QAnon è diventato il paradigma di una cultura del complotto sempre più dilagante, esplosa tra social e pandemia, ma con radici molto antiche. Come spiega Wu Ming 1, autore del romanzo “La Q di Qomplotto”

In epoca pandemica non mancano “gli idioti dell’orrore”, per citare un verso di Battiato, cantautore che non manca di apparire nel formidabile regesto “La Q di Qomplotto”, ultima fatica di Wu Ming 1, edita da Alegre. È un saggio molto potente sullo stato politico attuale, in cui negazionismi e cospirazionismi (a partire dall’ormai celebre complotto detto QAnon) sono al centro di un grande gioco, che sperimentiamo sempre più acutamente e che ha ottenuto il suo apice con l’invasione di Capitol Hill il 6 gennaio scorso. Il continuo rinnovamento tecnologico, la fusione economico-statale, il segreto generalizzato, il falso indiscutibile e un eterno presente sono i reagenti chimici di un’autentica cultura del complotto in età contemporanea, con mutazioni decisive rispetto alla tradizione delle cospirazioni.


Consideri la messa in moto dell’intelligenza collettiva come elemento fondante dell’elaborazione del complotto contemporaneo, di cui QAnon è riferimento principale. Sei uno scrittore e intellettuale che, da decenni, si impegna nel sollevare e nell’interrogare l’intelligenza collettiva, non certo nella direzione dell’incantamento irrazionale che avvolge le cospirazioni “à la page” in questi anni, come appunto QAnon. Di quale forza stiamo parlando, a questo punto, quando diciamo intelligenza collettiva?
«L’espressione “culture partecipative”, che uso nel libro, può liberarci dall’apparente dilemma. Il termine “intelligenza” ha una certa connotazione, è valutativo. Intelligente = ok, intelligente = pensare bene, intelligente = comprendere. Non è immediato associare all’intelligenza la cascata di errori di ragionamento (indotti da pregiudizi cognitivi) che descrivo nel mio libro e che portano a cadere in fantasie di complotto. Per giunta, è un processo in buona parte eterodiretto dagli algoritmi dei social. Meglio “culture”, allora. Nel mio libro studio QAnon come paradigma di nuove sottoculture cospirazioniste plasmate dai social, narrazioni condivise a cui migliaia, anche milioni di persone portano il loro contributo, modificandole, aggiungendo dettagli, inaugurando diramazioni, propagando e amplificando. Sono al tempo stesso movimenti reazionari e giochi di ruolo e di realtà alternativa, multi-utente e multipiattaforma, transmediali. L’elemento ludico va a braccetto con la rabbia e l’odio. Sono dinamiche contemporanee, tipiche della società capitalista del XXI secolo, anche se i nuclei narrativi sono antichi: le leggende d’odio che la community di QAnon ha assemblato in fondo le conoscevamo già, tutte quante».


“La Q di Qomplotto” non è solo un’inchiesta: è anche il romanzo di quell’inchiesta. Oggi siamo sommersi da un’infinità di storie, che hanno prodotto un’inflazione del romanzesco. L’elemento narrativo, cruciale nel sistema in cui Wu Ming si muove da sempre, esercita un primato anche oggi? Perché è così fondamentale la forma romanzesca, al punto che perfino QAnon diviene una grande narrazione?
«Il mio è anche un libro sul sempre confermato ma sempre inatteso potere dei libri. Diversi libri – molti dei quali sono romanzi, che lo siano in modo dichiarato o in forma travisata - hanno esercitato un’influenza enorme sulle correnti dell’immaginario confluite in QAnon, oppure ci forniscono strumenti per capire QAnon. Io rimetto in gioco il “Malleus Maleficarum”, “I Protocolli dei Savi di Sion”, “Il mattino dei maghi”, “Michelle Remembers”, “L’incanto del Lotto 49”, la trilogia “Illuminatus!”, “Il Pendolo di Foucault”, il nostro “Q” ecc. Perché i romanzi restano importanti? Perché noi pensiamo in cornici narrative, ogni pensiero si inserisce in una storia che la nostra mente continua a dipanare. Il “tipo testuale” della narrazione è quello che ci viene più naturale. Un lancio d’agenzia, un reclamo a un’azienda, un verbale dei carabinieri... Tutti e tre narrano una storia. Ma le tecniche narrative più forti ed efficaci, quelle che meglio ingaggiano la nostra mente sono le tecniche che si sperimentano da secoli nel romanzo. Ora spadroneggiano le serie tv, spesso sceneggiate in modo complesso e brillante, ma per quanto riguarda la narrazione non c’è quasi nessuna tecnica che le serie - e il cinema prima di loro - non abbiano preso dal romanzo. E si possono usare anche per fare inchiesta. “La Q di Qomplotto” è un libro estremo nella sua ibridazione – al momento è nella classifica della saggistica, ma potrebbe stare in quella della narrativa – ma non sono certo il primo a muovermi in quella direzione».


Nel determinare il canone del complottismo contemporaneo, tu ti ritrovi attore di questo processo sociale. Non soltanto perché era maturato il sospetto che quella lettera “Q” di QAnon inerisse al romanzo omonimo, di cui tu sei uno degli autori, ma proprio perché Luther Blissett, il collettivo che lo firmò, ha intercettato motivi e genesi della prospettiva paranoide. Il progetto Luther Blissett esprimeva una finalità controinformativa, pedagogica, mitopoietica e ludica: storie complesse, costruite per fare da habitat. Il complottismo oggi funziona allo stesso modo?
«Il sospetto che l’esordio di QAnon fosse una burla ispirata al nostro Q permane, anzi, si rafforza col tempo. Anche la serie su QAnon appena trasmessa dalla HBO – “Q: Into The Storm” – ritiene l’ipotesi plausibile. Si parla del primo periodo, autunno 2017, prima che della firma “Q” si appropriassero Jim e Ron Watkins, i padroni del forum 8chan, mestatori di ultradestra. L’altra “coincidenza” è che nel periodo in cui scrivemmo “Q” portammo anche avanti una campagna di solidarietà e controinformazione sul caso Bambini di Satana, che sconvolse Bologna e che nel libro racconto nei dettagli. La fantasia di complotto sposata dagli inquirenti era antesignana di QAnon: si parlava di una supposta setta pedosatanista nei cui tratti si riconosce già la “Cabal” di QAnon. Noi facemmo inchiesta usando anche le beffe mediatiche. Ci inventammo un’insorgenza satanista e una “ronda” antisatanista di fanatici cristiani. Invenzioni che i media diedero a lungo per vere. Il punto è che a un certo punto le beffe e le false notizie le rivendicavamo e le spiegavamo. Quello era il momento-chiave. Oggi il falso resta in circolo senza alcuna rivendicazione, e il suo proliferare è talmente vorticoso da travolgere l’idea stessa di poterlo rivendicare. Pensiamo ai primi dispacci firmati “Q”. Se anche oggi l’autore confessasse, gli crederemmo? Lo diceva già quel tale: il vero diventa un momento del falso».


L’abitudine alla controstoria, al segreto e alla vita come intelligence incontra al suo acme un fatto storico: la pandemia da Covid-19. L’epidemia porta con sé l’esasperazione dei sentimenti e la messa in discussione delle libertà. Si crea una polarizzazione sociale, in cui prende sempre più terreno il cospirazionismo. Wu Ming ha pubblicato molte elaborazioni intorno alla traduzione sociale del virus e questo è un passaggio decisivo del tuo libro. Puoi parlarcene?
«Nel libro dedico più capitoli all’emergenza pandemica, anzi, a una critica radicale di tale emergenza, sviscerandone le dinamiche e mostrando come una tale gestione non potesse che alimentare il cospirazionismo. Che è sempre la traduzione di un malessere reale. Quel malessere va riconosciuto. Nell’affrontare il cospirazionismo bisogna partire dal nucleo di verità che sta al cuore di ogni fantasia di complotto. Quelle sulla pandemia non fanno eccezione. È ovviamente assurdo dire che Bill Gates vuole vaccinarci tutti per controllarci con un nanochip. Ma al fondo c’è una verità che confusamente s’esprime. Pensiamo davvero che vadano bene i modelli neoliberisti di “filantropia”, di sanità e di industria agroalimentare promossi da Gates con la sua fondazione? Modelli incentrati sul mercato, sul dominio di poche multinazionali, su brevetti e proprietà intellettuale? Sotto gli strati e i sedimenti di falso, prima di tutte le distorsioni e perversioni, le fantasie di complotto hanno una premessa veritiera. Riconoscerla è un’arte, intercettarla per impedirne la “cattura” da parte del cospirazionismo è politica».

“La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni” di Wu Ming 1 (Edizioni Alegre, pp. 592, € 20) mette a nudo il culto di massa, tra leggende e pregiudizi dei cospirazionisti di sempre