Dopo il no della Corte il movimento continua la mobilitazione. Forte di due milioni di firme. «Non siamo soli, è la società a reclamare diritti civili»

lI presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, li ha pubblicamente umiliati indicandoli come manipolatori, fabbricatori di quesiti farlocchi, attivisti del populismo digitale (i termini non erano questi ma la sostanza sì). Sono dunque tornato a sentire le donne e gli uomini, per lo più giovani, che hanno raccolto le firme per i referendum bocciati, che affidano a L’Espresso le loro risposte.

Nel merito, la Corte ha bocciato il quesito sull’eutanasia affermando che avrebbe leso i più fragili e quello sulla cannabis perché avrebbe consentito la produzione delle droghe pesanti. I promotori hanno replicato, per il primo, che non è vero perché il quesito manteneva le pene proprio nei casi citati dal presidente Amato; nel secondo che le altre sostanze contenute nella tabella delle droghe non possono essere consumate senza ulteriori passaggi, come invece avviene per la cannabis e che quindi non sarebbe stata liberalizzata alcuna altra produzione che non fosse la cannabis perché per passare dal papavero e dalle foglie di coca all’eroina e alla cocaina servono processi di raffinazione che la legge avrebbe continuato a punire. Non proseguo nei dettagli giuridici che ho riassunto brevemente, perché voglio capire soprattutto come hanno reagito gli attivisti per i diritti civili e cosa pensano di fare ora.

«È stata una conferenza stampa sovietica nella forma e nella sostanza», attacca Antonella Soldo del Comitato per la Cannabis legale: «Mentre infatti la bocciatura del quesito sull’eutanasia era stata comunicata con un testo scritto, nel caso di quello sulla cannabis e sugli altri non ammessi non c’è alcun testo scritto, ma una conferenza stampa nella quale, senza che i promotori abbiano potuto esprimere alcuna valutazione, si spiegano le ragioni del no, dicendo molte cose non vere, conducendo attacchi personali ai promotori, arrivando persino a delegittimare le firme digitali, nell’epoca in cui si fa tutto con lo Spid. E poi, sono stati bocciati gli unici referendum per i quali erano state raccolte quasi due milioni firme e che secondo i sondaggi fatti anche dopo la bocciatura della Corte avrebbero vinto e trascinato la partecipazione popolare fino al quorum. Ecco tutto questo per me ha un sapore sovietico». Aggiunge Paola: «Quando diciamo questo non vogliamo affatto attaccare gli altri referendum, ma respingere le cose non vere che sono state dette sulla raccolta di firme. Per la prima volta si sono mobilitati anche 3mila avvocati, abbiamo fornito la massima informazione sui quesiti e possiamo assicurare che nessuna firma è stata data e raccolta con superficialità».

Immaginiamo che al liberal-socialista Giuliano Amato, della cui profonda cultura democratica nessuno può dubitare, una tale accusa debba bruciare più di tante altre. E tuttavia, le decisioni della Corte appaiono come la normalizzazione di un vasto movimento popolare ma non populista, che si propone di affrontare il ritorno alla vita democratica dopo le sofferenze e le oggettive restrizioni delle libertà inferte dalla pandemia, aprendo una grande stagione dei diritti civili. Come si sono sentiti gli attivisti dopo l’attacco del presidente delle Corte? Il movimento andrà avanti? Come? Sono queste le domande che abbiamo posto a un gruppo di 30/40enni, formato prevalentemente da donne, che avevamo già incontrato durante la raccolta delle firme.

Dice Miriam: «Non ci siamo sentiti soli, c’è stata una grande reazione di indignazione popolare». Aggiunge Virginia: «Ci hanno scritto in tanti che si pongono la nostra stessa domanda: come funziona la democrazia in Italia se a venire bocciati sono gli unici referendum su cui sono state raccolte le firme?». Racconta Piera: «Non ho mai ricevuto tanti messaggi, neppure quando mi sono laureata e il senso era: non mollare. Ognuno di noi proseguirà portando qualcuno nel cuore». «Io nel cuore porterò mia nonna, ammalata di cancro e scomparsa di recente, che raccolse le firme per il referendum sull’eutanasia nel suo circolo di Burraco. Lei diceva che Gesù è stato sulla croce poche ore e che Dio avrebbe capito», racconta Antonia. «Ho raccolto la firma della mia catechista», ricorda Paola, «Io quella di una suora», interviene Jennifer. «Per l’eutanasia abbiamo raccolto le firme anche sui banchetti ma la modalità digitale ha consentito di firmare a tanti disabili», aggiunge Matteo.

Il nuovo movimento per i diritti civili non sembra intenzionato a fermarsi: «In questo momento sono a Bruxelles per organizzare un’iniziativa europea di partecipazione popolare per ottenere la non punibilità del consumo di droghe leggere», afferma Virginia mentre Matteo annuncia «nuovi atti di disobbedienza civile di massa» sulla cannabis. Su Micromega, Beppino Englaro ha commentato così: «Nessuno arretrerà di un centimetro. La mole di firme raccolta dimostra che la società vuole sentirsi finalmente libera. Quando abbiamo iniziato la nostra battaglia per Eluana eravamo soli. Soli a rivendicare un diritto sacrosanto che mia figlia voleva esercitare, non noi genitori. Lei non aveva voce e quella voce gliel’abbiamo prestata. Oggi non è più così. La società civile ha preso in carico il tema, si è espressa in tutte le sedi possibili, con ogni tipo di manifestazione possibile. A non essere cresciuta, maturata, a essere rimasta ferma è solo la politica».

La politica, ha perfettamente ragione Englaro, è la grande assente. Soprattutto la politica della sinistra che tace o balbetta, mentre la destra è da sempre decisamente contro ogni estensione dei diritti. E non dovrebbe invece la sinistra immergersi in questa sorte di fiume carsico che interpreta in pieno il diritto a una morte dignitosa, a non dover subire l’indegnità del sistema carcerario per uno spinello? La sinistra cerca i giovani ma non sta mai dove vivono, lottano, si impegnano (come dimostra il fatto che il 70 per cento delle firme per la cannabis sono di under-35), al massimo li invita a qualche colto seminario. Per parlare di questo mi rivolgo a Gianfranco Spadaccia, storico leader radicale, compagno di lotta di Marco Pannella. Spadaccia ha scritto un libro davvero bello (“Il Partito Radicale, sessant’anni tra memoria e storia”, edito da Sellerio). Si legge anche come il romanzo di formazione di una giovane classe dirigente che, per la prima volta in Italia dopo il fallimento del partito d’azione, dà corpo e sostanza militante a una componente liberale della sinistra, che si pone come obiettivo non «l’unità delle forze laiche», ovvero un centrismo conservatore, bensì «l’unità laica delle forze di sinistra» per l’alternativa alla Dc. Se l’obiettivo politico non fu mai raggiunto, attorno alla leadership carismatica di Marco Pannella e con tantissimi altri protagonisti, si aggrumò tuttavia un grandioso movimento per i diritti civili che investì tutta la sinistra, tanto i socialisti alleati spontanei, quanto i comunisti riluttanti.

Dice Spadaccia: «Fu Paolo Mieli a dire che quello radicale fu l’unico caso italiano di liberalismo popolare e non elitario». E aggiunge tagliente: «Un socialista che boccia i referendum? Sorvolo per carità di patria». Come mai però, nessun partito di sinistra ha difeso i referendari? «A parte la galassia radicale, la sinistra italiana oggi è ben lontana da quegli anni. Il Psi fu nostro alleato naturale, ma anche il Pci di Longo fu aperto, molto più di quello di Berlinguer. Il Pd, erede dei post-comunisti e dei post-democristiani, è molto più indietro di quei partiti. Sembra che i diritti civili siano una sovrastruttura, mentre riguardano i fondamenti della democrazia. È grave che non capiscano che per sconfiggere quella che Marco Pannella chiamò la peste italiana, che oggi ha il volto del populismo e del nazionalismo, la partecipazione popolare che si esprime nei referendum e nelle lotte per i diritti civili è essenziale».

«Non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo», mi dice Antonia, giovane attivista pro-eutanasia legale dai capelli blu, citando i versi di Fabrizio De Andrè.