Secondo l’ex ambasciatore Usa Steven Pifer gli aerei da guerra di fabbricazione russa arriveranno a Kiev. E la battaglia potrebbe spostarsi sui cieli intorno alla capitale

È difficile leggere la mente di Putin. Finora Mosca non ha mostrato alcun serio interesse per i negoziati e sembra insistere nello sforzo di usare i suoi militari per conquistare una buona parte dell’Ucraina. Credo che l’obiettivo numero uno rimanga la cattura di Kiev, le forze russe si stanno riposizionando per iniziare l’assedio vero e proprio». Steven Pifer è un diplomatico americano di lungo corso, ha lavorato nelle sedi Usa a Varsavia, Londra, Mosca ed è stato ambasciatore in Ucraina. Oggi - come analista del Center on the United States and Europe della Brookings institution e del Center for international security and cooperation della Stanford university - è uno dei più accreditati esperti Usa sulla guerra in Ucraina.

 

Dopo un mese di guerra qual è lo scenario più probabile?
«È molto difficile fare previsioni. Proviamo a ipotizzare: uno degli scenari più realistici è che la Russia abbia alla fine un successo militare, che occupi quella parte dell’Ucraina che è a est di una linea che va da Kiev nel nord a Odessa nel sud. Che siano in grado di catturare Kiev e di deporre l’attuale governo. A quel punto cosa fanno? Possono mettere in piedi un governo filo-russo, ma è un governo che non può sopravvivere senza una stabile forza di occupazione russa. Si troverebbero di fronte ad anni di occupazione, in un Paese dove la popolazione sarà arrabbiata, ostile e in molti casi armata. Saranno politicamente isolati, con le pesanti sanzioni economiche che devasteranno l’economia russa. Non vedo come questa ipotesi possa essere considerata una vittoria, eppure sembra l’unica cosa che il signor Putin sta cercando».

 

Quanto sono stati sorpresi in Russia dalla resistenza dell’Ucraina?
«Penso che al Cremlino siano stati sorpresi da diverse cose. Dalla incredibile forza della resistenza. Dal pessimo rendimento del loro stesso esercito. Dall’unità che ha dimostrato la Nato. E sono stati sorpresi dalla severità delle sanzioni. Penso che il colpo geniale nelle sanzioni sia stato quello di congelare i beni della Banca Centrale della Russia. Perché Putin aveva da tempo accumulato queste riserve estere e la Banca Centrale russa aveva dal 60 al 70 per cento di quei beni in istituzioni finanziarie straniere. A cosa serve avere 600 miliardi se non puoi spenderli?».

 

Cosa ha sbagliato il leader russo?
«Credo che Putin non abbia mai capito cosa sia l’Ucraina, lo avevo scritto già a dicembre, in un articolo per il Moscow Times. L’ultima volta che è stato a Kiev è stato nel 2013, quando pronunciò il famoso discorso “noi, russi e ucraini, siamo un unico popolo”, la cosa più stonata da dire in Ucraina, perché la stragrande maggioranza l’ha vista come una negazione della propria storia, della propria cultura e della propria lingua. Non ha capito o ha frainteso la natura della lotta che per gli ucraini è una lotta esistenziale per la democrazia. La loro visione, in particolare per i ventenni e i trentenni, è quella dell’Ucraina come un normale Stato che fa parte dell’Europa. Se vincono i russi, perdono il loro Stato e perdono l’Europa, per questo sono disposti a resistere e a morire».

 

Cosa può fare la diplomazia?
«Fondamentale è stata e lo sarà ancora di più l’unità tra Stati Uniti ed Europa. La diplomazia, da entrambe le sponde dell’Atlantico, si è mossa bene fin da dicembre, quando era già chiaro che Putin avrebbe invaso l’Ucraina. La diplomazia richiede però tempo e investimenti, telefonate, consultazioni, riunioni di vario tipo. Credo che anche la reazione tedesca abbia colto di sorpresa Putin. La Germania avrebbe forse raggiunto il 2 per cento del suo prodotto interno lordo per la Difesa nel 2030. Ora lo faranno subito. Oggi il problema principale per gli ucraini è però un altro».

 

Quale?
«Sono le armi. Non credo che Biden cambierà idea sulla no-fly zone e sui Mig, i caccia dei paesi est-europei che Zelensky chiede con insistenza. Non la cambierà perché c’è una linea rossa abbastanza chiara tracciata da Casa Bianca e dalla Nato per evitare qualsiasi scontro diretto con le forze russe. La no-fly zone, secondo me, è un piccolo guadagno e un alto rischio. Il piccolo guadagno è che verrebbero uccisi meno civili, ma solo una piccola minoranza vengono uccisi da attacchi aerei, uno dei misteri è che l’aviazione russa sia stata finora largamente assente. Ciò che sta uccidendo i cittadini ucraini è l’artiglieria, i mortai, i razzi a corto raggio e una no-fly zone non influisce su questo. Per fare la no-fly zone bisogna poi essere preparati non solo ad abbattere gli aerei russi che entrano nello spazio aereo ucraino, ma anche ad attaccare i siti di difesa aerea, in Russia e Bielorussia. La prima sfida non sarebbe un caccia russo che entra nei cieli dell’Ucraina, sarebbero probabilmente i missili antiaerei S-400 sparati dalla Bielorussia contro gli aerei della Nato. Cioè l’inizio della Terza Guerra Mondiale».

 

Dare i Mig o altri caccia da combattimento non creerebbe lo stesso pericolo?
«No, è differente. Non escludo che prima o poi i caccia di fabbricazione russa vengano consegnati, ma finora questa ipotesi è stata gestita veramente male da tutti: da Washington, da Varsavia, dall’Europa. Non avrebbero dovuto parlarne, come hanno fatto, per due settimane. I Mig sarebbero dovuti comparire un giorno in Ucraina, senza che nessuno sapesse come fossero arrivati. Con insegne e piloti ucraini potrebbero ingaggiare i Mig del Cremlino, senza intervento Usa o Nato».

 

Lei, ex ambasciatore in Ucraina, è stato a Kiev di recente?
«Sono stato lì solo per un giorno e mezzo alla fine di gennaio. Insieme a un piccolo gruppo di ex ambasciatori e di generali in pensione. Per noi era fondamentale andare ad esprimere sostegno pubblicamente a chi stava per essere invaso. Tutti sapevano che Putin non si sarebbe fermato di fronte a nulla, che avrebbe iniziato la guerra per rovesciare il legittimo governo di Zelensky e asservire un intero popolo alla Russia».

 

Hanno fatto richieste di aiuto precise?
«Sì, soprattutto armi. Da quello che so ogni giorno entrano un gran numero di armi anti-carro che gli ucraini stanno usando abbastanza efficacemente. Molti dei danni che sono stati fatti ai carri armati russi e ai convogli di rifornimento sono merito di questi piccoli missili anticarro trasportabili a spalla da un semplice soldato. C’è anche un flusso abbastanza costante di armi antiaeree. E una delle cose interessanti è che le forze aeree russe sembrano operare abbastanza a bassa quota».

 

Come si spiega?
«Nessuno lo sa. In Cecenia e poi ancora di più in Siria l’aviazione russa ha dimostrato la capacità di volare molto in alto e poi di sganciare armi intelligenti e guidate con precisione. Purtroppo sulle città e sui civili ucraini non c’è nessuna precisione, lanciano missili, bombe cluster e termo-bariche, distruggendo quello che capita, colpendo scuole, asili, ospedali. Fa parte di una strategia del terrore precisa, per farla devono volare bassi e sono più facilmente preda dell’anti-aerea. Qualcuno dice che stanno tenendo alcune delle loro armi intelligenti di riserva, nel caso in cui questo conflitto si trasformi in una guerra contro la Nato. Un’ipotesi che non mi convince affatto».

 

Le sanzioni funzionano?
«Sì. Per i russi saranno un grande dolore economico. Il rublo vale quasi la metà rispetto a prima della guerra, i prezzi stanno cominciando a salire, la maggior parte degli economisti dice che entro pochi mesi si troveranno ad affrontare una pesante inflazione. Ci sono previsioni per il 2022 che vede l’economia russa che si contrarrà tra il 10 e il 15 per cento. Mi spiace che questo colpisca molti russi comuni, poi guardo a quello che l’esercito russo sta facendo agli ucraini comuni…».

 

E sta perdendo molti soldati.
«Anche il Cremlino, anche un sistema autocratico, deve prestare molta attenzione al sentimento pubblico. Prima o poi il popolo russo vedrà due cose, la crisi economica e la frase che sta arrivando in molte case: ‘Tuo figlio, tuo marito, tuo fratello è stato ucciso combattendo’. Non abbiamo numeri chiari, ma la cifra dei morti russi potrebbe essere vicina ai 10mila. Quando l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan, in otto anni, dal 1979 al 1987 ne ha persi 15mila. Putin rischia di perderli in due mesi, cosa che non può certo far piacere ai generali di Mosca».

 

Putin è oggi più isolato all’interno?
«Da quello che possiamo intuire, dagli arresti e dalle forzate dimissioni di alcuni personaggi di rilievo nei servizi direi di sì. Questo non significa molto, abbiamo sempre saputo che Putin aveva un inner circle molto piccolo. In un documentario del 2015 ha detto che quando ha deciso di annettere la Crimea c’erano solo altre quattro persone nella stanza. E se ricordo bene, erano quasi tutti dei servizi di sicurezza».