Con “Il lettore” ha narrato l’attrazione più scabrosa. In “Olga” una passione attraversa un secolo di storia tedesca. Arriva ora “Donna sulle scale”. E il cuore è di nuovo a nudo

Una donna, bella, bionda e nuda scende lentamente delle scale. E tre uomini, un manager, un artista, un giovane avvocato se ne innamorano. Ma falliscono. È la trama del nuovo romanzo di Bernhard Schlink, “La donna sulle scale”, che Neri Pozza manda in libreria il 15 aprile. È a un quadro stupendo di Gerhard Richter (“Ema, Nude on a staircase”, al Museum Ludwig di Colonia) che lo scrittore tedesco si è ispirato per questo suo nuovo romanzo sugli amori impossibili - o sui paradossi dell’amore. «Anche se non è l’amore che è paradossale, ma ogni tentativo di possedere una volta per sempre la persona che amiamo», inizia a dire Schlink.

 

Autore di uno dei più grandi bestseller della letteratura tedesca, “Il lettore”, Schlink, che è stato giudice e docente di filosofia del diritto, ci racconta del suo amore per la letteratura. Dell’impossibilità invece di amare entità come una nazione o lo Stato di diritto. E come oggi «la politica tedesca stia miseramente fallendo davanti alla sfida del virus», dice con foga.

 

Prima dei fallimenti politici, parliamo di quelli sentimentali. O crede che su questa terra ci sia qualche possibilità di essere felici?

«Ci sono sicuramente momenti di felicità in questa vita, le situazioni fortunate in cui la vita ci sorride, e altre in cui tutto sembra tramare contro di noi. Non viviamo solo per essere felici, ma per fortuna a volte lo siamo davvero».

 

Nei suoi romanzi, anche “La donna sulle scale”, incontriamo avvocati e uomini di legge terribilmente sfortunati in amore. Ha un debole per gli eroi negativi?

«Nei miei romanzi gli avvocati non hanno una vita più facile di voi giornalisti, dei dottori o degli insegnanti. Non condanno a una vita maledetta i miei uomini di legge, ma non sono certo neanche abbonati alla felicità».

 

Tre uomini innamorati della stessa donna e che falliscono tutti e tre: si può sintetizzare così il suo ultimo romanzo?

«Sì, c’è il manager che vuole possedere la giovane bionda per esibirla come trofeo; il pittore a cui lei serve da Musa ispiratrice e il giovane avvocato innamorato in modo infantile di questa donna forte e autonoma. Tre modi in cui noi uomini ci innamoriamo delle donne e in cui spesso, per l’appunto, falliamo».

 

Falliamo perché l’amore resta solo una promessa?

«L’amore è sempre promessa. Una promessa reciproca, di chi ama e si dona all’altro e di chi è amato e promette di corrispondere. Attenzione però a distinguere fra promessa ed aspettative, che spesso restano deluse. Delusioni e fallimenti a parte, nella vita come nell’amore i rapporti funzionano solo se ci si mostra affidabili e c’è fiducia».

 

In una società digitale anche le relazioni amorose si volatizzano?

«Di sicuro non scriverò romanzi sui tempi del coronavirus o sull’amore digitale. È bello che con la mia partner negli Stati Uniti possa ormai non solo telefonare, ma una comunicazione digitale alla fine non fa altro che incrementare il desiderio. L’amore vive della presenza fisica dell’altro».

 

Ha studiato legge, è stato giudice e poi professore di diritto alla Humboldt Universität a Berlino. Perchè ha iniziato a scrivere romanzi?

«In realtà, ho sempre scritto, da studente, brutte poesie e varie altre storie. Ho pubblicato e pubblico saggi di diritto, eppure senza la letteratura nella mia vita mancherebbe qualcosa».

 

Ha pubblicato thriller. Cosa ci affascina nelle storie di sangue?

«Ognuno di noi sente benissimo quanto sia precaria la nostra esistenza. La nostra è una vita su un filo di ghiaccio. In un buon thriller è come se quel filo si rompesse per far vedere cosa si nasconde sotto e dentro di noi. Alla fine possiamo solo sperare che un bravo ispettore risolva il caso e ci riporti sull’esile filo della normalità quotidiana».

 

“La donna sulle scale” è ispirato a un famoso quadro, del 1966, di Gerhard Richter: “Ema”, prima moglie dell’artista, che scende nuda le scale del suo atelier. Cosa la affascina?

«Il modo, fra il seducente e preoccupato, in cui scende le scale: è convinta o è costretta a scenderle quelle scale, e cosa la attende lì sotto? È meravigliosa la molteplicità di interpretazioni che quest’opera apre, e che corrisponde al modo in cui ci rapportiamo alla donna che amiamo e che ci viene incontro. È ciò che ci affascina nell’opera d’arte, nei romanzi come nell’amore, quel qualcosa che incanta ma sempre ci sfugge».

 

Non per niente il pennello di Richter ha reso tremolanti e indecisi i contorni e i colori della donna sulle scale.

«Non può essere mai precisa l’immagine della donna che ci viene incontro, nuda, sulle scale. È una figura che gioca con noi che la guardiamo, ammaliati, da sotto. L’opera di Richter è un punto esclamativo che ci ammonisce a non prendere mai per oro colato le impressioni troppo dirette come ogni altra interpretazione univoca della realtà».

 

Il politologo tedesco Dolf Sternberger ha coniato, alla fine degli anni ’70, l’espressione “patriottismo costituzionale”. Lei crede che si possa amare qualcosa come una Costituzione?

«No, la si può studiare e rispettare, la si può e la si deve difendere, ma non si può amare. Puoi amare i tuoi amici e i tuoi figli, ami una donna e forse anche la patria in cui sei nato e cresciuto, ma non gli articoli costituzionali».

 

E qual è “die Heimat”, la patria che ama?

«La pianura del Reno presso Heidelberg. Amo quel panorama sul fiume, ma anche gli uomini che ci vivono e la lingua che parlano. La vita vissuta puoi amarla davvero, una Costituzione che deve essere sempre reinterpretata e attualizzata no. Sternberger però aveva ragione sostenendo che la Costituzione è una parte della nostra identità repubblicana in Germania».

 

Tutta qui la differenza fra la sinistra e la destra: la destra crede di amare una nazione, la sinistra rispetta lo Stato di diritto e i diritti umani?

«È una differenza che ha ragione di essere perché la tradizione della sinistra è di ispirazione illuministica, internazionalista e fondata sulla difesa dei diritti umani e non solo dei confini nazionali. Ogni volta che la sinistra ha sposato le tesi del nazionalismo, come la Spd tedesca allo scoppio della prima guerra mondiale, il risultato è stato una catastrofe morale e politica».

 

È orgoglioso di essere tedesco o si sente scrittore di lingua tedesca?

«Posso essere orgoglioso solo di ciò che ho realizzato. E cosa avrei fatto io della storia e tradizione tedesca per esserne orgoglioso? Sì, quella tedesca con i suoi orrori e le sue bellezze è la mia storia. Sono felice, per tornare alla felicità, di poter leggere e scrivere in tedesco: è la lingua con cui gioco, penso e vivo».

 

Il suo bestseller, “Il lettore”, è la storia d’amore di un giovane per una donna analfabeta che è stata kapò in un lager nazista. Quanto il suo romanzo su un amore impossibile all’ombra di Auschwitz ha cambiato, anche in Germania, il modo di interpretare l’orrore della Shoah?

«Quel romanzo riflette l’esperienza attraverso cui è passata la mia generazione. Ognuno di noi nel dopoguerra ha nutrito affetto per un nonno, uno zio, un professore che poi si è rivelato criminale di guerra. In quel rapporto di amore del romanzo c’è anche il ricordo dei traumi della mia generazione».

 

Scoprire che una persona amata o stimata era un mostro nazista…

«Esatto, è lo shock di tentare di ricucire l’affetto per una persona che, nei 12 anni di nazismo, ha partecipato a mostruosità politiche. Se queste persone fossero state solo mostri, per noi nipoti o discepoli nel dopoguerra sarebbe stato tutto più facile. Ma i mostri purtroppo non sono mai solamente tali».

 

Nel ’68 per voi ragazzi sono stati decisivi i primi processi di Francoforte contro i criminali di Auschwitz…

«Quei processi hanno avuto un significato epocale per la mia generazione e per l’intera società tedesca. La responsabilità storica della Germania davanti alla Shoah è qualcosa da cui noi tedeschi - a differenza dei Paesi che hanno collaborato con i nazisti o di voi italiani rispetto al passato fascista - non possiamo sfuggire. Davanti al mondo siamo noi tedeschi a dovercene assumere tutta la responsabilità».

 

Ciò non ha impedito che negli ultimi anni siano risorti gruppi neonazisti, razzisti come Pegida o un partito d’estrema destra come AfD…

«La rinascita di una estrema destra in Germania mi preoccupa. Anche perchè è parte di una onda globale di stampo sovranista che diffonde veleni razzisti e la nostalgia per l’uomo forte pronto a far saltare lo Stato democratico. In Germania, in Francia e in tutto il mondo occidentale assistiamo al rigurgito non solo del nazionalismo più gretto, ma anche di impulsi autoritari, come vediamo in Polonia o Ungheria».

 

Lo scrittore Alaa al-Aswani ha notato che le democrazie sono oggi solo isole in un mare di dittature.

«Il grande shock del XXI secolo è questo, cioè che neanche l’Occidente può più raffigurarsi come l’isola sicura e felice dei Paesi democratici. Vari movimenti autoritari stanno erodendo le fondamenta degli stati di diritto».

 

Oltre al sovranismo c’è ora anche il virus a minare le democrazie. Per Giorgio Agamben siamo già in una sorta di “dittatura sanitaria” o in una biopolitica dello “stato d’eccezione”.

«Credo che Agamben sia frettoloso nel proclamare il collasso delle democrazie e che giochi troppo ingenuamente con la figura dello “stato d’eccezione”. Ho conosciuto e studiato ai seminari di Carl Schmitt, a cui dobbiamo la teoria dello “stato d’eccezione”, e penso che Agamben civetti troppo con quella filosofia politica. Non riesco a pensare a politici in Germania o in Italia che tramino per assumersi sulle spalle il potere e distruggere lo stato democratico».

 

Sta dicendo che filosofi come Agamben o Byung-Chul Han scambiano per realtà una teoria politica degli anni ’20?

«Mi pare che, parlando dello Stato di diritto o della pratica quotidiana delle democrazie, si è tentati di pensare con categorie forti come lo “stato d’eccezione”. Siamo seri: se lo immagina uno come Jens Spahn (il ministro tedesco della sanità, Ndr.) che mira a una dittatura sanitaria? Certe teorie politiche a contatto con la realtà si trasformano in barzellette».

 

Come giudica la politica sanitaria del governo Merkel?

«Non solo il governo Merkel, l’intero sistema federale tedesco si è rivelato inefficiente nell’affrontare l’emergenza. Il virus si è trasformato in una immensa vergogna per l’amministrazione delle scuole e degli ospedali, dell’economia e del sistema politico».