Il sito archeologico più importante del mondo. E il simbolo per eccellenza della romanità. Insieme per una imponente esposizione, che mette in luce relazioni, influenze, intrecci tra i due luoghi

Per la prima volta si presentano insieme al pubblico due eccellenze del nostro patrimonio culturale: il sito degli scavi archeologici più famosi del mondo e l’anfiteatro più grande della romanità. E’ infatti proprio nel Colosseo che sta per aprire la mostra: ”Pompei 79 d.C. Una storia romana” (dall’8 febbraio al 30 maggio, catalogo Electa), che illustra i punti di contatto e le influenze tra la capitale dell’impero e il municipio italico, piccolo in confronto ma in grado di raccontare i tanti aspetti della vita quotidiana che non si ritrovano a Roma. La rassegna però va oltre a quanto è più celebrato della scoperta di Pompei: nelle sezioni suddivise al loro interno – l’alleanza, l’epoca coloniale, il declino e la fine – si snodano quattro secoli di storia della città vesuviana con statue in marmo e bronzo, affreschi,  reperti legati al commercio, ricostruzioni di macchine belliche.

Promossa dal Parco archeologico del Colosseo in collaborazione con quello di Pompei e il Museo nazionale di Napoli, è destinata a un grande numero di visitatori. «Desideriamo aprire la mostra», spiega il direttore Alfonsina Russo, «perché è importante inviare un segnale di ripresa nel luogo-simbolo della capitale, e nello stesso tempo offrire ai cittadini un’occasione culturale per ricordare e approfondire temi di grande interesse. E questa esposizione merita di essere frequentata, sia per la qualità degli oggetti che per l’impegno profuso dagli archeologi e dal curatore Mario Torelli, che ci ha lasciato da poco e al quale è dedicata».

All’ingresso, un affresco collega direttamente luoghi e città; rappresenta una zuffa scoppiata nell’anfiteatro di Pompei. Il dipinto sembra realizzato con l’aiuto di un drone: si vedono all’interno e fuori dell’edificio persone che si stanno scontrando. Erano pompeiani e nucerini, in dissidio per assegnazioni di terreni. Il senato di Roma vietò spettacoli per dieci anni; l’imperatore Nerone intervenne per ridurli: la famiglia della moglie Poppea aveva case in città e proprietà nei dintorni.

Oggi, visitando Pompei, conosciamo la città com’era nell’ultimo periodo della sua esistenza; ma gli scavi stratigrafici ne hanno evidenziato le fasi più antiche, quando altri popoli hanno determinato aspetto e tradizioni.
Etruschi e greci hanno lasciato le loro tracce in culti, epigrafi, corredi funerari; sono stati però i sanniti, che si esprimevano in lingua osca, a segnare profondamente il volto della città nell’impianto urbanistico, con case imponenti costruite per la classe dirigente.

Pompei, alleata di Roma dal 308 a.C., si arricchiva con i prodotti agricoli e il loro commercio: olio, vino, la salsa di pesci “garum” esportata e apprezzata in tutto il Mediterraneo. Quando furono conquistate definitivamente Cartagine e Corinto in Grecia, nel 146 a. C., giunsero nella nostra penisola opere d’arte, oggetti preziosi mai visti, marmi, argenti lavorati per vasellame da tavola, gioielli, dando origine alla ”luxuria” (lusso) romana. Criticata dai conservatori, sfoggio senza limiti di parvenu, generali e aristocratici, ebbe i suoi riflessi anche a Pompei, con doni (l’Artemide bronzea in mostra, proveniente dal bottino di Corinto) o acquisti: nuovi e lucrosi traffici facevano arrivare artisti e manufatti preziosi per possidenti agrari e ricchi armatori.

Basti pensare ai tanti raffinati mosaici che si sono conservati (al Colosseo ci sarà il quadro composto da migliaia di paste vitree che raffigura una varietà di pesci), e alla statuetta in avorio della dea indiana Lakshmi, nuda e ingioiellata, considerata dispensatrice di benessere e prosperità. E’ proprio il II sec. a.C. il periodo del boom edilizio ed economico di Pompei: arrivarono nuovi culti, si costruivano case come piccole regge, e gli aristocratici della capitale sceglievano la costa campana per le loro ville d’ozio.

Di lì a poco, la guerra civile romana scoppiata tra le fazioni opposte (popolari e ottimati) di Caio Mario e Cornelio Silla, coinvolse Pompei. Durante lo scontro, era prevalso Silla e la città, che si era schierata con i perdenti, si vide occupata dai soldati “veterani” del vincitore. Pompei divenne così la colonia “Cornelia Veneria” nell’80 a.C., ma si era battuta. Sulle mura, rinforzate con torri prima dell’assedio, sono rimaste lettere in lingua osca - scritte da destra a sinistra - con le indicazioni dei punti di raccolta per fronteggiare gli assalitori, mentre le catapulte lanciavano grosse palle di pietra nell’abitato, alcune delle quali sono emerse durante gli scavi.

Se prima Pompei, nell’orbita romana, svolgeva i suoi affari senza intromissioni, ora diventava un centro retto da nuove leggi e magistrature. Venne imposta la lingua latina, furono confiscate le abitazioni e le proprietà agricole di coloro che non avevano parteggiato per Silla, mutavano canoni culturali e gusti artistici.

Con l’avvento di Augusto al potere, Pompei si adeguò al “trend” voluto dal primo principe: più severità e compostezza nei temi celebrativi e pitture parietali nel cosiddetto “III Stile”, che potremo vedere al Colosseo in due affreschi provenienti dalla villa di Agrippa Postumo a Boscotrecase, dove i paesaggi si fondono con simboli sacri. Sulla scena pubblica si affacciavano anche donne benestanti, dietro l’esempio di Livia, consorte di Augusto: la sacerdotessa Eumachia, patrona dei tintori, fece costruire un edificio col suo nome accanto alla piazza del Foro.

A Roma, ville e giardini punteggiavano già le cime dei colli; così sul Gianicolo, dove risiedevano familiari di Augusto. In una zona di quella che doveva essere una proprietà immensa, nel 2000 è venuto alla luce un ambiente dove erano stati ammucchiati marmi, ornamenti architettonici e una bellissima, piccola statua di marmo raffigurante Venere “Charis”. Conservati nel museo nazionale romano di Palazzo Altemps, Alfonsina Russo ha voluto ricomporli nella mostra, come testimonianza della coeva “luxuria” pompeiana. Il risultato è un’alta parete, scandita da lesene e raffinati capitelli in marmi bianchi e policromi, e al centro una nicchia con la seducente statuetta della dea.

L’ultima sezione della mostra riguarda il tramonto di Pompei. Il primo segnale della fine risale al 62 d.C., quando fu epicentro di un terremoto devastante. Immagini di quell’avvenimento erano state fissate in due rilievi di marmo (nella mostra, la copia di un reperto): mura, porte, un lato del Foro nella fase del crollo. Si trovavano nell’abitazione di Cecilio Giocondo, esattore di tasse e banchiere, che conosceremo nel suo ritratto in bronzo. Pompei non si risollevò più. Eppure, non cedeva alla rassegnazione: si continuavano a decorare abitazioni, come rivela l’affresco con stucchi proveniente dalla “Casa di Meleagro”, era stato restaurato il tempio di Iside e si stavano costruendo le terme Centrali. Erano tanti i lavori in corso quando, diciassette anni dopo, fu sepolta dall’eruzione del Vesuvio. Sul trono, a Roma, sedeva l’imperatore Tito, che aspettava di inaugurare l’anfiteatro più capiente dell’impero. Moriva Pompei, nasceva il Colosseo.