La compagnia catalana Agrupación Señor Serrano porta in giro per l'Europa "Kingdom", un irridente spettacolo sulla teoria economica

Premessa: “Estamos bien”. Stiamo tutti bene. Non c’è alcun problema. Mai stati meglio nella storia.

E se qualcuno ha l’impressione del contrario - che il mondo vada a rotoli, e che l’umanità sia sull’orlo del precipizio, a un passo dall’estinzione - smetta di fare il catastrofista e cambi idea.

Il sistema ha già previsto la falla, e come fagocitarla: basta innescare un desiderio nuovo, spingere l’acceleratore della produzione e dei consumi. E distribuire gli inviti per una festa ancora più irresistibile, ridendo alle nostre spalle.

Benvenuti nel capitalismo visto dalla compagnia catalana Agrupación Señor Serrano. Teoria economica che ha molto a che fare con le banane. E con King Kong.

È partita in prima nazionale da Roma Europa Festival, 33° edizione di una rassegna che guarda sempre più a un mondo senza frontiere e a un teatro senza confini, e che sotto l’insegna “Between Worlds” accoglie artisti e le ricerche da decine di Paesi, l’ultima provocazione di Àlex Serrano, Pau Palacios e Barbara Bloin.

Considerati tra i nomi più interessanti del panorama teatrale attuale, premiati nel 2015 col Leone d’Argento alla Biennale Teatro di Venezia, e in prima linea per il loro impegno politico con lavori come “A House in Asia” e “Birdie”, sulle migrazioni, puntano ora il loro sguardo, critico e ironicissimo, sul capitalismo. Il regno di “los platanos”, le banane, molto totem e poco tabù di un fantomatico regno di uomini e storie battezzato “Kingdom”.

Raccontare i temi più urgenti col linguaggio del presente: questo fa oggi il teatro più innovativo. E lo spettacolo parla di mercati e globalizzazione, di crisi finanziarie e nuova economia dei web attraverso un cocktail di video, musica trap, icone di massa, copertine di “Time” e pura confusione, shakerato da cinque uomini pronti a restare in mutande: Diego Anido, Pablo Rosal, Wang Ping-Hsiang, David Muñiz e Nico Roig alla musica.

Nel 1890 nessuno in Occidente aveva visto, figuriamoci mangiato, una banana. Nel 1920 la banana era la regina del supermercato. Ecco perché è l’emblema del sistema capitalista: la metafora perfetta di come funziona.

Con la tecnica che li contraddistingue - la regia visibile al pubblico; i video che proiettano ciò che la telecamera inquadra in diretta; un piano di figure, carta, miniature sparse su un tavolo da amplificare, con la volontà di smascherare i trucchi - il teatro “documentato” degli spagnoli ripercorre la storia della banana, dalla Genesi ai giorni nostri. Il frutto che Eva mangiò prima di essere cacciata via dall’Eden? Altro che la mela: una Chiquita, ça va sans dire. Piantata dall’ingegnere ferroviario Minor Cooper Keith per nutrire gli operai che lavoravano a una linea ferroviaria nella foresta, la banana fu in breve oggetto di speculazioni. La United Fruit, che la produceva e la distribuiva, fu la prima multinazionale contemporanea.

Le banane dai Tropici invasero il globo, sottolineando tutte le crisi mondiali. Quella del 1929: il crollo di Wall Street fu anche il crollo delle banane. Finché non arrivò King Kong, il gorilla hollywoodiano e l’idea che mancava. Fu lui, animale insaziabile, natura selvaggia, a forgiare l’immaginario collettivo: bestione che libera i suoi, i nostri istinti. E, scatenata la parte feroce, rende il capitalismo senza scrupoli: i giornali fabbricano le storie che vogliono («Oggi più che mai siamo consumatori di informazioni controllate»); il denaro soggioga i governi; i consumi creano dipendenza e sottomissione.

La risposta? Uno sfruttamento commerciale ancora più grande. E una nuova specie di banana: la Cavendish. Così a ogni altra crisi: nel 1976. E poi nel 1992. La risposta non è mai combattere il sistema, raddrizzarlo nelle storture, ma immettere più capitale. Più banane, cioè. Persino di fronte alla crisi del 2008: come King Kong si gonfiano i muscoli spompati, si alza il volume, tutti insieme. Machi stretti in un’haka tribale, e pazienza che più che a una danza di guerra somigli a una stroboscopica coreografia da discoteca.

«Kingdom è stato concepito nel 2008, di fronte alla preoccupazione delle conseguenze dello schianto economico sui cittadini», ha raccontato Palacios: «Ma dopo i primi anni, nei quali si è messo in dubbio questo sistema economico, si è tornati ad agire come in passato, come se nulla fosse cambiato. Il capitalismo va avanti, anche se tutti ne vediamo le conseguenze disastrose, poiché considera il mondo un insieme infinito di risorse. Quando non lo è».

E così questa storia di uomini - nessuna donna in palcoscenico: il capitalismo è con evidenza una storia di testosterone e di patriarcato - continua. Creando desideri che non sapevi di avere, trasformandoli in necessità assolute, trattandole da merci: banane solidali, banane femministe, banane portatili, banane ecologiche. Vitaminizzate, convertibili, senza glutine, queer, psicobanane, hipster, vegane, vintage, zumba, banane-refugees welcome; banane slow food, trans, milf, zen, banane-savetheocean: a ognuno la sua banana.