La Lega trionfa col 37 per cento nella ex regione rossa, Tesei prevale con venti punti di distacco. In discussione  anche tutta l’intera catena di comando giallorossa: dal segretario del Pd Zingaretti al capo dei Cinque stelle Di Maio

È la rivincita di Matteo Salvini, il suo trionfo. Il voto in Umbria, con la schiacciante vittoria della Lega e i venti punti che separano la vincitrice Donatella Tesei dallo sconfitto Vincenzo Bianconi, capovolge, ancora una volta in questa legislatura, gli equilibri politici. Il voto ha consegnato, per la prima volta nella storia, la rossa umbria alla destra del carroccio, con percentuali schiaccianti: i voti sono andati per il 36,95 per cento del Carroccio, il 10,4 per cento di Fratelli d'italia, il 5,5 per cento di Forza Italia. Precipitato il Pd, al suo minimo storico con il 22,3 per cento, ma anche i Cinque stelle, che si fermano al 7,4 per centro.

Stavolta, dunque, è il governo guidato da Giuseppe Conte a tremare: l'opposto di quanto accaduto in aula al Senato il 20 agosto. Allora, era il presidente del Consiglio, in piedi, ad apparecchiare con una memorabile requisitoria la sconfitta politica del leader leghista, inopinatamente seduto al suo fianco in quanto all'epoca ancora suo ministro. Stavolta, a Perugia, è Salvini a stare in piedi: il premier è «un omino», lo definisce nella notte umbra celebrando la vittoria della sua candidata, e oggi governatrice, Donatella Tesei. Proprio mentre l'avvocato di Volturara Appula è – le disgrazie non vengono mai sole - alle prese con le prime conseguenze di un articolo del Financial times, circa un presunto caso di conflitto di interessi (da lui negato con una nota nella notte) per via di un parere legale a favore di Fiber 4.0, consorzio posseduto per il 40 per cento dalla società Athena di Raffaele Mincione, fornito prima di divenire premier.

Con la pesantissima sconfitta dell'alleanza giallorossa, alla sua prima prova sul territorio, si apre dunque una pagina tutta nuova. È destinata ad essere rivista certamente la politica delle alleanze per le prossime regionali, a partire dall'Emilia Romagna, ma anche l'assetto stesso del governo. Il sussulto riguarda l'intera catena di comando che è alla guida del Paese. Trema la sedia di Nicola Zingaretti, che colleziona la sua ennesima sconfitta da segretario del Pd: la prima da partito di maggioranza, dopo la serie negativa incassata da partito di opposizione. Che si sia risolto nolente a una alleanza con i Cinque stelle non è infatti più un argomento, dacché su quell'alleanza ha poi messo faccia e ministri. Trema però anche la sedia di Luigi Di Maio, l'altro alleato recalcitrante di questa alleanza, che adesso si affanna a calcare la mano sulla necessità di cambiare tutto, anche se poi un vero e proprio piano B non è pronto da nessuna parte.

Non ce l'ha nemmeno Conte, che infatti nella notte non ha potuto far altro che calcare la mano sulla «coerenza» e sulla necessità di «mettere la faccia» anche su una sconfitta annunciata, suggerendo una sorta di «andiamo avanti lo stesso» con l'alleanza che però sembra disperato. Proprio nei Cinque stelle la resa dei conti si annuncia violentissima. «Questo non è il Movimento per cui abbiamo lavorato tanti anni e con tanta fatica», è il buon giorno del come al solito tenue senatore M5S Mario Michele Giarrusso: «Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato. Dobbiamo dire basta a questi frutti avvelenati ed a chi li ha coltivati, sostenuti e difesi». Se il buongiorno si vede dal mattino, non bisognerà stare certi di nulla.