Estate 2018. E se questa Italia fosse un romanzo? Lo abbiamo chiesto agli autori italiani. Che tra  classici e fantasy, da Asimov a Calvino, dalla Nausea a Frankenstein, hanno formato la biblioteca ?di chi non ci sta. Ora la parola passa a voi: indicate i vostri titoli nei commenti

La povera Fräulein Schroeder è inconsolabile: “Non troverò mai un altro gentiluomo come lei, Herr Isservut… Non capisco proprio perché vuole andarsene da Berlino…”. È inutile cercare di spiegarglielo o parlare di politica. Lei si sta già adattando, così come si adatterà a ogni nuovo regime. Stamane l’ho sentita persino nominare con tono riverente “Der Führer”, ciacolando con la moglie del portiere. Se qualcuno provasse a ricordarle che alle elezioni dello scorso novembre ha votato comunista, con tutta probabilità negherebbe con veemenza, e in perfetta buona fede. Si sta semplicemente acclimatando, in ossequio alla legge naturale, al modo di un animale che cambia il pelo ai primi freddi. Migliaia di persone come Fräulein Schroeder si stanno acclimatando».

È una pagina di “Addio a Berlino” di Christopher Isherwood. Non stiamo vivendo la fine della Repubblica di Weimar, eppure queste parole suonano terribilmente attuali. E sono tanti gli scrittori di oggi che, come quelli di allora, hanno la sensazione di assistere alla «prova generale di una catastrofe». E non intendono «acclimatarsi».

Mentre si fa campagna per la chiusura dei porti e le navi delle Ong vagano per le acque come vascelli fantasma con il loro carico umano rifiutato, in tanti si chiedono come rispondere alla narrazione dilagante di questo governo, che non può e non deve essere l’unica. Noi abbiamo cercato la risposta in un libro.

Chi costruisce prigioni, chi libertà
Il sottosegretario alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni, ha dichiarato di non leggere un libro da tre anni. Ma esistono ancora persone che pensano che i libri possano aiutarci a interpretare la realtà che abbiamo intorno, anche solo per il fatto che «chi costruisce prigioni si esprime meno bene di chi costruisce la libertà», come ricorda Marcello Fois, citando “Il nostro bisogno di consolazione” di Stig Dagerman.

Michela Murgia, in linea con questo principio, invita a leggere “Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni. «È la storia della libertà di una terra raccontata fino al giorno in cui l’ha persa», spiega. «Convinti di star leggendo la voce dell’ultimo custode della memoria di quel popolo, si resta fulminati dal quel paragrafo finale che trasforma ogni lettore in custode di ciò che ha letto, con l’obbligo morale di passarlo a ogni generazione. Lettura ideale per un Paese che la memoria non sa più cosa sia».
Mentre l’Italia cavalca il vento sovranista ostile all’Unione europea, Evelina Santangelo ricorda “L’isola riflessa” di Fabrizia Ramondino, che «racconta Ventotene, l’isola dove si concepì il sogno di un’Europa Unita, l’isola dove Pertini, nel mostruoso carcere di Santo Stefano, ogni sera piegava il pantalone dell’uniforme carceraria e la metteva sotto il materasso perché durante la notte si stirasse “come a significare quotidianamente che non si sarebbe mai piegato al regime... fermo e dritto come la piega del suo pigiama”».
Marco Balzano evoca la figura di Carlo Levi: «Un governo che toglie la scorta a scrittori e intellettuali è un governo che li vuole confinare. Questo è successo all’autore di “Cristo si è fermato a Eboli”. L’augurio a chiunque faccia cultura in questi giorni e anni complicati - lo auguro a me stesso ogni mattina - è di farlo con la stessa fermezza, con la stessa coerenza e lo stesso lucido spirito di opposizione di Carlo Levi».


Se non è amore, sarà paura
«Se non posso ispirare amore, causerò paura!», si legge in “Frankenstein” di Mary Shelley, come ricorda Rossella Milone. In fondo, è la sintesi della narrazione ininterrotta, xenofoba e razzista, che cresce attraverso i social.

«Il governo italiano sta cavalcando l’ossessione della sicurezza, che storicamente è servita a coprire violazioni di diritti, privazioni di libertà e manovre autoritarie», dice Nadia Terranova. «È tempo di rileggere “Porte aperte” di Leonardo Sciascia: è ambientato durante il fascismo, quando “si dorme con le porte aperte” era la massima di regime che narcotizzava gli animi insieme alla scusa della fermezza morale».

Per mettere a fuoco la violenza che il governo sta fomentando, Alessandra Sarchi sceglie “L’uccello dipinto” di Jerzy Kosinski: «È la storia di un bambino che viene abbandonato nelle campagne di un Est imprecisato per sfuggire alla seconda guerra mondiale, ed è un calvario fra l’ignoranza, la persecuzione, i maltrattamenti che questo bambino, zingaro o ebreo - così viene chiamato, mai con un nome proprio - subisce in mezzo a gente rozza, ignorante, convinta che il male sia sempre l’altro, il diverso, come l’uccello dipinto di vernice blu che un uccellatore crudelmente dipinge perché gli altri dello stormo lo abbandonino. Descrive una società dominata da odio, paura e superstizione. Dove il gruppo, la massa, smettono di ragionare e si accaniscono sui più deboli».

Contro le politiche discriminatorie, Andrea Pomella ricorda “Furore” di John Steinbeck, «il racconto di un viaggio disperato verso una terra che si crede promessa, ma che in realtà si rivela prodiga solo di fame, di sfruttamento, e della più ignobile vergogna sociale: la disumanità dell’uomo contro l’uomo».

Gaia Manzini paragona il popolo italiano a “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino, «dimidiato tra bene e male». «Oggi è in auge la parte “cattivista” e chiunque si esprima a favore dei più deboli e in difesa della democrazia viene accusato di buonismo. Chiunque abbia un dubbio viene messo a tacere. Ci ritroviamo in una realtà bipolare che mette in netta contrapposizione le opinioni, rendendole inconciliabili. Tutto è appiattito su una visione pregiudiziale della realtà che annulla qualsiasi possibilità di dialogo».

«All’inizio del “Commesso”, il capolavoro di Bernard Malamud», racconta Marco Missiroli, «il negoziante apre la sua bottega di generi alimentari e vede entrare una donna che vorrebbe acquistare beni di prima necessità. È una cliente abituale ma da qualche tempo ha piccoli debiti, il negoziante ha segnato su un quaderno i pagherò e si è promesso di non aumentare la lista. La donna si presenta alla cassa con poche cose, non ha soldi, ma chiede fiducia ancora una volta: è qui che Malamud lascia al lettore lo stesso dubbio del negoziante. La rabbia per la donna squattrinata, la stanchezza di accettare un nuovo compromesso, il peso della pietà: cosa fare? È un attimo, e il negoziante decide. Permette alla donna di mangiare. Attraverso i gesti minori del negoziante, la semplicità che gli appartiene, anche la lotta interiore, Malamud accompagna il suo protagonista e tutti noi nella spontaneità di un vivente: esserci. Esserci, ovvero: compiere l’umano. Da pagina uno il lettore sa che non perderà di vista cos’è. Da pagina uno di questo governo un Paese ha già perso di vista cos’è».


Quell’incontrollabile metà oscura
Mai come in questo momento storico, gli intellettuali sentono l’urgenza di esprimere un chiaro e forte “Non ci sto”. Un’urgenza che però non risolve un dubbio di fondo: ma questa Italia cos’è? È scoppiata un’epidemia di cecità come in un romanzo di Saramago o è uscito il mostro che è in noi come in una storia di King? Per Rossella Milone si tratta proprio della “Cecità” descritta da José Saramago: «Se siamo ciechi nei nostri confronti e nei confronti degli altri, smetteremo di essere solidali gli uni con gli altri. La mancanza di solidarietà permette al potere di renderci ciechi».

Marco Rossari paragona l’indole di questo governo a “La metà oscura” di Stephen King. «Abbiamo uno scrittore smarrito che ha deciso di sottovalutare il doppio, un doppio che ha creato lui stesso ma che forse è dentro di lui da sempre. Ora questa metà nera lo vuole uccidere», racconta. «Abbiamo tutti una metà oscura e l’Italia ne ha senz’altro una sempre incombente, scalpitante, aggressiva: l’impressione è che la bolla di vuoto populista e qualunquista e aggressivo e sprezzante generata dai Cinquestelle stia ora venendo colmata dalle forze più oscure della nostra tradizione. È un governo vacuo, tallonato dall’uomo nero».

«A me viene in mente “La nausea” di Sartre, che racconta di come ci sentiamo smarriti noi», dice Valeria Parrella, «quando ci troviamo a Bouville, tra feroci persone perbene. Perché così mi pare siano gli italiani che sostengono il governo (che l’abbiano fatto a voti o lo facciano oggi a parole): giacché non posso dire che sono tutti ignoranti, o tutti stupidi, credo che siano tutti feroci (“si scambiano gran scappellate e ignorano d’esistere”). Non è un caso che Roquentin studi storia: gli permette di cambiare la focale con cui guarda ciò che lo circonda e allora comincia la sua metamorfosi. Ecco come lo racconta Sartre nella quarta di copertina del 1938: “È la Nausea che vi prende a tradimento e vi fa galleggiare in una tiepida palude temporale. È stato Roquentin a cambiare? O è stato il mondo? Mura, giardini e caffè vengono bruscamente assaliti da nausea; altre volte Roquentin si sveglia in una giornata malefica: qualcosa è in putrefazione nell’aria, nella luce, nei gesti della gente”».

Incubi soprannaturali
Fantascienza, fantasy e romanzo distopico sono una fonte ininterrotta di riflessioni sulla realtà che ci circonda. “Il ciclo delle Fondazioni” di Isaac Asimov può essere «utilissimo per i tempi in corso», sostiene Loredana Lipperini, «perché narra della creazione di una Fondazione di enciclopedisti e di mercanti che resiste al crollo della Galassia, di come questa Fondazione sia stata vinta da un mutante non previsto dalla psicostoria, di come quel mutante sia stato sconfitto dalla Seconda Fondazione, silenziosa e colta e paziente, e per questo infine combattuta dalla Prima».

A Helena Janeczek viene in mente “1984” di Orwell, «al contempo attuale e obsoleto. Perché l’intuizione fondamentale di una “neolingua” che faccia sparire la realtà sotto una coltre di propaganda, non è più imposta da un regime totalitario, ma dalla “comunicazione totale” che dai nuovi media e da quelli tradizionali ci sommerge in ogni momento. Il maestro della manipolazione comunicativa di questo governo, a onor del vero, è soltanto straordinariamente abile e spregiudicato a usare un inquinamento del discorso pubblico e mediatico già avviato da decenni».
Paolo Cognetti pensa invece a “Il signore delle mosche” di William Golding. «È la storia di un gruppo di ragazzini inglesi che in seguito a un incidente aereo si ritrova su un’isola deserta e deve inventarsi una forma di governo», spiega. «Dopo un’iniziale, istintiva cooperazione, presto si riuniscono intorno a due o tre leader carismatici, e cominciano a regredire verso una società sempre più gerarchica e violenta. I capi parlano di nemici, inventano un mostro da cui difendersi, costruiscono intorno a sé forme di culto quasi religioso. Le bande cominciano a farsi la guerra tra loro fino a uccidere. Quando una nave passa a recuperarli, trova la barbarie. Vedo una forte regressione all’infanzia della democrazia», prosegue Cognetti: «Il Novecento racconta che fascismo e nazismo sono nati così, da popoli ridotti a bambini arrabbiati. Servono intelligenza, informazione, dialogo, rispetto e gentilezza, dobbiamo partire da valori del tutto contrari per ricostruire una forma di civiltà».

«Si disse che quei presagi, forse semplici coincidenze, ricordano che la vita può sempre avvolgerci in incubi spiacevolmente soprannaturali». È una citazione dal “Diario della guerra al maiale” di Adolfo Bioy Casares. «Quando si decide che le persone non sono tutte uguali», spiega Chiara Valerio, «finiscono civiltà e democrazia. In Bioy Casares è la guerra dei giovani contro i vecchi, nel nostro quotidiano è la guerra di chi ha avuto diritti e cerca di mutarli in privilegi».