Il costo alto della vita e l’età che avanza dei precari spingono sempre più docenti a rinunciare all’indeterminato, pur di vivere un’esistenza dignitosa

Uno stipendio di 1.500 euro. Un affitto da pagare di 600 per un monolocale a Luino, un Comune di 14 mila abitanti in provincia di Varese, al confine con la Svizzera, circondato dalle montagne. Dove vivono anche molti lavoratori frontalieri che, con i loro salari, contribuiscono a innalzare il costo della vita. Almeno altri 200 euro da aggiungere per le bollette, il cibo, le altre spese indispensabili per la sopravvivenza. E poi ci sono i viaggi - almeno 50 euro a tratta per 5 ore - per tornare a Roma. E l’appartamento che Giovanni non vorrebbe lasciare nella Capitale dove fino a oggi convive con la compagna: «Un altro affitto da pagare. Stiamo insieme da sei anni, conviviamo da a uno. È stato un passo importante, se lasciassi la casa che abbiamo insieme mi sembrerebbe di tornare indietro. Per questo non voglio farlo. E anche perché, come dovrei fare quanto rientro a Roma, prendere un Bnb?», si chiede amareggiato.

 

Ha 33 anni, è un insegnante di tedesco, precario da quando è rientrato in Italia, nel 2018. Nel 2020 ha partecipato al concorso ordinario per la scuola e ha vinto il posto. «In Lombardia, perché per il Lazio non c’erano posti disponibili, sono arrivato tra i primi ma non pensavo mi chiamassero quest’anno. Prima della mia c’erano altre graduatorie da esaurire, invece a fine luglio ho saputo di dovermi trasferire. Tra qualche giorno parto», Giovanni racconta che ha pensato molto se accettare oppure no: «Non è stato facile. Vado via all’improvviso, a centinaia di chilometri da casa, in un paesino di montagna dopo anni di vita in una città grande e vitale come Roma, lontano da tutte le persone che conosco e a cui voglio bene. Ho accettato perché sono ancora abbastanza giovane, non sposato, non ho figli, ma non è stato semplice decidere. Molti colleghi sono più grandi di me e hanno preferito rinunciare».

 

Dal racconto di Giovanni si capisce che la maggior parte dei docenti che ha preferito rimanere tra i precari invece di accettare un contratto a tempo indeterminato l’ha fatto perché si sarebbe dovuto trasferire o in sedi remote, distante dai familiari, in luoghi molto spesso anche difficili da raggiungere con il trasporto pubblico. Oppure in città troppo costose per lo stipendio che un insegnante percepisce in Italia. Tra i più bassi d’Europa nonostante i 124 euro lordi in più previsti dal nuovo contratto scuola 2019-2021, sottoscritto già scaduto.

 

Che siano sempre meno i professori in particolare del sud disposti a trasferirsi al centro-nord alla conquista di un lavoro stabile lo dimostrano anche i dati. È un esempio quello che sta succedendo in Emilia-RomagnaLombardia, regioni in cui la richiesta di docenti di ruolo c’è. Ma non si riescono a trovare: con la call veloce, la procedura che permette l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente educativo in province diverse da quelle di pertinenza delle graduatori, per entrare prima in ruolo, in Emilia Romagna sono arrivati solo 17 docenti su 2.137 posti disponibili, in Lombardia circa un centinaio su oltre 2.600 posti.

 

Come spiega  Giovanni, è un deterrente anche il fatto che per tre anni i neoassunti siano obbligati a restare nella scuola di nomina, senza possibilità di chiedere il trasferimento. Così sempre meno docenti sono disposti a sradicarsi in nome di un posto fisso che ormai garantisce a stento uno stile di vita dignitoso. Anche perché nell’attesa di essere immessi in ruolo la maggior parte dei precari della scuola - i sindacati stimano che per il 2023/2024 saranno 200 mila - avanza con l’età, mette radici, si fa una famiglia, si costruisce la vita.