La legge italiana ha chiuso i vecchi manicomi criminali allestendo le più umane Rems, piccole residenze per curare i "folli rei". Ma a volte somigliano ancora a prigioni e spesso non c'è posto per tutti. Così bisogna ricorrere alle cliniche private

Prigionieri in preda a crisi psichiatriche, segregati illegalmente in una cella. Malati di schizofrenia abbandonati a se stessi, dimenticati da quello stesso Stato che dovrebbe garantirne le cure. Disabili mentali in attesa di un posto letto, costretti a vagare da una comunità all’altra. Un anno fa esatto anche l’ultimo degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato spazzato via per sempre. Al posto degli Opg sono nate le Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture più piccole che hanno eliminato quasi del tutto l’uso di mezzi contenitivi sui pazienti. Una rivoluzione gentile, che avrebbe dovuto cambiare per sempre il destino dei “folli rei”, i malati di mente che hanno commesso un reato. Oggi però la situazione in Italia sembra già sull’orlo del collasso.

I numeri parlano chiaro: per 604 persone collocate all’interno delle Rems, altre 441 in questo momento sono in attesa di un posto. Quarantuno di loro si trovano illegittimamente dietro le sbarre, senza una pena da scontare. Si tratta di una lista che aumenta ogni giorno, secondo i dati ottenuti da l’Espresso. «Una situazione esplosiva», confermano senza tanti giri di parole dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Colpa soprattutto - denunciano i garanti regionali dei detenuti - della troppa facilità con la quale i giudici dispongono i trasferimenti “preventivi” nelle Rems, anche in assenza di condanna. E così i posti letto nelle strutture psichiatriche diventano ambitissimi, trasformandosi in un appetitoso business che ingolosisce Regioni e sanità privata.

Eppure in questi ultimi 4 anni l’Italia ha compiuto uno sforzo innegabile. L’abisso di disperazione dei manicomi criminali, sovraffollati e fatiscenti, ha lasciato il posto a strutture con una media di 20 ospiti. Case di cura che dopo l’approvazione della legge 81 del 2014 devono accogliere - per periodi che vanno da un minimo di 6 mesi al massimo di 10 anni - gli autori di reati giudicati infermi o semi infermi di mente, anche socialmente pericolosi. Delle 28 strutture presenti in tutta Italia, però, oggi soltanto 4 sono definitive. In alcune regioni, le Rems sono nate dalle ceneri dei vecchi Opg. Così è successo a Castiglione delle Stiviere, che con i suoi 160 internati (140 uomini e 20 donne) è la struttura più grande d’Italia.

Un notevole passo avanti è stato fatto anche in Sicilia. Qui le strutture di Naso (Messina) e Caltagirone hanno sostituito il vecchio ospedale giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, diventato simbolo del degrado e della sofferenza dei pazienti. Ma insieme a edifici all’avanguardia provvisti di spazi verdi, laboratori e aree ricreative, resistono strutture che assomigliano a piccole carceri. Come denuncia Stefano Cecconi promotore del Comitato Stop Opg, che oggi vigila sul funzionamento delle Rems. La situazione più critica è in Lazio: nella Rems di Subiaco il portone è controllato con il metal detector, c’è l’obbligo di consegnare telefonini, documenti e borse. La zona d’aria è tappezzata da sbarre fino al soffitto, tanto che è stata ribattezzata “la gabbia”. A Pontecorvo, nel Frusinate, il corridoio è attraversato da un reticolo d’acciaio che oscura il cielo. A Palombara Sabina, gli internati prendono aria in una terrazza completamente blindata. «Questi pesanti dispositivi di sicurezza», spiega Ceccon, «hanno un influsso negativo sulla psiche dei pazienti».

E poi c’è l’aspetto della sicurezza interna. In alcune strutture - per una ragione di spazi e costi - malati psichiatrici non pericolosi si ritrovano a stretto contatto con pazienti di natura violenta. Succede per esempio a Vairano Patenora, nel Casertano, dove i pazienti della Rems vivono fianco a fianco con gli ospiti della Sir, struttura intermedia di riabilitazione psichiatrica convenzionata con il Comune. Qui lo scorso febbraio uno di loro, Pasquale Di Federico, 46 anni, è stato trovato in fondo a una rampa di scale, gravemente ferito alla testa. È morto dopo un mese di agonia. Ora la Procura di Santa Maria Capua Vetere sta indagando per capire se si sia trattato di un incidente o di un omicidio.

E sì che il fondo di Stato messo a disposizione nel 2012 per l’adempimento della legge 81/2014 sul superamento degli ospedali giudiziari - che prevedeva la nascita di strutture all’avanguardia in termini di sicurezza - non è cifra da poco: 174 milioni di euro. Ogni struttura è costata in media 2,5 milioni di euro. E poi ci sono le spese quotidiane degli internati. La retta giornaliera per ogni paziente - che comprende vitto, alloggio, farmaci ed esami clinici - varia tra i 190 e i 450 euro. Le Rems dipendono dal Ministero della Salute e sono supervisionate dalle Asl regionali che ne gestiscono i fondi.

Costi che impennano soprattutto quando si tratta di sistemare i “pazienti fuori territorio”. Se non ci sono Rems libere nelle vicinanze, le Asl devono infatti collocare gli internati in un’altra regione sobbarcandosene il costo. Spesso maggiorato. A Castiglione delle Stiviere, per esempio, la tariffa per i “forestieri” è di 500 euro al giorno. Per mettersi in regola con la nuova legge, quindi, alcune regioni hanno dovuto accelerare i tempi e creare dal nulla nuove strutture. E qualcuno avrebbe cercato di approfittarne. Un’inchiesta portata avanti dalla Procura di La Spezia, per esempio, sta facendo luce sul giro d’appalti per la Rems di Calice al Cornoviglio, piccolo Comune ligure al confine con la Toscana. Secondo gli inquirenti, l’ex consigliere regionale di Forza Italia Luigi Morgillo avrebbe fatto pressioni per aggiudicarsi l’appalto per il conto termico della struttura in costruzione, che dovrà affiancare l’unica Rems già presente in Liguria, a Genova. Perennemente satura.

Così, spesso, in soccorso di una sanità pubblica in affanno ecco che arriva quella privata. Succede per esempio in Piemonte. A Bra, alle porte di Cuneo, nel 2015 la clinica San Michele di proprietà della famiglia Patria è stata accreditata dalla Regione per ospitare un intero reparto dedicato alla Rems, che oggi accoglie18 persone. Per ogni paziente la Regione rimborsa 295 euro al giorno, cifra che viene pagata al 60% se il paziente si trova fuori sede. A conti fatti, sono circa 159mila euro al mese. La struttura è una piccola oasi: ci sono coloratissime aule per il disegno e per la pittura, si organizzano corsi di equitazione, teatro e gite in montagna. Il più giovane degli internati ha 19 anni ed è accusato di omicidio. Non ci sono sbarre, a impedire le fughe, ma grate. Ed è presente un servizio di vigilanza interna attivo 24 ore al giorno.

Stessa retta - 295 euro – anche alla clinica privata Antonio Martin di San Maurizio Canavese. Qui gli internati sono venti: il giro d’affari è di circa 6mila euro al giorno. Circa 177mila euro al mese. Ma le oasi private si trovano anche al centro sud. La Rems di Montegrimano, alle porte di Pesaro, ospita al costo di 300 euro al giorno 19 persone, sforando di qualche unità il numero chiuso. A occuparsene è il Gruppo Atena presieduto dall’imprenditore Ferruccio Giovanetti, che guida un piccolo impero di strutture sanitarie distribuite fra Marche e San Marino. Mentre la Rems calabrese di Santa Sofia d’Epiro (Cosenza), attualmente ospita 20 internati al costo di 190 euro ed è convenzionata con la onlus Il Delfino, titolare della gestione di altre 7 cliniche specializzate nella cura dei malati psichiatrici e tossicodipendenti e nell’assistenza ai minori immigrati.

Infine, ci sono le comunità private che accolgono le persone che non trovano posto altrove. Secondo le stime dei garanti regionali dei detenuti, al momento sono circa duecento quelle in attesa di Rems provvisoriamente prese in carico da strutture protette accreditate. Qui i costi giornalieri variano dai 160 ai 250 euro a paziente. Un giro d’affari in vertiginosa crescita, ma di cui non esistono dati certi.

A sottolineare questa mancanza di trasparenza è il Commissario unico per il superamento degli Opg Franco Corleone: «Manca del tutto una informazione chiara rispetto al luogo dove le persone destinatarie delle misure di sicurezza si trovino se non ci sono posti liberi nelle Rems», scrive Corleone nella sua ultima relazione, «non conoscendosi questo dato, non si riesce a stabilire se si tratti di luoghi di cura propri o impropri».

L’unica cosa certa è che la lista dei “folli rei” che aspettano di entrare nelle Rems si ingrossa giorno dopo giorno con una curva sempre crescente, anche di 50 unità a settimana. Oggi siamo a quota 401. Quarantuno di loro si trovano dietro le sbarre, 15 in Lazio, 7 in Campania, 4 in Lombardia, 2 in Puglia. Alcuni sono ricoverati nei Centri di osservazione psichiatrica, piccoli reparti ospedalieri interni alle carceri. Altri si trovano nei centri clinici, sottoposti a pesanti trattamenti farmacologici. La maggior parte di loro è rinchiusa in celle comuni.

Paolo Pasquariello, 40 anni, si trova parcheggiato a Regina Coeli ormai da un anno. Soffre di gravi disturbi deliranti. Il giudice ha revocato la custodia cautelare in carcere e ne ha ordinato il trasferimento in una Rems, ma non c’è posto. E allora dal carcere si rifiutano di liberarlo. «Non esiste una motivazione giuridica per cui debba essere trattenuto in cella », tuona il suo legale Simona Filippi, che promette battaglia davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, «quello che sta succedendo va oltre la legge».

A San Vittore Massimiliano Spinelli, 46 anni, è stato rinchiuso illegalmente per quasi un anno. Assolto dai giudici per incapacità di intendere e di volere ma ritenuto socialmente pericoloso, è rimasto in custodia cautelare nonostante non avesse nessuna pena da scontare. C’è voluta tutta la costanza dell’avvocato Giulio Vasaturo, invece, perché Alessandro Cassoni, 24 anni, malato di epilessia, affetto da problemi psichiatrici gravissimi e con tendenze suicide, riuscisse dopo 4 mesi a essere scarcerato dalla Casa lavoro di Vasto per essere finalmente trasferito in una Rems. «Si tratta di persone che si trovavano già in custodia cautelare e che sono state valutate come socialmente pericolose: se non si trova posto nelle Rems non possiamo lasciarle libere», ribatte il direttore generale dei detenuti del Dap Calogero Piscitello.

Uno dei nodi fondamentali, spiegano dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è l’assenza di coordinamento a livello centrale che stabilisca una sorta di “graduatoria”, in base alla pericolosità sociale, per chi debba entrare per primo in una Rems in caso si liberi un posto. E così gli ingorghi aumentano. Quasi la metà di loro, inoltre - 208 su 604 - è dentro in via provvisoria, in assenza di condanna. Per il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, si tratta di una grave responsabilità da parte di alcuni giudici: «Si dispone il ricovero nelle Rems troppo facilmente, senza valutare percorsi di terapia alternativi sul territorio».

Del resto la rete dei servizi sociali - per la carenza di mezzi e risorse - spesso non riesce nel suo intento: un paziente su dieci, una volta libero, fallisce nel percorso di recupero.

E tutto ricomincia.