«Io e altre mie colleghe italiane abbiamo chiesto di indossare subito gli strumenti di protezione, e invece non ci hanno ascoltate. Finché l’infezione non è arrivata anche qui in maniera seria, gli inglesi non si sono accorti della gravità della situazione»

Accanto alle future mamme positive e non al Covid-19 per rassicurarle in questo momento d’emergenza, oggi più che mai, nel momento del parto. Anche se in un modo diverso. Con le dovute distanze, uno sguardo che trasmette positività, un sorriso nascosto da una mascherina chirurgica e una parola di conforto per alleviare il dolore in una lingua che però non è la tua. E tutto questo nonostante la distanza dai tuoi affetti più cari, che al ritorno da dodici ore e mezza di lavoro in corsia non trovi a casa ad aspettarti. Loro vivono in Sicilia, a Partinico, in provincia di Palermo. E quindi in Italia, Paese nel pieno della pandemia. Mentre tu sei lontana, in Inghilterra. È la storia di Letizia, 27 anni, da quattro anni all’estero per realizzarsi come ostetrica perché il Bel Paese non le ha dato la possibilità di farlo: pochi concorsi e pochi posti a disposizione per tanti concorrenti. Ma è nel suo Dna la voglia di spostarsi per cercare fortuna. D’altronde è da quando ha 19 anni che ha lasciato la sua isola per andare a Perugia a frequentare l’Università in cui si è formata. Oggi lavora in un ospedale pubblico di Frimley, cittadina di 12 mila abitanti della Contea del Surrey, a un’ora da Londra.

Letizia fa parte del personale sanitario che ci sta mettendo tutto l’impegno per combattere quel nemico invisibile. Potrebbe essere nelle nostre corsie e invece si trova in uno stato che dista, se tutto va secondo i piani, almeno sei ore di volo dal suo. Da ostetrica si prende cura delle mamme e dei bambini appena nati per far sì che vengano al mondo e, soprattutto, sani: «Da quando è stato lanciato l’allarme Covid-19 le giornate in sala parto sono sempre più frenetiche - racconta Letizia che, nonostante il volto stanco dalle ore di lavoro, accenna un sorriso - c’è un via vai assurdo tra i corridoi. Ci vuole più velocità ed efficienza del solito. Le mamme Covid non subiscono il virus con dei sintomi forti e spesso i bimbi nascono negativi. Ma in ogni caso non bisogna abbassare la guardia perché questo nemico ancora non lo conosciamo a fondo».

Ma il Regno Unito ha capito solo da qualche settimana la gravità della situazione causata dal nuovo Coronavirus. E mentre nelle corsie si lotta e si rincorre il tempo per mantenere in vita le persone infette, la gente è in strada serena: non tutti mantengono le dovute distanze e ogni scusa sembra una buona occasione per uscire e anche insieme alla propria famiglia. Ci sono solo poche persone che girano per strada consapevoli del pericolo: alcune di queste, per sensibilizzare i cittadini, lo fanno con in mano un cartello con su scritto "Statemi lontani di almeno un metro”. A dare il buon esempio ci sono anche gli italiani che già sanno bene come stanno andando le cose nel loro paese: rispettano le misure ed escono solo per necessità.

«Io e altre mie colleghe italiane, appena dopo la diffusione del virus in tutta Italia, abbiamo cercato di far capire al personale sanitario inglese che c’era da tutelarsi al meglio – spiega, delusa, Letizia - perché nel giro di poco il virus avrebbe invaso anche il Regno Unito. Abbiamo chiesto di indossare subito gli strumenti di protezione, e invece non ci hanno ascoltate. Finché l’infezione non è arrivata anche qui in maniera seria, gli inglesi non si sono accorti della gravità della situazione».

Gli ospedali britannici si stanno ancora adeguando all’emergenza: «Al Frimley Park Ospital, dove lavoro, ci si sta attrezzando come si può per affrontare la pandemia - aggiunge - il mio reparto quindici giorni fa è stato diviso in ‘mamme Covid’ e in ‘mamme non Covid’. Di mamme positive ne abbiamo avute poche però il rischio di contagio rimane alto».

È più alta la probabilità di infettarsi tra colleghi che quando si è a contatto con mamme Covid: «Anche se ci dividono in due reparti separati – sottolinea - quando ci diamo le consegne al cambio turno dobbiamo per forza avvicinarci tra noi e non sempre è facile rispettare le distanze, soprattutto quando subentra un’urgenza. Due mie colleghe hanno contratto il virus ed erano asintomatiche.
Ogni giorno la paura che possa accadere anche a me e ad altri è tanta. Non si è mai sicuri in ospedale».


In oltremanica ormai si è superata la soglia dei dodicimila morti per Covid-19, ma ancora gli ospedali non hanno gli strumenti giusti per combattere in sicurezza la pandemia: «I protocolli sanitari cambiano ogni giorno: dai piani più alti a quelli più bassi c’è sempre incertezza su come comportarsi. Al momento solo se ti trovi nelle sale parto Covid e sei a contatto con pazienti ad alto rischio puoi indossare le tute e le mascherine FPP3, che già ovunque si trovano a fatica. Chi invece lavora nelle sale parto ‘no Covid’ porta le mascherine chirurgiche, guanti blu e un grembiule: una tutela minima dato il contatto che è inevitabile avere con le pazienti».

«A me è capitato solo una volta di assistere una mamma sospetta Covid perché aveva una lieve tosse e sono stata a stretto contatto con lei protetta solo da una mascherina chirurgica e dal grembiule. In sala parto poi ci si tutela con tutto ciò che viene utilizzato anche da chi lavora nella terapia intensiva».

Dietro a quegli strumenti di protezione, seppur non del tutto sicuri, ci sono l’ansia e la paura di cosa accadrà in un altro turno di lavoro con il pensiero rivolto alla famiglia a ore e ore di distanza. Perché un abbraccio da chi ti ama in questo momento significherebbe tutto il necessario per affrontare una giornata dura e lunga con una marcia in più.

«I miei genitori, i miei fratelli e i miei nipoti sono in ansia per me, ma anche tanto orgogliosi e fieri per l’impegno che sto dedicando nell’aiutare un paese straniero – mentre lo dice ha gli occhi lucidi - Mi informano di quello che succede in Italia, di come si organizza. Sin da subito sono stati loro a dirmi di proteggermi con guanti e mascherina perché sentivano che sarebbe diventato un problema serio da combattere».

Il suo rapporto con la famiglia si riduce a una videochiamata ormai da tanto tempo. Per lei non è una novità, è da anni che mantiene così i contatti con la sua terra. Non appena può ritagliarsi qualche giorno dal lavoro in ospedale Letizia, però, prenota un volo per Palermo per riabbracciare i suoi parenti e amici d’infanzia. Anche quest’anno sarebbe dovuta tornare a Partinico per Pasqua e con l’occasione festeggiare i quarant’anni della sorella maggiore. E invece il Coronavirus le ha tolto quest’opportunità: così ha trascorso un giorno di festa da sola con il fidanzato, italiano come lei e conosciuto lì all’estero. Sulla tavola un piatto di penne con il pesto al pistacchio siciliano e il cellulare perché deve essere sempre reperibile per le urgenze in ospedale.

«Mi posso aspettare telefonate da un momento all’altro – ci dice - Anche se ho avuto la fortuna di avere la Pasqua come giorno di riposo. In questo momento d’emergenza c’è sempre bisogno di personale. Si è sempre pochi anche quando si è in tanti».

Nonostante tutto l’idea di tornare in Italia rimane sempre un forte desiderio, anche se l’Inghilterra le ha dato la possibilità di crescere ed ha creduto nelle sue potenzialità: «A Frimley mi sono realizzata e ho ampliato le mie conoscenze. Mi hanno messa subito alla prova e, dopo aver valutato le mie capacità sul campo, mi hanno fatto un contratto a tempo indeterminato. In Italia non sarebbe successo, soprattutto a una giovane ostetrica come me. A quest’ora avrei potuto aiutare il mio di Paese e invece ho dovuto fare le valige, con tanto coraggio».

“Ma il mio sogno di poter ritornare, soprattutto in Sicilia, rimane – ci confida – ho provato a ritornare, ma non ci sono opportunità”.

I tagli alla nostra sanità pubblica mai come adesso sono evidenti e costringono i giovani a donare il proprio talento a un altro paese: “L’ultimo concorso a cui ho provato a partecipare è stato quello bandito dalla Regione Marche, bloccato per il Coronavirus. Siamo 4.000 persone per 12 posti a disposizione. Non è il primo che provo. Il mio futuro lo vedo in Italia ma se il nostro Paese, che tutti ci invidiano, non investe sulla sanità un giovane come me non potrà mai lasciare una via certa per una troppo incerta».