Joe Biden aumenta armi e sostegni a Kiev, mentre l’opinione pubblica gli chiede di fare ancora di più. Ma gli esperti negli States si dividono e il dibattito molto acceso

Quando lunedì 9 maggio Joe Biden - poche ore dopo la parata militare sulla Piazza Rossa e il discorso di propaganda di Putin che ha ribaltato la verità («la Nato stava per invadere la Russia») - ha firmato il Lend-Lease Act per l’Ucraina (81 anni dopo quello del 1941 che aveva contribuito a cambiare le sorti della Seconda guerra mondiale), l’America ha capito che la guerra di aggressione russa in Europa sarebbe durata ancora a lungo. E che la Casa Bianca farà di tutto per indebolire il dittatore russo.

 

Dopo le immagini dei crimini di guerra compiuti dalle truppe di Putin (il 57 per cento degli americani lo ritiene «direttamente responsabile») l’opinione pubblica degli Stati Uniti ha chiesto al presidente democratico e al Congresso un impegno ancora maggiore nell’appoggiare la resistenza del popolo ucraino e il Lend-Lease Act (con aiuti a Kiev per 40 miliardi di dollari) è l’ennesimo passo dell’amministrazione Biden in quella direzione. Nuovi aiuti umanitari e nuovi aiuti militari in una escalation che anche negli Stati Uniti qualcuno teme possa diventare troppo pericolosa.

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È il caso di John Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago e capofila della “scuola realista”, che fin dall’inizio dell’invasione ha criticato apertamente l’appoggio Usa all’Ucraina, venendo a sua volta accusato di essere troppo filo-russo. «Biden ha già aumentato troppo i suoi obiettivi, ora è deciso a infliggere una sconfitta decisiva alle forze russe in Ucraina, battendole sul campo di battaglia e distruggendo l’economia russa con le sanzioni. La Casa Bianca vuole buttare fuori la Russia dai ranghi delle grandi potenze». Analisi che Evelyn Farkas (Vice Segretaria alla Difesa per Russia, Ucraina ed Eurasia durante la seconda presidenza di Obama) condivide solo in minima parte: «Sono d’accordo con il professor Mearsheimer sul fatto che ci sia stato un cambiamento di strategia nell’amministrazione Biden. Perché hanno capito che l'unico modo per fermare Vladimir Putin non è attraverso le sanzioni, né facendo appello al popolo russo, ma solo sconfiggendo la Russia sul campo di battaglia il più velocemente possibile».

 

Per Farkas la politica verso l'Ucraina non è cambiata dai tempi di Obama e della stessa presidenza Trump («nonostante ciò che dice l’ex presidente»), «il nostro obiettivo è sempre stato quello di proteggere il diritto dell'Ucraina alla sua sovranità, ai confini esistenti e anche il loro diritto di associarsi alla Nato o all’Unione Europea. Da dieci anni è un percorso costante». Quanto alla posizione dei “realisti” alla Mearsheimer «non credo che a Biden importi se la Russia mantiene il suo potere economico in linea di principio, se mantiene il suo potere militare in linea di principio. Il problema è che questa politica estera aggressiva condotta da Vladimir Putin ed iniziata fin dal 2008, quando ha invaso la Georgia, non si fermerà finché lui resterà al Cremlino».

 

Parlando al programma della Pbs (la televisione pubblica Usa) “Newshour” alla vigilia della parata sulla Piazza Rossa il professore di Chicago ha insistito sul pericolo di una guerra nucleare. «Penso che la politica che Biden sta seguendo sia notevolmente pericolosa e sciocca. Sappiamo che l’unica circostanza in cui è probabile che una grande potenza usi armi nucleari è quando la sua sopravvivenza è minacciata, quando pensa che le venga inflitta una sconfitta decisiva. Ora quello che la Casa Bianca è decisa a fare è infliggere una sconfitta decisiva alla Russia. Stiamo minacciando la sua sopravvivenza. Stiamo presentando ai russi una minaccia esistenziale. E questa è l'unica circostanza in cui potrebbero usare armi nucleari».

 

Una posizione che Eliot A. Cohen, professore alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies (e dal 2007 al 2009 consigliere del Dipartimento di Stato) respinge drasticamente: «Per quelli di noi nati dopo la Seconda guerra mondiale, questa è la guerra più importante della nostra vita. Dal suo esito dipende il futuro della stabilità e della prosperità europea. Se l’Ucraina riesce a preservare la sua libertà e integrità territoriale, una Russia più debole sarà contenuta. Se fallisce aumentano le possibilità di guerra tra la Nato e la Russia, così come la prospettiva di un intervento russo in altre aree dei suoi confini occidentali e meridionali. Una vittoria russa incoraggerebbe una Cina che osserva e valuta freddamente il coraggio e la capacità militare dell’Occidente, una sconfitta russa indurrebbe alla cautela anche Pechino. La pura brutalità della Russia e l’aggressione all’Ucraina assolutamente ingiustificata, aggravata da bugie allo stesso tempo sinistre e ridicole, hanno messo in pericolo ciò che rimane dell'ordine globale».

 

In totale disaccordo con Mearsheimer anche Anthony Cordesman, presidente (emerito) del Centro di Studi Strategici e Internazionali di Washington e per molti anni consulente del Pentagono. Si dice convinto che fino a quando «qualcuno come il presidente russo Putin sarà al Cremlino, la Russia continuerà a confrontarsi con gli Stati Uniti in Europa e nel resto del mondo e costituirà una minaccia continua per i paesi europei vicino al suo confine», e sottolinea come «gli americani sostengono ampiamente molte azioni che la Casa Bianca sta prendendo». Ritiene invece un grave errore le “soffiate” alla stampa (dopo gli articoli apparsi su New York Times e NbcNews sull'assistenza dell'Intelligence americana all'Ucraina che ha portato alla morte di diversi generali russi e all’affondamento dell'incrociatore Moskva): «Se si inizia a comunicare in dettaglio tutto quello che possiamo fare, si può rassicurare o meno il popolo americano, ma si sta fornendo alla Russia un sacco di informazioni che non si dovrebbero comunicare».

 

Una scelta, quella della Casa Bianca di Biden per «indebolire la Russia», che ha un appoggio “bipartisan” tra molti politici del partito repubblicano. Anche per il senatore Mitch McConnell (uno dei leader del Grand Old Party) che in un incontro (online) al McCain Institute ha spiegato come «la Nato sia oggi la più unita e determinata da quando è stata fondata nel 1949», e che una «potenziale minaccia alla forza dell’Alleanza Atlantica è stata eliminata quando il presidente Emmanuel Macron ha vinto la rielezione in Francia su Marine Le Pen, un candidato di estrema destra, pro-Putin». Importante, per McConnell, anche la nuova posizione della Germania, che è stata «piuttosto neutrale dalla fine della Seconda guerra mondiale e sembra essersi ora evoluta in un ruolo più coerente con le esigenze del mondo libero e democratico». Su come finirà, il senatore repubblicano preferisce lasciare la parola agli stessi ucraini: «La definizione di vittoria a mio parere è qualsiasi cosa il presidente Zelenski dica che è una vittoria. Penso che sia una sua decisione da prendere, certo non nostra».