Avvelenato due volte dall’Fbs, il politico dell’opposizione Vladimir Kara-Murza è in prigione per essersi espresso contro la guerra in Ucraina. La moglie ne chiede la liberazione. E attacca il Cremlino

«Il mio Vladimir rischia 15 anni di carcere, ma Putin, scatenando questa guerra, ha firmato la propria condanna a morte», dice con lo sguardo duro Evgenia Kara-Murza. Da quando il marito è in prigione, ne continua il lavoro denunciando senza mezzi termini il regime. «Spero che la morte dell’attuale presidente sia solo politica, perché vorrei vederlo rispondere dei suoi crimini davanti a un tribunale», precisa. «Ma la fine è inevitabile: nel Cremlino si sono formate fazioni contrapposte, secondo mie informazioni. E la pressione dell’Occidente si fa sentire. La caduta si avvicina».

 

L’Espresso ha raggiunto Evgenia con una videochiamata nella sua casa in Virginia, negli Usa, dove risiede per ragioni di sicurezza insieme con i tre figli di 10, 13 e 16 anni. È preoccupata per l’incolumità del marito: «Quello russo è un regime di assassini, e Vladimir adesso è nelle loro mani. Spero che alzare il livello dell’attenzione possa evitare il peggio. Per lui e per le migliaia di russi perseguitati dopo aver detto di no alla guerra in Ucraina».

 

Vladimir Kara-Murza, 40 anni, politico dell’opposizione, ex braccio destro del leader democratico Boris Nemtsov - ucciso con quattro colpi di pistola alla schiena nel febbraio del 2015 davanti al Cremlino su ordine di mandanti rimasti sconosciuti - è un uomo vissuto tre volte. Nel senso che è sopravvissuto una prima volta nel 2015 e poi ancora nel 2017 alle attenzioni del “team omicidi” dell’Fsb, il servizio di sicurezza erede del Kgb sovietico. Lo stesso team che ha avvelenato Alexey Navalny hanno rivelato inchieste incrociate di Bellingcat, The Insider, Der Spiegel e Cnn. «È stato terrificante conoscere visi, nomi e grado degli attentatori», racconta Evgenia. «Ma queste inchieste sono state preziose: le tessere del puzzle sono andate al loro posto». Le ultime, in realtà, devono ancora incastrarsi: mentre scriviamo queste righe, la magistratura russa sta decidendo sull’incriminazione e il rinvio a giudizio di Kara-Murza, che rischia anni di prigione.

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«Siccome il veleno non è bastato, adesso la tattica è di arrestarli con accuse risibili e poi trovarne di sufficientemente pesanti per tenerli in galera il più a lungo possibile. È successo a Navalny e sta succedendo a mio marito», denuncia Evgenia. Vladimir Kara-Murza è stato arrestato lo scorso 11 aprile a Mosca. Ufficialmente, per aver «cambiato la traiettoria dei suoi movimenti» nel cortile di casa, dove la polizia lo stava già aspettando con tanto di “avtozak”, come si chiama in Russia il cellulare per il trasporto dei detenuti. Un’imboscata surreale. Il giorno dopo, la condanna a 15 giorni di prigione. Provvedimento definito «amministrativo». Ma prima del rilascio è arrivata puntuale l’accusa penale: articolo 207.3. Introdotto per punire chi parla contro la guerra, prevede fino a 15 anni di reclusione se si diffondono «false informazioni sulle forze armate russe».

 

«Ben nove fra magistrati e funzionari di polizia sono stati da allora impegnati a tempo pieno ad analizzare 54 secondi di un discorso pubblico pronunciato da Vladimir, per poterlo incriminare», sostiene Evgenia. Che non ha dubbi su quale sarà l’esito: «Dopo che il “team omicidi” è stato scoperto, le autorità rinchiudono le maggiori figure dell’opposizione impedendogli di continuare il loro lavoro», spiega. «L’obiettivo è di evitare che dicano la verità su quel che succede in Russia e in Ucraina, e sui crimini commessi dal regime di Putin in entrambi i Paesi».

 

Alla dedizione nell’incastrare Vladimir Kara-Murza corrisponde l’inattività riguardo ai due avvelenamenti da lui subiti, per i quali non è mai stata aperta un’indagine. Il 1° giugno una corte moscovita si è presa ulteriore tempo per rispondere all’istanza della parte lesa. In entrambi gli attentati Kara-Murza ha visto la morte da vicino. Collasso multiplo degli organi interni. I medici hanno stabilito che non potrebbe mai superare un altro episodio simile. «In Russia le persone possono essere uccise o gettate in prigione o perseguitate in ogni modo senza che i responsabili siano mai chiamati a rispondere delle loro azioni», è il commento della moglie. «La giustizia non è indipendente: il governo ne fa un uso politico».

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Il capo del Comitato investigativo della Russia, che dovrebbe indagare sui tentativi di uccidere Kara-Murza, si chiama Alexander Bastrykyn. È un ex compagno di classe di Vladimir Putin. È nella lista dei personaggi sanzionati dagli Stati Uniti secondo il Magnitsky Act, varato nel 2012 per colpire i singoli esponenti del regime di Mosca macchiatisi di violazioni dei diritti umani. Tra i più attivi promotori del provvedimento, Vladimir Kara-Murza e Boris Nemtsov. «La “lista nera” del Magnistsky Act fece imbestialire chi ci era finito dentro», ricorda Evgenia. «Le autorità russe cominciarono a vedere mio marito e Nemtsov come nemici personali. La morte di Boris Nemtsov, che in pratica faceva parte della nostra famiglia e gli attentati contro Vladimir sono certo collegabili al loro sostegno a quella legge».

 

Nonostante la possibilità di risiedere permanentemente negli Usa insieme a moglie e figli, Kara-Murza ha sempre svolto la sua attività politica in Russia, anche dopo gli avvelenamenti. «Tanta paura per lui e vita familiare scomoda. Ma no, non ho mai cercato di fargli cambiar idea. So com’è fatto. Era così anche vent’anni fa, quando l’ho sposato. È un gran testardo. Lo amo e lo ammiro anche per questo. È un politico russo e sa che deve stare nel suo Paese. Deve condividere le sfide e i rischi dei tanti russi che ogni giorno finiscono dietro le sbarre per protestare contro la guerra e contro Putin». Nei primi 100 giorni dell’invasione dell’Ucraina gli arresti per proteste sono stati 16.145, secondo dati di Ovd-Info, Ong che monitora la persecuzione politica. In 163 casi sono state aperte inchieste penali. Le condanne potrebbero variare tra i cinque e i 15 anni. «Per tutto questo, ora devo continuare io il lavoro di Vladimir. Sono sua moglie, e sono una cittadina russa».

 

Evgenia non è nata per fare l’attivista. Amava il suo lavoro di traduttrice. «Non ho mai avuto l’ambizione di diventare un personaggio pubblico. Mi piace lavorare da casa e stare con i miei figli. Ma non avevo scelta. Né mi sono posta il problema, in realtà. So che devo combattere. Per lui, per gli altri prigionieri e per una Russia diversa. Certo, ho dovuto imparare in fretta». Ride. Poi torna seria per un ultimo messaggio: «L’Occidente deve bloccare le importazioni del gas di Mosca. Ciò toglierebbe fiato allo sforzo bellico e alla costosa macchina propagandistica del Cremlino. E se questa si inceppasse, anche chi oggi la subisce e sostiene Putin cambierebbe parere. Il regime crollerebbe prima». «Sono momenti bui per il Paese, ma la notte più buia precede sempre l’alba»: era un detto dei dissidenti sovietici nei primi anni ’80. Spesso citato anche da Vladimir Kara-Murza nel discorso ora sotto la lente degli investigatori.