Intere famiglie di sfollati si mettono in fila per la distribuzione degli aiuti umanitari dagli occupanti: immagini che la propaganda usa poi in patria. E l’entusiasmo per la controffensiva si è già spento di fronte alla prospettiva di una guerra ancora lunga

«Non esiste nessuna situazione a cui l’uomo non possa adattarsi, specialmente se vede che tutti quelli che lo circondano vivono allo stesso modo», scriveva Tolstoj in Anna Karenina. Questa frase si impone al pensiero quando si ascoltano le storie degli abitanti dei territori contesi del Donbass o di quelli appena liberati di Kharkiv.

 

A un certo punto anche la stanchezza, la paura, la sofferenza e la disillusione sul futuro lasciano il posto alla necessità di continuare a vivere, così come è stato per centinaia di migliaia di ucraini dal 24 febbraio a oggi.

 

La fame, in modo particolare, aiuta e accelera questo processo di tragica normalizzazione dei bisogni. Così intere famiglie di sfollati si mettono in fila di fronte ai tendoni di distribuzione degli aiuti umanitari dei russi nelle città occupate, consegnano i documenti per essere identificati e ringraziano con sorrisi assenti chi prima li ha bombardati. Succede a Kherson, succedeva nei villaggi delle zone di Kharkiv, a Mariupol e nel Lugansk. Il servizio stampa dell’esercito di Mosca e le televisioni russe spesso riprendono questi momenti per provare in patria e all’estero la magnanimità delle forze di occupazione. Il che non costituisce nulla di scandaloso, lo fanno tutti gli eserciti in terra straniera, dopo le bombe viene il pane. Altrimenti come si potrebbero giustificare locuzioni altisonanti come «guerra per esportare la democrazia» e «operazione speciale a difesa degli oppressi da un regime autoritario»? Ma quelle stesse immagini non solo segnano uno dei punti più bassi della prepotenza dell’uomo sui suoi simili, ci consegnano anche un quadro plausibile del prossimo futuro qui in Ucraina.

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«Il mio vicino di casa - racconta Evgene - ha tre figli e già prima della guerra svolgeva lavori saltuari, dopo tre settimane di occupazione aveva dato fondo a tutte le scorte presenti in casa e così ha iniziato a chiedere ai militari russi».

 

Evgene è un uomo di 55 anni di un paesino appena fuori Kharkiv, quando è scoppiata la guerra si è trasferito in campagna a Vovchansk da alcuni parenti. «È vero che era più vicino al confine, ma almeno lì avevamo l’orto, una casa più grande e in campagna credevo che sarebbe stato più facile resistere». Quasi subito si capisce che per lui era una questione d’orgoglio, anche se non lo dice esplicitamente, fin dall’inizio aveva deciso che non avrebbe chiesto niente agli «occupanti». «I negozi di alimentari hanno chiuso quasi subito, sia perché noi residenti abbiamo comprato tutto il possibile, sia perché i russi hanno confiscato la merce che rimaneva, chi aveva ancora qualcosa se la teneva per sé». Così si è diffuso il contrabbando e il mercato nero. «C’erano dei bastardi che andavano con la macchina oltre il confine (Vovchansk dista solo pochi chilometri dalla frontiera con la Russia, ndr) e compravano i prodotti più scadenti e più economici possibile in rubli per poi rivenderli a noi in grivna a cinque, dieci volte tanto».

 

I militari li lasciavano passare? «Sì, sono di quelli che non importa chi comandi riescono sempre a trovare il modo di corrompere qualcuno». «Comunque - continua Evgene - preferivo comprare le cose da questi sciacalli che dai russi stessi». E poi qualcun altro aveva trovato anche un modo per smerciare denaro, «gli consegnavamo la carta di credito o i codici e andavano, sempre con il permesso di qualche soldato compiacente, nelle città vicine dove c’era qualche filiale bancaria ancora aperta a ritirare». Su queste operazioni prendevano delle commissioni da usura: «Su mille grivna, ad esempio, se ne tenevano almeno 300… ma non c’era alternativa». E i militari come si comportavano? «Una volta sono stato fermato: mi hanno chiesto perché non mi avevano mai visto alla distribuzione degli aiuti; non potevo rispondere che avevo delle scorte perché sicuramente avrebbero preteso di entrare in casa per poi rubarle, se avessi parlato del mercato nero forse mi avrebbero arrestato, così ho detto: “Abbiamo l’orto”. Mi hanno accusato di essere un nazionalista ucraino e hanno preteso di vedere il mio cellulare. Gli ho detto che non l’avevo ma non ci hanno creduto. “Che cavolo me lo porto a fare se è scarico? Non abbiamo la corrente in casa, lo sapete. E poi non c’è linea da quando siete arrivati voi, non potrei comunque comunicare con nessuno”». Ci hanno creduto e l’hanno rilasciato dopo averlo identificato ma, purtroppo per lui, aveva appena preso dei soldi dal contrabbandiere e glieli hanno sequestrati.

 

Poi, intorno alla metà di settembre la situazione è cambiata. I militari russi hanno iniziato a entrare nelle case e nei negozi e «hanno rubato tutto quello che potevano, lavatrici, computer, televisioni, vestiti». Caricavano tutto sui camion e sulle macchine (rubate anche quelle) e non pensavano alle armi. «Due giorni prima che entrassero i soldati ucraini si sono presi anche le biciclette e sono scappati». Evgene aggiunge che hanno lasciato persino un carro armato e diversi lanciarazzi che lui sostiene di aver visto. I contrabbandieri se ne sono andati con loro.

 

Come Vovchansk decine di altri villaggi, centinaia di chilometri quadrati sono stati riconquistati dall’esercito ucraino. Non dappertutto è stato semplice come nel paese di Evgene, ma la manovra era ben studiata e le forze adeguate. I russi si sono ritirati disordinatamente e hanno abbandonato anche dei territori che gli erano costati mesi di sforzi e dure battaglie. Come Izyum, un centro di grande importanza strategica a metà strada tra la capitale del Donetsk ucraino, Kramatorsk, e Kharkiv. Quasi nessuno dei giornalisti e degli analisti internazionali credeva possibile un’avanzata così fulminea e vittoriosa dell’esercito ucraino. Izyum è troppo importante per la conquista del Donbass, che rimane un obiettivo primario di Putin, e per esercitare pressione sul territorio di Kharkiv, si diceva. Eppure le colonne ucraine sono entrate nella cittadina il 10 settembre, dopo oltre 5 mesi di occupazione russa. Possibile che in tutto quel tempo lo stato maggiore di Mosca non fosse riuscito ad approntare delle difese sufficienti a tenere il controllo dell’area? La prova della realtà ha poi fugato ogni dubbio. Allo stesso modo, Balaklija, Shevchenkove e quasi tutta Kupjansk sono state riconquistate e ora i soldati ucraini stanno per tentare il colpo di mano definitivo: la riconquista di Lyman in Donbass.

 

Com’è ovvio, Kiev sta cercando di assicurarsi il controllo di alcuni quadranti strategici prima che Mosca riesca a riorganizzarsi. Uno di questi è l’area dei fiumi che attraversano l’oblast di Kharkiv e scendono nel Donbass. Nelle ultime settimane era abbastanza frequente incrociare sull’autostrada verso Izyum e le aree liberate delle colonne di mezzi corazzati militari che trasportano a rimorchio dei vecchi motoscafi militari, plausibilmente destinati alle operazioni sui fiumi Oskil e Siversk. Sul primo gli ucraini sono avanzati lungo due direttrici: hanno attraversato il fiume a Kupjansk costringendo i russi a ritirarsi sulla sponda orientale del fiume e si sono spinti verso est dalla città di Oskil, riconquistando Yatskivka prima di spostarsi verso sud-est e riprendere il controllo di Oleksandrivka e Krymky Donetsk. Tali spostamenti sono molto significativi perché mettono a repentaglio la linea difensiva russa sul fiume e potrebbero obbligare gli invasori a ritirarsi anche da questi piccoli villaggi verso la regione di Lugansk.

 

Il Siversk, invece, disegna molte anse prima di passare tra Severodonetsk e Lysychansk, il che rende fondamentale il suo controllo. L’esercito ucraino è riuscito a riconquistare Bilogorivka, dove il fiume è più stretto e il passaggio da sponda a sponda agevole. Da qui ora potrebbero avanzare in tutte le direzioni, ma soprattutto verso est, dove si trova Lysychansk.

 

Intanto prosegue il tentativo di accerchiamento di Lyman, centro bersagliato per mesi dall’artiglieria russa e poi finalmente occupato a fine primavera. Da qui gli artiglieri di Mosca bombardano Slovjansk e Kramatorsk e quindi il suo controllo è di fondamentale importanza strategica. Dopo aver riconquistato Svyatogirsk gli ucraini sono riusciti con una manovra lampo a liberare Yarova. La ritirata russa sarebbe stata talmente scomposta da permettere agli ucraini di spingersi fino alla periferia di Drobysheve, l’ultimo villaggio a est prima di Lyman. Del resto, anche da sud-ovest, ovvero da Slovjansk, gli ucraini stanno guadagnando terreno con l’obiettivo palese di circondare la cittadina.

 

Tuttavia, il comprensibile entusiasmo che la riscossa ucraina nell’est ha diffuso tra i militari e la popolazione civile è stato spezzato dal discorso di Putin del 21 settembre. La mobilitazione dei riservisti e i referendum nelle zone di Kherson, Zaporizhzhia, Lugansk e Donetsk hanno fatto ripiombare i residenti nello sconforto. In molti si erano illusi che la cacciata dei russi oltre il confine coincidesse in qualche modo con l’appressarsi della fine del conflitto. Una nuova speranza aveva rotto l’abitudine tremenda di cui parlavamo in apertura. Ma come una mannaia la realtà della guerra ha ricacciato nuovamente ogni aspettativa nelle tenebre dei mesi a venire e il rischio che la nuova condizione sarà peggiore della precedente è la più tremenda delle torture per chi vive qui.