“La pandemia ha spinto nell’area della sofferenza alimentare cento milioni di persone in poco più di un anno. Dietro a questi numeri impressionanti ci sono vite e famiglie. È essenziale condividere ora l’urgenza di un’azione coordinata più forte da parte della comunità internazionale” L’intervento del vicedirettore generale della Fao

I sistemi alimentari stanno affrontando a ogni latitudine le conseguenze di fenomeni epocali come la pandemia e i cambiamenti climatici in atto. Da ormai più di un anno i prezzi dei principali beni agricoli primari, come soia e grano, sono in costante aumento e gli effetti di questa persistente dinamica preoccupano per la forte vulnerabilità che creano a danno prima di tutto dei piccoli e medi produttori agricoli.

 

I costi globali delle importazioni alimentari sono aumentati in un anno di oltre il dieci per cento e per trasportare oggi via mare questi beni occorrono in media trentatré giorni anziché i quattordici di due anni fa. Siamo dentro un passaggio delicato che espone a nuovi rischi protezionistici e nel frattempo viviamo contesti climatici sempre più radicali, a partire dalle siccità, le cui conseguenze si riversano immediatamente sulle produzioni agricole.

 

In questo scenario, l’Italia sta provando a farsi carico di un nuovo protagonismo diplomatico, anche alimentare, nell’anno della sua presidenza G20 e in vista di appuntamenti rilevanti come il Food Summit voluto dal nostro Paese insieme alle Nazioni Unite che si tiene in questi giorni a Roma. Proprio l’Italia con il G20 dei ministri degli Esteri ha proposto con la “Dichiarazione di Matera” di sviluppare un nuovo percorso multilaterale per la sicurezza alimentare riconoscendo, prima di tutto, la necessità di intensificare le azioni e le risorse a sostegno delle aree più vulnerabili che rischiano ora un’emergenza nell’emergenza. Perché la fame oggi colpisce ancora più forte rispetto al recente passato.

 

La pandemia ha spinto nell’area della sofferenza alimentare altre cento milioni di persone in poco più di un anno, che si aggiungono alle circa settecento milioni già purtroppo in difficoltà prima del Covid-19. Dietro a questi numeri impressionanti ci sono vite, famiglie, intere comunità. È essenziale condividere ora l’urgenza di un’azione coordinata più forte da parte degli Stati e della comunità internazionale. Ed è decisivo non lasciare solo sulla carta questi intendimenti.

 

Bisogna passare dalle parole alle azioni. Servono risorse economiche ben indirizzate e iniziative mirate. Per questa ragione il nostro paese, insieme alla Fao guidata dal Direttore Generale Qu Dongyu, ha voluto presentare il progetto della Food Coalition per il sostegno dei sistemi alimentari dopo il Covid-19. Si tratta di una piattaforma per il partenariato fra paesi e fra realtà pubbliche e private, unite per supportare i sistemi agricoli e alimentari in particolare lungo quattro direttrici: lotta a sprechi e perdite, trasformazione dei sistemi alimentari locali, azioni di protezione sociale e contrasto alle povertà, interventi umanitari. È rilevante che già all’apertura del progetto diversi paesi e realtà associative si siano messi al lavoro insieme per concretizzare questa idea.

 

Ci sono paesi come Marocco e Israele che, nell’ambito dei loro accordi di pace, hanno deciso di lavorare insieme per il potenziamento dei sistemi irrigui in alcune realtà africane. L’Olanda promuoverà un partenariato in Zimbabwe contro le perdite alimentari, paesi come Spagna, Tunisia, Grecia con la realtà italiana del Future Food Institute di Bologna lavoreranno per il potenziamento innovativo dei sistemi agricoli nell’area del Mediterraneo.

 

E poi sta prendendo piede la coalizione internazionale dei mercati contadini grazie al lavoro di Campagna Amica e Coldiretti in collaborazione con un primo nucleo di associazioni di Farmers Market in particolare americani, ghanesi e norvegesi. Mondi diversi che si uniscono per un solo obiettivo. Vale la pena di soffermarsi su queste esperienze. La pandemia che abbiamo vissuto ha fatto emergere ovunque il peculiare contributo di queste realtà, che da anni hanno cambiato il rapporto stesso tra cittadini e produttori.

 

Ovunque i mercati contadini hanno offerto un’idea forte di prossimità, di autenticità e di fiducia che è al tempo stesso qualcosa di antico e di nuovo. Ovunque queste realtà stanno cambiando pelle perché c’è un tempo post pandemia anche per loro. La parola chiave è la ri-territorializzazione dei rapporti e delle produzioni.

 

Così, dall’America al Ghana, dal Nord Europa al Giappone passando per i bellissimi mercati contadini di Santiago del Cile, ovunque cresce il bisogno di rafforzare queste esperienze di rete capaci di investire sulla qualità, non solo dei prodotti, ma innanzitutto dei rapporti umani e sociali. E insieme si studiano progetti di formazione per i produttori, si aprono spazi per nuove leggi a tutela anche giuridica di queste attività, si analizzano idee di coordinamento e di marketing.

 

E non si rinuncia anche alla giusta ambizione di sperimentare vie per unire questo radicamento profondo nei luoghi con il salto tecnologico della rivoluzione digitale in atto da tempo. Perché si può fare filiera corta anche grazie alla tecnologia e proprio su questo fronte si sperimentano idee e strumenti per integrare ciò che in apparenza sembrava impossibile unire. 

 

In fondo, queste reti diffuse sono anche piazze fondamentali per dare sostanza alla prospettiva dell’economia circolare e per lavorare sempre di più su processi anche organizzativi integralmente sostenibili. L’idea della rete internazionale dei mercati contadini coglie nel segno perché affronta il bisogno di un salto di scala di queste esperienze multiformi.

 

Per questo ritengo sia uno dei progetti più iconici e importanti della piattaforma Food Coalition. È un po’ come unire tutti i diversi punti di una rete per darsi forza e dimostrare che si può essere globali senza farsi omologare. È la filiera “corta” che si fa “lunga” in modo autentico e originale. Proprio nella globalizzazione che sembrava scardinare qualsiasi logica spazio-temporale, la forza di queste esperienze radicate nelle comunità sta offrendo una risposta tutt’altro che secondaria se si considera anche l’apporto che la vendita diretta oggi fornisce al reddito di coltivatori, allevatori e pescatori. 

 

Solo nel nostro paese, secondo Ismea, la filiera corta ha generato 6 miliardi di valore che hanno aiutato direttamente contadini, allevatori e pescatori. Proprio l’Italia è tra i paesi guida di queste esperienze da quando, con la legge di orientamento, si colse l’importanza di percorrere con originalità la scelta strategica della multifunzionalità agricola. È davvero bello vedere come l’esperienza italiana sia una buona pratica riconosciuta da cui imparare molto. C’è una nuova geografia del cibo che ovunque nel mondo passa anche da queste piazze.