Emozioni selvagge, desideri sfrenati, relazioni non convenzionali. Protagonisti Dietrich, Dalì, Erika Mann. Alla vigilia del nazismo e della seconda guerra mondiale c’è un mondo che abbiamo rimosso: «la fase dell’umanità più bella del Novecento». Parla Florian Illies, autore de“L’amore al tempo dell’odio”

Non capita spesso di entrare in una navicella spaziale e viaggiare a ritroso nel tempo. Attraversare generazioni, superare pregiudizi e luoghi comuni e, come se fossero dei contemporanei, entrare in contatto con personaggi vissuti un secolo fa. Florian Illies, classe 1971, è bravissimo in questa misteriosa arte di “resuscitare” il passato e i suoi più famosi protagonisti. Come sa bene ogni suo lettore stregato da “1913”, il saggio pubblicato nel 2013 da Marsilio in cui Illies ricostruisce l‘atmosfera dell’anno precedente alla prima guerra mondiale. Un best seller sugli sprazzi di luce prima della Grande Catastrofe, già tradotto in 27 lingue. Ora il mercuriale Illies ha compiuto un altro dei suoi “viaggi esplorativi”, ma lungo un intero decennio, gli anni Trenta del Novecento: “L’amore al tempo dell’odio”, si intitola così l’opera, magistralmente tradotta da Francesco Peri, sempre per Marsilio, che Illies ha dedicato a quel particolarissimo cosmo che dagli ultimi effervescenti e dorati anni Venti precipiterà di colpo nell’abisso del nazismo. «Di quel decennio sappiamo tutto, storici ed economisti hanno analizzato pressoché ogni cifra e data», esordisce l’autore, a tavola nel suo ristorante preferito nel centro di Berlino, «ma non come allora intellettuali e artisti vivevano l’amore, le relazioni di coppia e l’istituzione del matrimonio».

 

Occhialetti chiari, occhi azzurri e barbetta, Illies ha studiato storia dell’arte: la passione per la letteratura e la pittura classica e moderna (a cui ha dedicato il bel saggio “Le nuvole”) traspare in ogni frase che scrive o dice. «Mi sento come l’ultimo dei romantici. Sono follemente innamorato dell’Italia e di Napoli. E per scrivere questo libro sugli amori folli degli anni Trenta mi sono immerso nel periodo leggendo diari e carteggi, e ascoltando la musica dell’epoca», aggiunge.

 

“Amori folli”: la chiave migliore per tornare a quel fermento scandito da party ed emozioni selvagge che, a Berlino come a Parigi, le due vere capitali dell’epoca, Brecht o Anaïs Nin, Klaus ed Erika Mann, Lee Miller o Gottfried Benn vivono bruciando ogni freno e amando disperatamente perché all’orizzonte intuiscono – e dal 1922 in poi bastava guardare all’Italia di Mussolini – l’imminente catastrofe mondiale. «Quel che rende così interessanti le relazione emotive che scrittori e artisti vivono in quegli anni ruggenti della Repubblica di Weimar non è solo la dionisiaca impulsività, ma soprattutto la freddezza con cui ora guardano all’amore e all’incontro col prossimo amante». Ciò che oggi chiamiamo “coolness”, insomma, non è affatto una invenzione post-moderna, ma «quella corazza emotiva dietro cui tutti i grandi artisti di quegli anni finiscono per trincerarsi. Tutti sanno che l’avventura dell’amore è sempre a rischio, una ferita difficile da rimarginare». È per questo che Bertolt Brecht, non appena convolato a nozze con la sua Helene Weigel, mezz’ora dopo è già alla stazione per porgere a Carola, l’amante di turno, il bouquet delle nozze.

 

Brecht sarà pure «un vampiro egomane e sin troppo pieno del suo genio», diagnostica Illies. Ma il drammaturgo dell’“Opera da tre soldi” non è certo un’eccezione in quegli anni esplosivi. La divina Marlene Dietrich, che ha stregato prima Berlino e poi Hollywood, femme fatale in giacca e cravatta dagli occhi di cerbiatta e la voce rauca, non è da meno nella sua glaciale ars amatoria. «La donna in quegli anni sta conquistando il proprio ruolo nell’arte, nel cinema e nella poesia. E sa che non dipende più in nessun modo dall’uomo». Sta imparando non solo a non legarsi in costellazioni fisse ma, a buon bisogno, anche a far soffrire mariti gelosi e illusi amanti. È “L’angelo azzurro”, come l’indimenticabile Marlene ci mostra nel capolavoro di Josef von Sternberg. Nemmeno un raffinato scrittore come Erich Maria Remarque, l’autore di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” riuscirà a legare a sé la mitica Marlene.

 

«Per queste donne così forti e libere della Repubblica di Weimar, non è più il delicato giglio né il misterioso ermellino il simbolo della femminilità, bensì la rombante automobile con cui Erika Mann sfreccia nelle notti berlinesi», spiega Illies. Non per niente una delle pittrici più note di quegli anni è Tamara de Lempicka, e il suo quadro più iconico “Autoritratto in Bugatti verde”. «L’uomo è spiazzato da tanta potenza femminile e lo stato d’animo di tanti scrittori del periodo è di greve malinconia», continua lo scrittore.

 

Nelle pagine di Illies riviviamo le cupe frustrazioni di Gottfried Benn, il medico-poeta con le sue rocambolesche avventure fra due, tre muse alla volta. Vediamo naufragare Walter Benjamin, il filosofo della quotidianità berlinese e della Storia come cumulo di catastrofi, per citare il suo Angelus Novus, da una batosta amorosa all’altra (anche a Ibiza, dove impazzirà per Anna Maria, una giovane olandese, Benjamin verrà inesorabilmente lasciato alla sua melanconia).

 

Ma se gli anni Trenta sono una dissacrante primavera di erotismo, «il periodo più amorale del ventesimo secolo», per dirla con Illies, come mai nella nostra coscienza non ha lasciato tracce? Perché abbiamo rimosso questa «fase dell’umanità che probabilmente è la più bella del Novecento», come la definisce Illies? Semplice: la dose di cinismo che impregna quella società e i suoi amori è il risultato dell’immensa ecatombe della Grande Guerra, che ha fatto letteralmente a pezzi nelle trincee i corpi dei soldati, così come li dipinge Otto Dix nei suoi quadri agghiaccianti. Dopo tragedie del genere persino la nascita di un figlio, di Ursus, viene dipinta dal geniale Dix senza omettere nessuna ruga sul volto, nessun livido sul corpo del figlio. «Di sicuro il ritratto più brutale con cui si è mai dipinto un neonato», osserva Illies. Come sanno però gli psichiatri, un trauma di quella portata ha bisogno di almeno un decennio per essere elaborato. «Non è un caso se il romanzo in lingua tedesca sinora più letto e citato al mondo, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”», sottolinea Illies, «è quello di Remarque, che esce nel 1929, un decennio esatto dopo la carneficina che ha devastato l’Europa». E nell’anno della crisi finanziaria che, di lì a poco, incendierà di nuovo il pianeta. «A partire dal romanzo di Remarque gli uomini del tempo riflettono sulle abnormità della guerra. Vivendosi intanto i loro amori senza scrupoli, con naturalità; e questo è il fascino di tante coppie di quegli anni, una meno normale dell’altra».

 

Difficile in effetti scegliere nel libro di Illies quali siano le coppie più stonate e gli amori più furiosi. Il rapporto del giovanissimo Salvador Dalì con la sua musa e consorte Gala (dipinta anche «con due cotolette di agnello in equilibrio sulle spalle») è a dir poco surreale. Tenero l’amore che Kurt Weill, il maestro di tanti drammi di Brecht, nutre per la sua Lotte, che lo tradirà a lungo con Otto Pesetti (ma a cui Weill continuerà a girare assegni che i due bruceranno al casinò di Monte Carlo). Impossibile da deglutire l’arcigna freddezza con cui Herman Hesse, nel suo casale a Montagnola, nel Ticino, vive il suo caustico rapporto con Ninon. O le brame erotiche a cui Lion Feuchtwanger, persino negli anni più duri dell’esilio, si abbandona con amanti di ogni tipo (anche con la moglie di Ludwig Marcuse): «Feuchtwanger era un erotomane», chiosa Illies. Eros a parte, ad un secolo dai fasti di Weimar ne riemergono oggi più i lati positivi - la Costituzione, la democrazia, l’emancipazione femminile - della prima Repubblica sul suolo tedesco. Che non ci appare più solo ed esclusivamente, come si riteneva dal dopoguerra, come l’anticamera del nazismo. «Guardando al modo in cui questa Bohème ha speso i suoi amori, alla loro arte, ai rapporti coniugali apertissimi o al modo di vivere l’omosessualità«, sintetizza Illies, «capiamo che la Storia non è una catena meccanica di eventi, ma che tutto sarebbe potuto andare diversamente».

 

Il saggio di Illies, figlio di un entomologo che ha combattuto con l’uniforme della Wehrmacht a Monte Cassino, nonché amico di Ernst Jünger, si snoda in un “prima”, con la luce abbagliante degli ultimi anni Venti; e in un “poi”, nel buio totale che dal gennaio 1933 e per 12 anni calò sulla Germania e l’Europa intera. Ma come si è potuto passare da una fase così frizzante dell’umanità, alle fiamme appiccate dai nazisti al Reichstag di Berlino, al rogo dei libri, alla persecuzione degli ebrei, all’“arte degenerata” con cui misero al bando l’arte degli anni Venti? «I nazisti odiavano l’emancipazione della donna, la “decadenza” della società liberale, e il piccolo borghese fu pronto a seguirli in questa propaganda», spiega Illies. È lo stesso acido veleno, lo stesso odio contro le donne, lo stesso razzismo contro le minoranze con cui ancora oggi l’estrema destra miete consensi in mezza Europa. «Per questo», conclude Illies, «è importante riaccostarsi a quei momenti di libertà e capire come le società si spaccano al loro interno». E come fa presto ad attecchirvi la politica dell’odio.