Campetti da calcio, orti da coltivare, karaoke, laboratori. E la certezza che prima o poi da questo luogo se ne andranno. I reduci degli Ospedali psichiatrici giudiziari e la loro nuova vita nelle Rems, residenze per le misure di sicurezza. Che ora però rischiano il sovraffollamento (Foto di Lorenzo Castore)

Gianluigi è un sopravvissuto. Un reduce degli Ospedali psichiatrici giudiziari. E ora che queste carceri nate per rinchiudere la follia sono state bandite per sempre, lui come tanti altri vivono nelle Residenze per le misure di sicurezza, le Rems.

Il passato, però, non si può cancellare con una legge. Così Gianluigi continua a definirsi prigioniero e preferisce starsene rintanato nella sua nuova camera di Ceccano in provincia di Frosinone. Vive in isolamento, un’abitudine inculcata con la violenza durante la lunga sosta nell’Opg di Aversa. Tra quelle mura era solo un reietto e un assassino, senza storia né identità. Un prigioniero, appunto, da rieducare, da legare a un letto sudicio per giorni se necessario. «Nella Rems si sta meglio, ma non sopporto la confusione, almeno nell’Opg chi non rispettava le regole veniva punito in maniera esemplare. Io più volte sono finito legato a letto e ho preso diverse manganellate». A Ceccano non funziona così, ma Gianluigi deve ancora prendere confidenza con la libertà.


Sembra invece essersi ambientato molto bene Luigino “Settebellezze”, un omone alto e sorridente che indossa la polo blu e gialla del Frosinone calcio. I pazienti in cura in questo comune del frusinate arrivano in gran parte da Aversa. Ora hanno un campetto da calcio, l’orto da coltivare, il karaoke, laboratori, libri, la possibilità di uscire e la certezza che prima o poi da questo luogo se ne andranno. Certo, non sempre tutto va per il verso giusto.

Proprio da Ceccano era fuggito due volte il ragazzo di 22 anni poi suicidatosi a Regina Coeli poche settimane fa. In realtà, ci spiega il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia, «l’amministrazione penitenziaria una volta diventata definitiva la sentenza dell’infermità mentale del giovane non voleva più rimandarlo a Ceccano perché da qui era già fuggito». Un limbo rivelatosi fatale. L’ultimo Opg a chiudere con due anni di ritardo è stato quello di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Istituto noto per aver ospitato anche i finti pazzi di ogni mafia italiana. I sopravvissuti a quell’inferno ora vivono nelle residenze gestite dalle Asl locali. L’approccio è interamente sanitario, «non siamo poliziotti, ma medici, il nostro obiettivo è fare di questo luogo una comunità», ci accoglie così il direttore della Rems di Ceccano, Luciano Pozzuoli. All’interno vivono in 17, «finora ne abbiamo dimessi 18, un numero molto alto, impensabile ai tempi degli Opg».


Al momento gli ospiti totali delle Rems superano di poco le 570 unità. I posti totali disponibili divisi tra le varie regioni ammontano a 604. Non tutte le strutture sono uguali. Ce ne sono alcune più permissive di altre, dove le porte delle stanze restano aperte anche di notte. E dalle quali i pazienti, che non sono più etichettati come internati, possono uscire una volta al giorno accompagnati dall’équipe di psicologi ed educatori.

La Rems di Barete, a L’Aquila, rappresenta l’avanguardia di tale approccio. Ospita 13 ex internati diventati pazienti. Finora sono usciti per “fine cura” in 10. Missione compiuta. La direttrice è una giovanissima psichiatra, Ilaria Santilli, e il gruppo di medici, tutte donne, lavora con un approccio rivoluzionario: tra queste mura non si bada al reato commesso, si cura la malattia psichica. Il resto è stigma, etichetta. Superfluo ai fini del reinserimento nella società. E veniamo appunto al secondo grande tema: le strutture sanitarie che hanno preso in carico gli ex internati puntano alla dimissioni dei pazienti, non sono più, dunque, discariche sociali da cui riemergere era praticamente uno sforzo vano. «Le basi concettuali e pratiche di un modello come le Rems, affinché evitino il rischio di diventare nuovi, pur se piccoli, Opg, sono invece la territorialità e il numero chiuso, il rifiuto della coercizione, in particolare la contenzione, e la consapevolezza che la permanenza nella struttura deve avere un tempo definito», ha scritto Franco Corleone nella sua ultima relazione da commissario governativo per il superamento definitivo degli ospedali psichiatrici.


All’Espresso, Corleone, spiega inoltre che «è necessario mettere in discussione la logica manicomiale a fondamento degli Opg. Di tale approccio è intrisa la nostra società, che tende a rinchiudere il diverso, il cattivo, il matto, figure cioè di disturbo sociale».

C’è però un altro ostacolo che si frappone tra il nuovo equilibrio incarnato dalle Rems e il passato nero delle vecchie istituzioni totali. Al Senato è stato approvato il Ddl penale, che prevede l’entrata nelle nuove strutture residenziali anche dei detenuti comuni con un sopraggiunto disagio psichico. Ecco perché in molti hanno espresso il proprio dissenso, in primis l’associazione Antigone e Stop Opg, a cui va il merito di aver portato avanti una battaglia di certo non popolarissima in un’epoca di becero giustizialismo. E persino i direttori delle Rems hanno chiesto di rivedere la norma, in quanto esiste il rischio concreto di replicare il modello Opg. Anche per questo il comitato Stop Opg guidato da Stefano Cecconi per aprile promette battaglia.

Altro punto critico è la diversità tra Rems e Rems. Ci sono le più progressiste e quelle che mantengono ancora dei vincoli più coercitivi. Ne esistono alcune persino senza sbarre ai piani alti, altre in cui massimo alle undici di sera serrano le porte e hanno i letti saldati al pavimento.

A Nogara, per esempio, nella bassa veronese, non ci sono sbarre né guardie ma vetri antisfondamento, finestre che si aprono pochi centimetri, porte allarmate. Misure di sicurezza passiva, tipiche dei reparti psichiatrici e applicate a questa Rems. Quaranta posti in totale, tre stanze destinate alle donne, la seconda d’Italia per capienza, realizzata in un’ala del vecchio ospedale Stellini, oggi centro sanitario polifunzionale. I primi sedici posti letto sono stati allestiti in fretta e furia alla fine del 2015, rispondendo così alla diffida del Governo che lamentava ritardi. Altri ventiquattro posti sono stati aggiunti nei dodici mesi successivi e lo Stato ha stanziato undici milioni e mezzo per una struttura nuova di zecca. Gli spazi non sono ampi, tuttavia le stanze sono luminose e colorate con un sistema di videosorveglianza in ogni locale. Le porte delle camere sono aperte e i pazienti possono entrare e uscire a loro piacimento. Poi ci sono gli spazi comuni, la mensa, i laboratori e un giardino attrezzato per fare un po’ di movimento all’aperto e qualche partita di calcetto. Insomma, le giornate scorrono tra momenti di cura, laboratori d’arte, i percorsi beauty per le donne, i film e il karaoke.

«La ristrutturazione è costata tre milioni e mezzo di euro», spiega l’architetto Antonio Canini responsabile dell’edilizia ospedaliera del Veneto, «non ci sono tubi, rubinetti, interruttori, lampade, tutti oggetti potenzialmente pericolosi». Per chi è uscito dall’Opg è un cambiamento radicale, non solo perché ora vive in una struttura accogliente e dignitosa, ma soprattutto perché viene curato. Il personale in servizio conta su cinquanta persone tra infermieri, educatori, assistenti sociali, operatori socio-sanitari, psicologi e psichiatri. Ai sanitari si aggiungono due addetti alla vigilanza, non armati ma pur sempre con la divisa a fare da deterrente. Sebbene il passo in avanti rispetto al passato sia evidente, ancora molte cose restano da fare. «Penso al rapporto con la magistratura», riflette il garante dei detenuti del Lazio, «ho seguito il caso di un ragazzo afgano bloccato nella Rems di Palombara perché i giudici che dovevano concedere l’autorizzazione si dichiaravano tutti incompetenti».

nastasia, poi, segnala un’altra anomalia: «Nelle carceri non esiste un supporto per chi durante la detenzione si ammala di patologie psichiche, perciò viene chiesto per loro l’inserimento nelle Rems, dove però dovrebbero stare solo coloro che hanno un’infermità totale certificata in maniera definitiva. Il rischio è il sovraffollamento e l’inserimento di delinquenti comuni tra chi ha veramente bisogno». Insomma, l’ombra inquietante di un ritorno al passato.

La tariffa giornaliera a Nogara è di 290 euro a paziente, a Ceccano si arriva a 400, mentre Barete spende 300 euro al giorno per ogni ospite. Nelle altre, dalla Puglia al Piemonte, le quote giornaliere variano dai 170 ai 500. Cifre che includono anche le spese per i farmaci ed esami clinici. Il tutto grava sulle casse delle aziende sanitarie di residenza. Le strutture dovrebbero essere tutte pubbliche, così prevede la Legge. Tuttavia, la Rems provvisoria di Bra, in provincia di Cuneo, è una casa di cura privata e può accogliere 18 persone. Un’eccezione che costa allo Stato quasi 2 milioni di euro, spesa su per giù pari a quella delle comunità interamente pubbliche.

La Rems più all’avanguardia è, dicevamo, Barete. Qui i colori pastello delle pareti sono funzionali a stimolare le emozioni. L’ambiente è decisamente curato e pulito. All’interno non ci sono telecamere. Anche le camere rappresentano una novità assoluta: sono dei mini appartamenti, con cucina e bagno. Vivono in due per stanza e non c’è momento in cui siano imprigionati là dentro. La libertà e l’autonomia è la base di questo metodo di cura.

C’è persino la possibilità di riunirsi in una trattoria vicina, con l’équipe al seguito. È un modo per riassaporare la normalità, dopo il buio pesto degli anni trascorsi negli ospedali psichiatrici. «Contesto chi tra i miei colleghi vorrebbe Rems più contenitive», si scalda il direttore del dipartimento di salute mentale dell’Aquila Vittorio Sconci, che spiega:«Crediamo fortemente nei trattamenti psichiatrici, se questo è efficace la pericolosità scemerà di conseguenza. Non siamo carcerieri, ma medici e lavoriamo con gli strumenti a noi più consoni».

Stretta tra la strada che porta ad Amatrice e un costone della montagna, la residenza di Barete è l’edificio più distante dall’idea di Opg. Verde, accogliente e soprattutto resistente. Qui hanno vissuto in pieno le recenti scosse del terremoto, l’edificio ha retto. Neppure una crepa. E, dicono i medici presenti, i pazienti sono rimasti calmissimi. Non solo, ma vista la neve alta sono rimasti a dormire tutti nella Rems. Medici e pazienti, come una grande famiglia. Tra queste mura vivono persone che hanno commesso anche omicidi, per i quali c’è già una sentenza definitiva di vizio totale di mente, quindi non imputabili, e perciò destinati a rimanere in strutture di questo tipo. Tuttavia ci sono pure ragazzi con reati minori e per i quali il giudice deve ancora stabilire se sono imputabili o meno. Tra loro c’è Paolo, per esempio. Napoletano, di famiglia borghese, ex studente di liceo scientifico. La sua vita a un certo punto prende il crinale della disperazione. Inizia a vivere per strada e dopo aver aggredito un medico finisce in manicomio. Soffre, Paolo, per una situazione che non accetta.

«Voglio uscire di qui, lo può scrivere questo la prego», ripete in continuazione. Il suo desiderio è tornare in società. Ma ammette che Barete è un paradiso. «Sono tutti molto affettuosi e professionali, prima ho passato mesi di inferno in un manicomio, stavano tutti nudi, urlavano, e non si poteva uscire mai, un posto pericoloso.

Come lo era l’Opg di Aversa, dove ho passato quattro mesi». Alessio è un altro paziente, ha vissuto qualche mese in carcere. «Mi è bastato, ora a Barete sono sereno, anche se i problemi in famiglia che mi hanno condotto fin qui restano. Ma adesso ho un’idea chiara di cosa vorrei dalla mia vita. Uscito di qui mi piacerebbe avere un mio appartamento e iniziare a lavorare». Alessio è appassionato di cucina. Quando entriamo nel suo mini appartamento ci accoglie un profumo di salsa di pomodoro. «Adoro cucinare e poi organizzare pranzi e cene con gli amici con cui ho legato».

Scene di vita quotidiana. Istantanee di uomini e donne che cercano di riprendersi a tutti i costi la normalità con gesti semplici, per noi banali. Una ricetta, un tiro al pallone, un corso di cucina, un po’ di palestra, un libro da leggere. Eresie per quell’epoca da poco tramontata degli Opg.

Ha collaborato Alessandra Cattoi