Nessun Paese nella regione offre un’educazione sessuale adeguata. Ubbidienza al marito, divieto di provare piacere. La verginità delle ragazze messa a rischio dal ginecologo. Contro questi e altri luoghi comuni si stanno battendo sempre più ragazze. Per ribaltare un sistema ingiusto. E pericoloso

La pronuncia in arabo di parole come “clitoride” o “masturbazione” è incerta. «Non le usa nessuno, quindi non si quale sia la dizione giusta». Quando Emam, egiziana, 29 anni, ha deciso di aprire su Instagram Thisismotherbeing, una pagina di educazione sessuale rivolta alle donne, è stata questa la sua prima sfida.
In molti Stati le donne non ricevono alcun tipo di formazione, se non quella dettata dalla religione islamica e dalla cultura patriarcale. Sono obbligate a soddisfare qualsivoglia desiderio sessuale dei mariti per non incorrere in una maledizione, o, come ha affermato un religioso di una provincia indiana a maggioranza islamica, sono da considerarsi prostitute, e dunque “meritevoli” di essere stuprate, quando escono da sole dopo le nove di sera.
 

Un termine è invece ben noto nella lingua araba: “eib”, che da solo racchiude più significati, tutti dello stesso campo semantico, come vergogna, depravazione, colpa. «Tutto quello che riguarda le donne è “eib”», spiega al The Guardian Tala El-Issa, anche lei egiziana. «Se vogliamo parlare dei nostri corpi è “eib”. Se denunciamo i nostri problemi lo stesso. Sembra che solo il fatto di essere donne sia di per sé riprovevole». Quattro anni fa decise con delle sue amiche di fondare un podcast focalizzato sulla sessualità e sui tabù legati al genere. Il titolo era scontato.
L’obbiettivo è quello di «dire ciò che non può essere detto». Contro la retorica della donna araba eroina, vessata da uomini ignoranti, e con l’intento di raccontare storie della quotidianità con l’espediente della prima persona.

 

«Non siamo eib»
Insieme al podcast “Eib” negli ultimi anni sono nate numerose iniziative sui social media volte a sensibilizzare le donne arabe riguardo al proprio corpo. In Kuwait la fashion blogger Ascia, 2.5 milioni di followers su Instagram ha lanciato l’allarme: «ogni volta che esco di casa c’è qualcuno che mi molesta me o un’altra ragazza per strada. Non provate alcuna vergogna?». Ha seguito il suo esempio Shayma Shamo, dottoressa di 27 anni kuwaitiana che ha lanciato una pagina, Lan Asket, in cui raccoglie storie di donne che hanno subito violenze verbali, fisiche e psicologiche. «Andare alla stazione della polizia è Eib, così come denunciare uno stupro», denuncia anche lei a France 24.

 

 

Thisismotherbeing conta su Instagram più di 327.000 followers. Su Tik Tok, piattaforma prediletta dalle attiviste, e per questo spesso censurata, 1.1 milioni. Nonostante la maggioranza egiziana, il 25 percento degli utenti proviene da altri Paesi, come Giordania, Iraq, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
Sfruttando la spontaneità e la disintermediazione caratteristica del social cinese, Emam, la fondatrice, è riuscita in parte a colmare la voragine di disinformazione e vergogna che inghiotte ragazze ignare della propria anatomia. Una voragine che al suo interno comprende l’ignoranza frutto di un’educazione mancata. Secondo l’ultimo report Onu, non un singolo Pese arabo offre un’educazione sessuale adeguata durante il percorso scolastico. Sarah el-Setouhy, 30 anni, che ha frequentato la classe “Convivere con il ciclo” di Emam, ha affermato che le era sempre stato detto che il dolore sarebbe scomparso una volta sposata e diventata madre.

 

 

 

Come Thisismotherbeing, anche Salem, dottoressa di Dubai, 22.000 follower su Instagram, si impegna per sfatare i miti legati alle mestruazioni. In un post di qualche mesa fa all’espressione “Pop your cherry”, ovvero perdere la verginità, segue una serie di luoghi comuni nel mondo arabo, tra i quali la credenza per cui usare un tampone o ricevere una visita dal ginecologo potrebbe compromettere la purezza della ragazza, e di conseguenza renderle impossibile sposarsi.
Un’altra pagina, Mauj, “onde” in arabo si differenzia dalle altre iniziative in quanto oltre all’attività di sensibilizzazione riesce anche a fornire alle ragazze dei vibratori. Per confonderli con oggetti comuni – per gli Emirati Arabi Uniti sono strumenti che vanno «contro la morale pubblica e la fede islamica» - sono fatti a forma di goccia e rientrano nel palmo di una mano. Parte dell’iniziativa è anche una raccolta di storie anonime, chiamata Hakawatiyya (cantastorie). Vengono raccolte esperienze che vanno dal body shaming alla necessità di nascondere il proprio orientamento sessuale, fino allo stupro.

 

 

 

Questione di numeri
Secondo l’ultimo report sul gender gap del World economic forum, i Paesi del Medio Oriente, insieme a quelli del Nord Africa, sono quelli rimasti più indietro sull’uguaglianza di genere. «Il processo è lento, ci vorranno più di 142 anni per raggiungere la vera parità». Iraq, Siria e Yemen sono i tre Paesi, tra i 156 presi in considerazione con i tassi più bassi di partecipazione al lavoro. In Libano, Kuwait, Oman, Yemen e Iran la percentuale di donne nei rispettivi parlamenti non supera il 6 percento.
Anche per quanto riguarda la violenza di genere i numeri sono impietosi: stando sempre ai dati Onu, il 37 percento delle donne arabe ha subito una violenza sessuale almeno una volta nella vita. In Marocco esiste ancora una legge paragonabile a quella nostrana sul matrimonio riparatore, abolita nel 1981. In Egitto il 92 percento delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito una mutilazione genitale. E proprio nel Paese governato da Al Sisi, di anno in anno le leggi volte a censurare la libertà di espressione delle donne sui social media si fanno sempre più aspre: Haneen Hossam è stata arrestata l’anno scorso dopo aver fatto un video su Tik Tok in cui spiegava ai suoi 1.3 milioni di follower come si sarebbero potuti arricchire lavorando con lei. Una famosa danzatrice del ventre, Sama el-Masry, è stata condannata a tre anni di galera e al pagamento di 15.000 sterline con l’accusa di «incitamento alla depravazione».
Il caso forse più eclatante riguarda una ragazza di 17 anni, in lacrime, coperta di lividi, che ha postato un video in cui denunciava di essere stata stuprata da sei ragazzi. La risposta delle autorità è stata rapida. La ragazza in un primo momento è stata arrestata insieme ai suoi violentatori, con l’accusa di promuovere dissolutezza.