Da sabato scorso nella capitale francese e in altre otto città vige il coprifuoco che potrebbe durare fino a sei settimane. Abbiamo chiesto come si vive a chi ci abita. Tra app di tracciamento che hanno fallito, delusione per la politica e comportamenti sconsiderati

Bisogna tornare al 2005 e alla rivolta delle banlieue per assistere all’imposizione di un coprifuoco a Parigi simile a quello scattato dalla mezzanotte di sabato scorso nell’Ile de France e in altre otto città.

Una misura drastica che fa seguito a quella presa due settimane fa dal Governo: chiudere tutti i bar a causa dell’elevato numero di contagi che viaggiano ormai in Francia intorno ai 30mila nuovi casi al giorno.

Nelle zone interessate dalla nuova misura restrittiva, dalle 21 alle 6 del mattino, i cittadini non possono circolare se non muniti di un’autocertificazione valida. Senza di essa la multa per chi viola il coprifuoco è di 135 euro, ma può arrivare fino a 3.750 in caso di tre recidive.

«Nella boutique in zona Opéra dove vendo prodotti italiani, ho anche clienti che vengono a mangiare un paio di volta alla settimana, ma solitamente non si fa tardi e per le nove chiudo», racconta Amedeo all’Espresso. «Ai miei colleghi ristoratori, invece, il coprifuoco causa dei guai perché chiudere a quell’ora fa saltare tutta la serata. Molti si stanno organizzando per anticipare la cena, ma i parigini non sono abituati a mangiare così presto. È un’altra grande scossa per tutto il comparto della ristorazione, già messo a dura prova dalla diffusione dello smart working».

Prima del lockdown di marzo, infatti, il quartiere intorno all’imponente Opéra Garnier era la meta immancabile dei turisti (che quest’estate hanno latitato) e degli impiegati degli uffici del IX arrondissement. «Il lavoro per come andava prima del Covid non ha mai ripreso. Ora più del 50 per cento sono in smart working per cui si è dimezzato anche il nostro introito. Io posso sfruttare il servizio d’asporto, però anche così potrò colmare solo una piccola parte delle perdite», conclude Amedeo.

La pandemia sta ridisegnando il volto della capitale parigina solcato dai suoi grandi boulevard, dalle sue mille luci, dalla vita notturna intorno al Moulin Rouge o a Pigalle. Gli Champs-Elysées vuoti hanno un’aria spettrale, niente turisti ad affollare i negozi del centro. Cinema e teatri devono adeguarsi alle nuove misure e hanno chiesto (invano) che i biglietti degli spettacoli potessero essere considerati un documento giustificativo per gli spostamenti dopo le nove di sera. «Hanno cercato di ottenere una deroga in modo da provare a organizzare degli spettacoli dalle 19 alle 21, ma senza successo», dice la regista francese Anne Véron. «Il cinema può lavorare di pomeriggio anche se è di sera che si genera il maggior volume d’affari. E con le misure di distanziamento sociale possono entrare solo pochi per volta. Per i teatri e l’opera è ancora più complicato perché lavorano solo di sera».

Con le sue 16 linee della metro e i suoi 2 milioni di abitanti, Parigi costringe i pochi lavoratori che ancora devono spostarsi nella capitale a fare i conti con il sovraffollamento dei mezzi pubblici. «Prima non facevo orari d’ufficio e non me ne rendevo conto, ma spesso la metro è piena e le distanze di sicurezza non vengono rispettate. Ormai, però, fa troppo freddo per andare in bici» dice Alessandro, 29 anni, da due a Parigi insieme alla sua ragazza Federica. Tuttavia nessuna delle nuove restrizioni riguarda i trasporti.

Un’altra questione è quella dei tamponi: il Presidente Emmanuel Macron si è scusato nel suo discorso alla nazione di mercoledì 14 ottobre per la lentezza con cui venivano forniti i risultati e ha promesso che i più rapidi test antigenici sarebbero stati presto disponibili. Inoltre, come spiega Alessandro, che ha seguito il discorso in diretta tv dal suo appartamento, «l’applicazione “StopCovid” (l’equivalente francese di “Immuni”, nda) aveva registrato un totale di 493 positivi in tutta la Francia», contro i 22mila del Ministero della Salute.

La sfiducia nei confronti di Macron continua a salire: «Dall’inizio della pandemia le istruzioni sull’uso dei dispositivi di protezione individuale sono state molto confuse e questo ha creato diffidenza nei confronti del Governo» spiega Marine, ingegnere aeronautico che vive a Vitrolles, nell’area metropolitana di Aix-Marseille, una delle zone di massima allerta colpite dal coprifuoco. Racconta che prima dell’annuncio di Macron alcuni connazionali hanno iniziato a fare scorte e si sono rifugiati in campagna. Altri hanno ignorato le misure di sicurezza. «Quest'ultima categoria era in preoccupante aumento: rifiutavano di indossare la mascherina negli spazi pubblici e stavano perdendo le abitudini di marzo».

Quest’estate Marine ha fatto un viaggio nel Sud della Francia. In una situazione normale sarebbe andata all’estero, ma è incinta e la paura del contagio le ha fatto cambiare idea. Come lei molti connazionali hanno trascorso le vacanze in patria, ma «forse con più misure di contenimento, come il divieto di lasciare la propria regione, i contagi ora non sarebbero così alti. La nostra è una zona turistica, e quest’anno lo è stata ancora di più. I francesi si sono spostati qui e il virus si è spostato con loro».