie che è costata la vita il 22 febbraio 2021 all’ambasciatore Luca Attanasio, ma anch’esso non si è fatto mancare nulla: dopo l’indipendenza nel 1960 si sono susseguiti colpi di Stato, attentati, brutali repressioni, violente proteste, vere e proprie guerre civili con città distrutte. Nell’ultima tregua nel 2016 è stato rieletto Denis Sassou Nguesso, 78 anni, in virtù di un cambiamento della costituzione vibratamente contestato. Con lui i ministri italiani hanno siglato il 20 aprile l’accordo per la valorizzazione del gas dell’impianto offshore Marine XII su un giacimento da 280 miliardi di metri cubi. Da fine 2023 l’Eni esporterà fino a 5 miliardi di metri cubi con un’infrastruttura di liquefazione mobile. 

 

Successive tappe, Angola e Mozambico, accomunati dalla drammatica lotta di liberazione contro l’“estado novo” com’era chiamata la dittatura portoghese di Alberto Salazar, abbattuta dall’incruenta rivoluzione dei garofani nel 1974. Un anno dopo i due Paesi africani ottennero l’indipendenza. Ma i loro guai non erano finiti perché si scatenarono faide, lotte civili, terrorismo. Servirono anni per ripristinare condizioni di vivibilità.

 

In Mozambico le fazioni ribelli Renamo e Frelimo firmarono una fragile pace con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio nel 1990. In Angola l’Mpla, sostenuta da Urss e Cuba, combatté una guerra spietata contro l’Unita appoggiata da Usa e Sudafrica. La caduta dell’apartheid e il cambio di regime a Pretoria favorirono la pace siglata all’Onu nel 1988. Entrambe le ex-colonie hanno forti potenziali: in Angola l’Eni ha avviato lo sviluppo del gas fin dal 1980 e nel marzo 2022 ha firmato una joint-venture con la Bp per il Gnl, ed è operatore per lo sviluppo dei campi Quiluma e Maboqueiro con riserve per 42 miliardi di mc. Ancora più interessanti le attività in Mozambico, dove l’Eni lavora dal 2006 e definisce “straordinarie” le scoperte di gas: 2400 miliardi di metri cubi di potenziale. È iniziata a metà giugno la produzione di gas liquido nell’impianto offshore Coral South che vale 120 miliardi di metri cubi: a fine anno potrebbero partire le prime navi per l’Italia.

 

La memoria di Giulio Regeni rende invece ardua qualsiasi mossa in Egitto, il primo Paese dove sbarcò Mattei nel 1954. Il giacimento offshore Zohr, scoperto dall’Eni nel 2015, vale 850 miliardi di metri cubi, il maggiore del Mediterraneo. Si partirà con discrezione con non più di un miliardo di mc liquefatti destinato al rigassificatore della Spezia, che si presta a piccoli quantitativi perché non può accogliere navi grandi.

 

Collegato con la pipeline Tap che sbuca in Puglia è invece l’Azerbaigian: è una repubblica ex-sovietica, necessariamente (vista la posizione) pro Putin, tutt’altro che un campione di democrazia con un potere dinastico, in possesso di riserve non infinite. Il Tap porta 7 miliardi di metri cubi, potranno arrivare a 10 ma non di più. Più promettente il Kazakhstan che per ora produce 2 miliardi di mc ma dove l’Eni ha solide basi, giacimenti e infrastrutture. «È una fortuna la presenza così capillare dell’ente petrolifero», riflette l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci. «Possiamo offrire cooperazione industriale e tecnologica che è ciò di cui questi Paesi hanno bisogno».

 

Stessa operazione in Qatar, che rifornisce con 8 miliardi di metri cubi il rigassificatore di Rovigo: potrà portarli a 9 ma la capacità di esportazione è satura e le metaniere sono vincolate a obblighi contrattuali con i Paesi asiatici. Per questo l’Eni ha appena firmato una joint-venture per lo sviluppo di nuovi pozzi. Senonché i rapporti con Mosca possono essere imbarazzanti se si guarda con la lente convessa dell’Arabia Saudita: dopo l’omicidio nel 2018 di Jamal Khashoggi, columnist del Washington Post, le relazioni di Riad con l’America si congelarono e migliorarono quelle con Mosca, cementate nell’Opec+. Ora però Biden ha riaperto la porta ai sauditi, la Russia con simmetria pitagorica si sta allontanando e riprendendo franche relazioni con il Qatar, l’anti-Riad per eccellenza nel Golfo. Il meccanismo è sempre quello: l’America abbandona una posizione, la Russia arriva. Se Washington torna, Mosca ricambia alleato. Qualche Paese in cerca di appoggi economici e militari si trova sempre, se è ricco di materie prime meglio ancora.