La sentenza della Corte ha impedito al popolo di votare su eutanasia e cannabis. Ma la nostra battaglia non si ferma qui

Il popolo italiano non potrà decidere se legalizzare l’eutanasia. Il Parlamento italiano non vuole discutere se legalizzare l’eutanasia. In quattro Paesi europei l’eutanasia è invece legale, e nessuno di loro è tornato indietro, né le loro Corti Costituzionali ritengono siano lesi diritti fondamentali o principi costituzionali.

 

Il blocco delle strade istituzionali per introdurre in Italia ciò che è già legge in importanti democrazie impone ora di proseguire per altre vie la battaglia per il diritto alla libertà di scelta fino alla fine della vita. Certamente, la cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte Costituzionale renderà il cammino più lungo e tortuoso, e per molte persone ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza e violenza. Ma andiamo avanti.

 

Come Associazione Luca Coscioni non lasceremo nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari, «dal corpo delle persone al cuore della politica». Saranno proprio le persone che quotidianamente si rivolgono a noi a decidere le forme e i tempi di questa nuova fase. Personalmente sono pronto, con Mina Welby, ad affrontare nuovi processi ed eventuali condanne.

 

Ci rivolgeremo anche alle forze politiche e parlamentari, in questi anni particolarmente assenti o impotenti. Non siamo «antipolitici» né «antipartitici», ed anzi ritenevamo che la campagna referendaria avrebbe potuto rappresentare un’occasione per riconnettere le istituzioni alla società italiana, comunque la si pensi nel merito.

 

Enrico Letta, Giuseppe Conte e tanti altri hanno subito dichiarato che ora, dopo la bocciatura del referendum, ci vuole una legge. Purtroppo però il testo in discussione in Parlamento, a prima firma Pd e M5s, non solo non introduce nuovi diritti rispetto alla sentenza “DJ Fabo - Cappato” della Consulta di tre anni fa, ma addirittura aggiunge criteri restrittivi limitando il campo di applicazione ai malati con prognosi infausta (né Fabo, né “Mario” – persona tetraplegica che nelle Marche ha ottenuto dopo 18 mesi il via libera al suicidio assistito - sono in quelle condizioni di prognosi infausta. Se la legge non sarà migliorata, fa notare Filomena Gallo, finirà per essere controproducente per i diritti di chi soffre.

 

Comunque andrà a finire in Parlamento - e ci sono concrete possibilità di un esito simile a quello del ddl Zan - i contraccolpi più gravi della decisione di inammissibilità del referendum si faranno sentire sulla credibilità delle istituzioni più che sulla questione del fine vita. Da più parti si sente dire che siamo di fronte a una «crisi di sistema», ma nessuno è in grado di spiegare come si possa uscire dalla crisi senza coinvolgere i cittadini, magari affidando le soluzioni agli stessi protagonisti partitici che in quella crisi ci hanno sprofondato.

 

 

Considerati i limiti del nostro sistema politico-istituzionale, è necessario allargare lo sguardo a una dimensione internazionale. Partendo dal contesto europeo, è indispensabile fare di nuovo ricorso agli strumenti della partecipazione civica. Il prossimo appuntamento è fissato per l’11 e 12 marzo a Varsavia, nel cuore dell’Europa proibizionista e nazionalista, per il Congresso fondativo del Movimento paneuropeo “Eumans”, per aprire un fronte europeo di iniziative per la libertà delle scelte di fine vita (es. un testamento biologico europeo) e per l’abrogazione delle norme proibizioniste sulla cannabis a livello europeo.

 

Sono grato a chi ha dato forza finora alla campagna “Eutanasia legale”, inclusi quel milione e 240.000 cittadini che hanno sottoscritto i referendum e i tanti che ci hanno sostenuto, anche tra quei partiti i cui “capi” hanno invece ignorato finora la proposta referendaria.

 

A loro, e a tutti i cittadini diciamo che la lotta per essere «liberi fino alla fine», iniziata con Piergiorgio Welby 15 anni fa, prosegue.