Alfonsina Russo, la direttrice del Parco Archeologico legato al monumento, guida un luogo da 20 mila visitatori al giorno. E sotto lo sguardo degli esperti di tutto il mondo spiega tutto quello che ruota intorno al simbolo più famoso di Roma

La rosa più giovane degli Orti Farnesiani, l’Augusta Palatina, fucsia acceso e profumo insolente, l’ha dedicata a Greta Thunberg, «che simboleggia la sensibilità delle nuove generazioni verso il pianeta e il coraggio di parlare ai potenti della Terra». L’olio, invece, si produce ormai da quattro anni dalle duecento piante che crescono tra le rovine. E Ambrosia, il cibo degli dei, è il miele ricavato dalle api che hanno le loro arnie sul Colle Palatino.

 

Alfonsina Russo, che dirige il Parco archeologico del Colosseo, mostra barattoli e bottiglie nel suo studio a due passi dall’Arco di Tito, la scrivania sormontata dalla scritta Bibliotheca («di Santa Maria Nova, dedicata al culto della Madonna dopo il terremoto del nono secolo che colpì Santa Maria Antiqua»), e richiami al suo lavoro ovunque: la statua di una vestale, una testa di Agrippina («copie dei primi del Novecento di Giacomo Boni»), la testa di un fauno: «Ci è stata restituita dagli Stati Uniti: era stata trafugata negli anni Sessanta, i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale ce l’hanno riportata. La cosa più bella è che abbiamo ritrovato anche il torso, a breve ricomporremo la figura nella Domus Tiberiana». Si accende di entusiasmo, Russo, mentre parla. Nell’aria una fragranza di cannella è l’antiossidante naturale che ben si attaglia al luogo: «Chi arriva qui è travolto da un’idea di tempo sospeso. Io voglio far dialogare questo tempo cristallizzato col tempo che scorre, il nostro, di oggi».

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Calma, diretta, in sintonia con la bella pietra di luna che indossa alle dita, sorvola sul concorso da centinaia di pretendenti al ruolo che riveste («un onore e un grande onere»), minimizza sul peso di dirigere un luogo dove ogni decisione è sotto lo sguardo dell’archeologia mondiale. E, senza tecnicismi, accantonando un curriculum online da 51 pagine, si racconta.

 

«Ho sempre avuto il pallino dell’archeologia, sin da bambina. Sono salentina. Vengo da una famiglia di medici, che inizialmente mi ha un po’ osteggiata: avrebbero voluto che studiassi anch’io Medicina. Ma sono andata avanti, tenace e testarda». Lettere Classiche indirizzo archeologico a Perugia («con professori bravissimi come Mario Torelli»), dottorato a Milano, scavi archeologici con l’università di Ferrara, specializzazione a Lecce: «Ho fatto la tesi insieme con Massimo Osanna, l’attuale direttore generale dei musei italiani. Ho iniziato la mia carriera in Basilicata, il mio principale ambito di interesse sono stati i rapporti delle popolazioni italiche con i greci e con i romani, mi sono specializzata in mostre internazionali, ho lavorato in Molise, in Etruria, poi ho vinto il concorso da dirigente del Ministero nel 2009. Infine, sono arrivata al Colosseo, dopo un concorso internazionale. Sì, certo, sono una donna fortunata per il luogo in cui opero. Il lusso assoluto è però fare un mestiere di cui sono appassionata».

 

L’archeologia è una passione che un giovane può ancora coltivare? «Sì, a patto di avere la consapevolezza dei sacrifici necessari. Io sono entrata al Ministero a 39 anni, ho fatto tutta la gavetta. È difficile, però se c’è passione e tenacia si può fare. Cosa ho provato quando ho scoperto di aver vinto il concorso, nel 2017? Tanta emozione. E ho dovuto staccare il telefono, travolta dalle chiamate di amici e giornalisti. Ho sentito la responsabilità di dirigere un luogo così complesso: siamo sempre nell’occhio del ciclone, ogni attività deve essere ponderata. Ci vuole equilibrio, buon senso e apertura: qualità fondamentali per questo luogo».

 

Un’area delicata, visitata da migliaia di turisti: «Siamo tornati quasi ai livelli pre-Covid, con 20-22mila visitatori al giorno. Prima ne avevamo 25 mila, con picchi di 30 mila, ma manca ancora il turismo orientale». Lo sforzo è attrarre pubblici diversi, che non si fermino a una visita soltanto: «Oltre al turista che viene in Italia, al quale offrire una visita confortevole - l’ultima iniziativa è un baby pit stop per le mamme - abbiamo individuato tanti itinerari: multimediale, per attrarre i più giovani, o sulla pittura. Abbiamo una passeggiata archeologico-naturalistica del Palatino meridionale. Un biglietto per la visita unificata dei Fori imperiali e il Foro romano...».

 

Tutti i giorni attraversa la bellezza, ci si abitua? «No, credo proprio di no. Questo è un luogo molto articolato, ogni giorno scopri qualcosa che non avevi visto prima. Io noto subito ciò che non va e su cui intervenire. Guardo i turisti, sento l’atmosfera, fortunatamente non ci sono tante file perché funziona il senso unico e non c’è più caos all’ingresso».

 

Il decoro è un tema che le sta davvero a cuore: «Stiamo lavorando bene con Roma Capitale, ma bisogna fare ancora tantissimo, quattro anni non bastano. Di cosa sono più soddisfatta? Della manutenzione del sito costante e programmata. Abbiamo progetti importanti all’interno del Parco, come quello rivolto alle persone fragili, organizziamo laboratori, attraverso associazioni corsi di yoga, campi estivi per i bambini. Abbiamo molti protocolli come quello con Coldiretti per l’olio, con Mura Latine per le api urbane, con altre associazioni per ragazzi con disabilità: vogliamo avere un ruolo etico e sociale. E intrecciamo questi luoghi a forme d’arte: un sito archeologico deve comunicare concetti ed emozioni contemporanei».

 

Se voci del teatro si mescolano a esperienze di videoarte, è il digitale la grande sfida: possiamo immaginare il Colosseo nel Metaverso? «Perché no, stiamo lavorando molto con il ministero della Cultura. Il tempo del Covid ha fatto esplorare possibilità nuove sotto il profilo multimediale. Ora attendiamo linee guida, comuni, sull’universo degli Nft e sulle opportunità per luoghi del sapere come questo». Ma quanto pesa il Colosseo nell’economia della cultura? Secondo lo studio di Deloitte “The value of an iconic asset”, contribuisce per 1,4 miliardi di euro all’anno all’economia italiana come attrazione turistico-culturale e vale, come asset sociale, 77 miliardi di euro. «Il Colosseo è la nostra memoria e identità. Perciò ha un valore inestimabile. Ma è importante sottolineare che il Parco sostiene il sistema museale nazionale e tutti i monumenti di Roma, perché versa metà dei suoi introiti: il 20 per cento al sistema museale, il restante 30 per il restauro e la conservazione dei monumenti di Roma. L’andamento del Colosseo è importante per tutti. Senza contare l’effetto a catena su alberghi, ristoranti, operatori turistici. Tempo libero? Passo la mia giornata qui, ma avendo passione per ciò che faccio non distinguo tra lavoro e tempo libero. Sono sposata con un archeologo, Marcello Tagliente, che mi ha sempre sostenuta». Ma perché usa “direttore”, al maschile? «Non è così. La carica per cui ho concorso è da direttore. Maschile o femminile è indifferente, bado alla sostanza, non alla forma». Ma le parole sono importanti, oggi più che mai… «Ha ragione. Allora mi chiami direttrice!».