Condoni per 40 anni. E poi le lacrime per ?i disastri. I debiti. La Ue. Eppure lo sapevamo

Come un ruggito di belva, sordo e lontano, ma pronto a sbranarci nel buio della notte, il terremoto infinito è entrato nelle nostre vite. Portando prima la morte, ad agosto, quando ha ucciso nel buio, poi il lutto di Stato e il martirio che restituisce alla terra che trema le fragilità di un territorio e il dolo di intere generazioni politiche che si sono occupate di altro. Ma portando poi, in queste ore in cui tutti, anche lontano da Norcia, teniamo l’orecchio sintonizzato sui borbottii della terra, qualcosa - se possibile - di ancora più terrificante. Perché non ha il volto della vittima di una catastrofe, non ti consegna una vita spezzata su cui piangere: ha il volto del limite umano di fronte alla natura, segna la fine delle certezze sopra cui si reggeva da secoli la storia di quella parte di mondo che, guardandolo da casa nostra, abbiamo chiamato Occidente.

Il fatto è che questa scossa non ci mostra solo il nostro limite materiale, la consapevolezza del pericolo, dei ritardi nella prevenzione. No, mostra il limite del nostro sistema di idee, del nostro pensiero dominante, dell’Occidente illuminista, che ha affidato tutto alla ragione (e alla mediazione), ma che oggi è travolto dai problemi per contrastare i quali proprio la democrazia stessa ci era sembrata essere l’unico antidoto. Improvvisamente l’orizzonte è crepato come la montagna dell’Umbria. È la nostra civiltà a essersi sbriciolata come la basilica del Santo Benedetto di Norcia. E noi non siamo affatto convinti, come invece il motto benedettino promette, che saremo in grado di rinascere da quelle, dalle nostre macerie.

Zygmunt Bauman ci racconta questo sull’Espresso. Ci tratteggia il controsenso di una Fenice a rovescio, che nelle proprie ceneri trova la fine anziché l’inizio. Ci spiega come ci appare il volto del nostro limite. In un sistema ribaltato, dove pensare può improvvisamente sembrarci inutile di fronte al fatalismo della distruzione e della morte. Sia quella delle case di pietra e legno sia quella del pensiero occidentale, della democrazia come panacea di tutti i mali. Non è più la ragione a darti la sensazione di controllare il presente e progettare un futuro, bensì l’azzardo, il salto nel buio. Il fare tanto per fare. Qualcosa di simile alla magia che è poi la risultante di questo lento declino del nostro sistema di pensiero anche in politica: promesse, slogan, ignoranza e complotti sono il nuovo Abracadabra con cui si conquistano le masse, salvo poi non poter scegliere perché scegliere significa tornare al compromesso, quindi alla sporcizia, quindi democrazia defunta.

C’è una domanda che dobbiamo farci, allora: che Paese siamo stati mentre tutto questo succedeva? L’Espresso lo racconta con un’inchiesta di Paolo Biondani. Il Pinocchio disegnato da Giuseppe Fadda corre in un macabro Luna Park che promette tutto e gratis, poi apre un sipario e il suo naso si allunga sulla storia degli ultimi quarant’anni della Repubblica. E cosa scopre? Che siamo una lunga, prevedibile accozzaglia di condoni che condonano altri condoni. Abbiamo regalato a chi non rispettava la legge. Favori fiscali, edilizi, previdenziali. Abbiamo scritto leggi per poi “graziare” chi le violava. Abbiamo regalato tasse e denaro. Togliendolo a chi lavorava e sottraendolo ai conti pubblici. Uno Stato che fa così, è fragile di fronte alla paura. È complice delle macerie. Non solo quelle del sisma, ma quelle del debito pubblico, del default delle pensioni, delle prescrizioni di reato e dei processi infiniti che portano i cittadini a non credere nella giustizia e i delinquenti a sembrare eroi.

Tutta polvere che si alza da un Paese crollato nell’animo. Che non può arrabbiarsi con gli italiani se, come ci dicono i tempi che viviamo, per rabbia o per sfinimento tifano perché il sistema salti. Eppure anche di fronte a questi segnali, dall’Europa all’America, la politica sembra riprovarci. Cercare una scappatoia. Promettere ancora. Sembra progettare l’ennesimo condono, quello che cancelli - magari - chi non la pensa come te. Ma la storia ci dice che alla fine fallirebbe. La strada è un’altra.

Twitter @Tommasocerno