Russi e americani. Asiatici e africani. Uniti dalla passione per la lingua di Cicerone. In un esperimento di campus globale dedicato alla cultura classica. Dalla poesia al teatro, dalla scienza alla filosofia

Sebastian viene dalle «Civitates Foederatae Americae Septentrionalis», gli Usa. L’anno prossimo andrà a Princeton ma non ha ancora deciso che materie studiare. Am Dong, nazionalità «sinensis», si fa chiamare Serenus perché è la traduzione del suo nome. Ionut è «dacus», cioè viene dalla Romania. Chiacchierano e scherzano nell’atrio affrescato della Villa Falconieri di Frascati come farebbero tutti i diciottenni che vivono insieme in un collegio. Però questo gruppetto di ragazzi è unico al mondo: perché loro parlano in latino.

LEGGI LA TRADUZIONE IN LATINO

Per gli allievi dell’Accademia Vivarium Novum la lingua dell’antica Roma non è solo materia di studio e di esercitazione ma strumento di vita quotidiana. Si comincia alle otto di mattina cantando carmi di Orazio o Catullo, si finisce alle nove o anche alle undici e mezzo di sera con uno spettacolo teatrale. E per tutto questo tempo, tra lezioni di lingua e di grammatica, di storia e di filosofia, di metrica e di musica, ma anche nelle ore di studio e ricreazione, in gita o nei concerti, durante i pasti e a merenda, l’unica lingua ammessa è il latino. Anche quando si studia il greco antico, su un testo “di lingua parlata” ideato ad Oxford o sulle odi musicate dall’ungherese Eusebio Tóth per il coro Tyrtarìon: «Il nome», spiega, «è un omaggio a due grandi poeti greci: Tirteo, cantore della guerra degli spartani, e Arìone, poeta della pace che addomesticava anche i delfini».

Le regole del collegio sono severe: si ascolta solo musica classica, niente fumo, niente alcolici, cellulari soltanto in caso di necessità, ci si veste e ci si comporta senza eccessi anche quando si è fuori dalla villa. Quello della lingua è però un obbligo facile da far rispettare, perché il latino è l’unico idioma che hanno in comune questi ragazzi che vengono davvero da tutto il mondo: dall’Austria all’Australia, dal Tibet al Brasile. E anche da posti geograficamente vicini ma geopoliticamente lontani: quest’anno c’è chi arriva dalla Cina e chi da Taiwan, l’anno scorso un israeliano e un palestinese.

L’atmosfera è distesa: «La cosa che mi piace di più qui è la possibilità di farmi amici in tutto il mondo», racconta Rosa, studentessa del liceo San Filippo di Mosca che ogni anno porta qui gli allievi per due stage full-immersion. «Tra noi c’è una grande familiarità», conferma Aanandavardhan, che è arrivato dal Nepal senza sapere una parola di latino e ancora non sa cosa ne farà in futuro. «Nescio», risponde laconico, e lo pronuncia “neskio”: qui sono ammesse tutte le pronunce del latino, sia quella scientifica sia quella della Chiesa, e anche quella dei paesi dell’Est, dove si direbbe «neszio».

Non ci sono frontiere né limiti politici o religiosi e nemmeno economici in questo campus mondiale dell’umanesimo: tutti i giovani sono qui con una borsa di studio che copre le spese di lezioni e libri, vitto e alloggio, e anche di più per chi ne ha necessità. «Lo studio del latino non deve essere un lusso», spiega Luigi Miraglia, fondatore e anima del progetto, che ricorda con soddisfazione, tra i suoi ex allievi, i ragazzi affidati dal Tribunale dei minorenni di Napoli e portati alla laurea e un rifugiato del Malawi che ora fa un dottorato in Kentucky.

«I giovani migranti vengono sempre avviati a studi pratici ma così si perdono potenzialità importanti», aggiunge. È il rischio che ha corso Duilio, ventiquattrenne albanese trapiantato a Genova che aveva lasciato la scuola per lavorare ma amava la filosofia. Cercando on line un testo di Seneca ha scoperto «questo posto che non pensavo davvero potesse esistere»: ora vive qui da tre anni e si prepara alla maturità.

L’idea di quest’isola di latinisti in erba è nata su un’isola vera: si chiama Vivara, uno scampolo disabitato nel golfo di Napoli. Qui negli anni Settanta era approdato l’ecologista Giorgio Punzo, che organizzava soggiorni per mettere i ragazzi a contatto con la natura. «Io ero al ginnasio, studiavo latino e greco svogliatamente e con difficoltà», ricorda Miraglia. «Un giorno avevo con me sull’isola una versione di Tacito che proprio non riuscivo a fare. Punzo mi chiese il libro, lesse davanti a me il brano e lo tradusse senza fare la costruzione, senza usare un vocabolario. Mi spiegò che per lui il latino era una lingua parlata: l’aveva studiato così nel seminario gesuita che aveva frequentato prima della guerra. Gli ho chiesto di insegnare anche a me, e presto mi sono convinto che il metodo di insegnamento tradizionale è sbagliato, perché ci presenta la lingua come un cadavere fatto a pezzi».

L’intuizione quindi è nata grazie a forme d’insegnamento antiche («la regola di Sant’Ignazio si ispirava ai metodi umanistici», ricorda Miraglia) ma si è unita poi agli esperimenti pedagogici più moderni: il metodo del danese Hans Henning Ørberg per parlare il latino ma anche quello dell’americano John Rassias per le lingue moderne. Il risultato è «un sistema di insegnamento che mi sarà molto utile in futuro, qualsiasi cosa io finisca per insegnare», assicura Caterina, liceale russa che di Frascati è un’habituée.

Il sogno della comunità che parla latino si concretizza appoggiandosi a un’altra utopia che si andava realizzando negli stessi anni: quel rilancio dei filosofi antichi e moderni promosso a Napoli dall’Istituto per gli Studi Filosofici dell’avvocato Gerardo Marotta, con cui Miraglia ha collaborato per 35 anni. L’esperienza di Marotta, il sostegno suo e di Giovanni Pugliese Carratelli, che dell’Istituto era direttore, sono stati essenziali per realizzare il progetto di Miraglia. Dopo una serie di convegni e seminari negli anni Ottanta, il collegio muove i primi passi nel 1995 a Montella, nella campagna avellinese. Ma solo nel 2016, dopo un breve e burrascoso periodo di ospitalità in una sede messa a disposizione dai Legionari di Cristo, trova definitivamente casa a Frascati. «L’Accademia», spiega Miraglia, «riprende il nome del monastero medievale in cui Cassiodoro si dedicò a copiare i testi classici, quella “vasca per l’allevamento” dei libri che salvò la cultura europea. Ma è anche un omaggio alla mia esperienza a Vivara».

Le stanze di Villa Falconieri possono ospitare fino a cento persone. Sono tutte piene per i corsi estivi, “full immersion” di latino aperte a tutti: «Abbiamo studenti e studentesse dagli undici agli ottantun anni», dice Miraglia. Gli incassi coprono circa un terzo delle spese di gestione. Un terzo viene dalla casa editrice: le edizioni Vivarium pubblicano quei testi del metodo Ørberg che quasi tutti i licei classici usano all’inizio dei corsi. Il resto delle spese lo coprono donazioni di privati e, soprattutto, lo Stato italiano. Che all’Accademia ha trovato una sede e presto, si spera, affiderà finalmente anche un edificio adatto a ospitare il dormitorio femminile. Finora infatti il collegio vero e proprio è solo maschile. Sono tante però le liceali che vengono con i loro professori per qualche settimana, oggi che i maschi al classico in Italia sono una rarità.

Tutto questo è bellissimo, ma c’è un problema, che sta lì a dimostrare come in Italia si possono spendere soldi per la cultura bene, e finire lo stesso per sprecarli. Chi esce da qui infatti può iscriversi al secondo anno di lettere classiche a Oxford o in altre università che collaborano con Vivarium Novum ma non ha lo stesso riconoscimento in Italia. Nemmeno a Tor Vergata, la cui sede di rappresentanza, Villa Mondragone, è a otto minuti a piedi da qui. Per i pochi studenti italiani, quindi, la tentazione di unirsi alla “fuga dei cervelli” è grande.

Se l’università italiana nicchia, i licei invece sono sempre più interessati a far vivere ai propri studenti un assaggio di questo esperimento. Il classico De Sanctis di Roma è riuscito a inserire nell’alternanza scuola-lavoro la preparazione di uno spettacolo in greco con il curatore della compagnia teatrale dell’Accademia, il messicano Gerardo Guzman. Ci sono anche studenti che scelgono di fare qui l’esperienza dell’“anno all’estero”. Lo ha fatto Luca, che è arrivato nel 2018 da Milano e si è fermato: quest’anno farà gli esami da privatista. Viene dallo scientifico, non conosceva il greco e ama molto la matematica. Ora fa scorrere sul video del computer un testo di Archimede stampato nel Cinquecento e lo legge senza vocabolario – lo legge in greco antico.

Lo scarso entusiasmo delle università italiane verso Vivarium Novum nasconde una diffidenza di fondo verso il latino parlato, visto come una stranezza “da stranieri”. «È una diffidenza non del tutto immotivata», ammette Miraglia, «per colpa dei tentativi donchisciotteschi degli anni Cinquanta di trattare il latino come una lingua viva. Non lo è, ovviamente, anzi: il latino scritto si è allontanato da quello parlato già ai tempi di Cicerone, Orazio e Virgilio».

Il latino che si impara a Frascati non vuole fare concorrenza alle lingue moderne ma solo permettere di leggere e capire senza vocabolario i testi più diversi. Solo questo, il resto viene da sé: il sogno di «trovare tra culture diverse i fondamenti comuni che possano creare una pace universale, e trasformare il globalismo mercantile in un cosmopolitismo che faccia appello a ciò che di grande e di bello le culture hanno portato alla natura umana». Un ideale di cui Miraglia può parlare per ore ma che riesce anche a condensare in progetti concreti: la candidatura all’Unesco di latino e greco come “patrimonio immateriale dell’umanità”, la creazione di un “Fondo mondiale per la rinascita dell’humanitas”, il progetto di un Centro di studi sule “due culture” da fondare su queste colline che uniscono il ricordo di Cicerone e i laboratori di fisica del Cnr passando per gli esperimenti di Galilei e Marconi.

Le “due culture” al Vivarium si studiano già: il corso comprende non solo i classici dell’antica Roma ma anche Copernico e Galileo, Spinoza e Leibniz. «È un’esperienza che fa conoscere modelli interessanti, utili anche fuori dall’Europa», sottolinea Alain, che viene dalla Repubblica Democratica del Congo. Non a caso Vivarium Novum collabora con l’accademia neoconfuciana cinese Wenli vicina a Wengzhou, dedicata alla costruzione di una cultura che prenda il meglio da tutti, non solo Cina ma India e Occidente.

La vita qui è così entusiasmante per questi “nerd dell’umanesimo” che qualcuno resta qui a lavorare condividendo un’esistenza quasi monastica, che non prevede uno stipendio ma solo vitto, alloggio e rimborso spese. Sono ex allievi i professori: Ignacio Armella che viene da Città del Messico,Claeys Bouuaert è belga, il brasiliano Carlos Do Nascimento si sta specializzando in musicologia al Dams. La maggior parte degli ex allievi però ha un futuro nelle università. Sono ormai molti gli ex-vivariani negli istituti di studi classici del mondo. Maria Luisa Aguilar García insegna latino parlato a Valencia. Alexey Belikov è ricercatore alla Lomonosov di Mosca, George Corbett al Trinity College di Cambridge, Patrick Owens in Wyoming.

La messicana Sandra Olguin è diventata scrittrice, ma i due mesi passati al Vivarium nel 2013 le hanno cambiato la vita: «Non sapevo una parola di latino, e ho imparato a leggere Cicerone, Seneca, Virgilio. La bellezza delle loro idee, unita alla complessità della struttura linguistica mi hanno insegnato a scrivere meglio. Per me ora le parole non sono solo strumenti per raccontare una storia ma opere d’arte che racchiudono una quantità di significati che il latino fa conoscere. In più, al Vivarium ho incontrato mio marito!» Ora vive ad Anversa, ma il suo primo romanzo è un’Odissea trasportata in Messico.

Di persone in grado di leggere in latino c’è particolarmente bisogno in Cina. «La loro storia ha due fonti», spiega Miraglia. «Le relazioni di stato, che sono in cinese ma erano controllate dal governo, e quelle dei missionari gesuiti, che sono in latino. Qui a Roma ci sono migliaia e migliaia di pagine che aspettano di essere studiate». Anche la strada per la conquista di Marte incrocia lo studio del latino: negli Usa c’è chi conta di trovare nei testi di Frontino sulla costruzione degli acquedotti idee per trasportare l’acqua sul Pianeta Rosso.