Nel piano progettato dal ministro leghista, i più forti si prendono tutto. Il contrario di quanto dice la Costituzione, difesa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

A comandare l’“indietro tutta” è stato lo stesso ministro Roberto Calderoli, che pure dell’“autonomia differenziata” - la riforma che dà più soldi e poteri alle Regioni del Nord - è il massimo profeta e regista: «È solo una bozza, se ne riparlerà, vedremo». E va bene, evviva, ma perché tanta improvvisa prudenza?

 

Forse anche questa partita rientra nella strategia degli annunci cara al nuovo governo: si spara, poi si frena; o magari è stata proprio Giorgia Meloni a intervenire temendo che il progetto Calderoli possa spaccare in due l’Italia, bandiera che sventola nel nome del suo partito; ma è possibile pure che un “caveat” sui rischi costituzionali del provvedimento arrivi dal Quirinale. Come confermano i richiami di Mattarella, la scorsa settimana dinanzi ai sindaci d’Italia, alla «coesione nazionale», al «principio di uguaglianza», alla «garanzia dei diritti dei cittadini, al Nord come nel Mezzogiorno». Si parla di autonomia, senza mai citarla.

 

Da qualche tempo il Presidente fa sentire più spesso la sua voce, anche perché gli scivoloni del governo si susseguono: i medici no vax e la stretta no rave, gli screzi con Macron e il tetto al contante, e i richiami sono ora per ragioni di forma (l’inutile e poco ortodosso ricorso al decreto legge, gli svarioni in un testo di legge), ora per richiamare il rispetto di un trattato internazionale (quello con la Francia firmato un anno fa) o per motivi di opportunità (no vax). Stavolta però la questione è ancora più delicata perché sono in gioco fondamenti della Costituzione di cui il Presidente è garante.

 

Dal testo firmato Calderoli tracimano rischi, pasticci e trabocchetti. Scegliamo fior da fiore. Si prevede che si svolga tra Regioni e ministro, ignorando il ruolo del Parlamento, una sorta di trattativa privata su funzioni, soldi, e materie che lo Stato è disposto a delegare: sono ventitré, dalla scuola ai trasporti, dall’ambiente alla sanità, quasi tutto. I patti che ne deriveranno saranno di fatto blindati visto che sarà possibile modificarli solo con il consenso della Regione interessata, cioè mai, nemmeno se il governo si convincesse dell’opportunità di rivederli.

 

Ma naturalmente la questione più delicata riguarda i soldi. Ci sono due criteri per trasferirli dal centro alla periferia: uno è quello congegnato in modo da garantire a tutti i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep); l’altro è legato alla “spesa storica”, cioè a quanto le Regioni hanno destinato negli anni precedenti a scuola, sanità, trasporti. Il primo sistema aiuta le amministrazioni più povere, l’altro favorisce le più opulente che già offrono, storicamente, servizi migliori e più costosi. La bozza Calderoli sceglie il secondo - c’è solo un anno di tempo per fissare i Lep prima del passaggio automatico al criterio della spesa storica: troppo poco - riuscendo a spaccare in due il Paese prima ancora di diventare legge: a favore le regioni del Nord care alla Lega, in rivolta quelle del Sud, sia a guida centrosinistra come Campania e Puglia, sia di centrodestra come Molise, Basilicata e Calabria.

 

Ora, la Costituzione già prevede un’autonomia differenziata (art. 116), ma in coerenza con i principi generali della Carta e fissando nel dettaglio tutte le competenze di Stato e Regioni, e le “concorrenti”, cioè in condominio, come istruzione, salute, protezione civile, beni culturali, ambiente. Quella di Calderoli, invece, è una sorta di autonomia “on demand” nella quale il più forte si accaparra tutto. Il contrario dell’unità della Repubblica, principio fissato nella prima parte della Costituzione. Che ogni tanto Meloni evoca. Ma che Mattarella per ufficio difende e garantisce.