Trascurato da decenni da tutte le forze politiche, il Mezzogiorno ha premiato quella che si è presentata come voce di chi affolla le sue periferie urbane e sociali

Patriota. Non meridionalista. Se le parole hanno ancora un senso - e viene da dubitare - l’approccio di Giorgia Meloni nei confronti di un territorio in cui si concentra un terzo della popolazione italiana, la più svantaggiata, è di tipo negazionista. Il Mezzogiorno d’Italia non esiste come questione nazionale. Semmai, per il suo governo a trazione nordista, si ripropone di nuovo la questione settentrionale. Sublimata con la cannibalizzazione del consenso leghista. Operazione perfettamente riuscita nelle urne il 25 settembre.

 

Patriota, non meridionalista, è la definizione che ha dato di sé stessa la presidente del consiglio quando era ancora in campagna elettorale e vedeva avvicinarsi il traguardo di Palazzo Chigi. Lo ha gridato il venerdì prima del voto a Napoli, nel comizio conclusivo organizzato sull’arenile di Bagnoli, quartiere simbolico, un tempo fucina dell’aristocrazia operaia partenopea, ora monumento all’immobilismo urbano.

 

L’antica e orgogliosa capitale del Sud ha così ricambiato il negazionismo meridionalista della Meloni consegnandole un modesto 12,3 per cento. Appena un po’ meglio è andato il Pd, 16 per cento. Mentre il resuscitato Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, con un corposo 43 per cento, si manifesta come un inedito difensore civico di un Sud che si considera bistrattato, percepito come zavorra dall’establishment nazionale.

 

Nelle analisi del dopo-voto il successo sudista dei Cinque Stelle è stato ghettizzato come una forma più raffinata di voto di scambio, basata sul reddito di cittadinanza. Certo, il reddito ha pesato, eccome. Ma non è l’unico motivo del consenso. Nella versione fuori dal Palazzo, Conte consegnandosi alla piazza ha intercettato un sentimento che da sempre serpeggia, più o meno sottotraccia, in ampi strati popolari delle aree urbane meridionali. Un Sud contro. Diffidente verso quella modernizzazione che mira a concentrare risorse, investimenti, infrastrutture da Roma in su. Salvo riesumare il mitico ponte sullo Stretto, come ha prontamente fatto il ministro e vicepremier Matteo Salvini.

 

Negli ultimi trent’anni, dalla nascita della Seconda Repubblica, il Mezzogiorno è stato trascurato più o meno da tutti. Con qualsiasi premier e con qualsiasi maggioranza di governo. In attesa che spuntasse il sol dell’avvenire, il reddito di cittadinanza è apparso come un intervento concreto di contrasto alla povertà. Avvertito nella sua immediata spendibilità anche da chi non lo ha incassato. Un esempio?

 

Quei segmenti di ceto medio terrorizzati di precipitare nella miseria per effetto di inflazione, caro-bollette, crisi internazionale. Un bisogno di autotutela in cui si rispecchiano poveracci senza lavoro e non garantiti dal lavoro autonomo. Un partito sudista, dunque - con tutta l’ambiguità contenuta nella parola sudista - in grado di rivolgersi a chi affolla le periferie urbane, sociali e persino esistenziali del Mezzogiorno.

 

È un ritorno alla lotta di classe. Ma al contrario. Di chi ha di più contro chi ha di meno. Di chi tutto sommato ha raggiunto una posizione di benessere e non crede che esistano ancora povertà e indigenza. Che cosa è, se non questo, l’autonomia differenziata tra le regioni a cui sta lavorando a tutta velocità il ministro Roberto Calderoli: più soldi alla parte ricca del Paese, a discapito delle regioni più deboli. “Il Mattino” di Napoli ha calcolato che, se passasse l’autonomia anche per la competenza dell’istruzione scolastica, prevista nella bozza Calderoli, le scuole delle regioni meridionali perderebbero un miliardo e 400 milioni di fondi statali. Con l’unica colpa di avere un personale docente più anziano della media, dunque con stipendi (di fame) più alti.

 

Il Pd sull’autonomia differenziata vive l’ennesima contraddizione: al Sud si professa contrario; ma Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, possibile futuro segretario nazionale dem, ne è un convinto sostenitore. In compagnia dei leghisti Luca Zaia e Attilio Fontana. Un cortocircuito comunicativo e politico totale. In molti quartieri popolari di Napoli il Pd è ridotto a percentuali a una cifra. Incubo francese, il rischio di sparire come è accaduto al Partito socialista di Hollande. Un’eventualità su cui si proietta Conte, in attesa di completare la sua trasfigurazione nel Mélenchon italico: dal Sud all’opzione su ciò che resta a sinistra.