Sulla rete siamo portati a credere a storie personali e a metodi alternativi che possono causare anche danni gravi. Dimenticando il metodo scientifico, come spiega il professor Luigi Bolondi dell'università di Bologna. Ma ora la medicina ufficiale deve fare dell'ascolto del paziente una priorità

"La cosa più preoccupante di ciò che accade sui social network e sul web rispetto alla salute è un mutamento di paradigma. Anche se i dati sono pochi, una ricerca pubblicata sulla statunitense PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) che si intitola The Spreading of Misinformation online stima che circa l'ottanta per cento dei pazienti si informi in rete. E sappiamo che sul web si tende ad accordare più fiducia all'annedotica personale che ai dati scientifici". Così Luigi Bolondi, ordinario di Medicina Interna e direttore della scuola di Specializzazione in Medicina Interna, commenta il fenomeno delle bufale sul web, un tema pericoloso quando si tratta di cure, diagnosi, patologie, che sarà il centro del suo intervento al prossimo Festival della Scienza Medica di Bologna, venerdì 21 aprile alle ore 18 nella Sala di Re Enzo.
Con una certezza: la fiducia nel metodo scientifico si coltiva fin dall'infanzia. Ed è sulle nuove generazioni che bisogna puntare per evitare che la 'disintermediazione' generata dall'accesso alle risorse delle rete possa diventare una minaccia per la salute collettiva.

Professore, quanto sono pericolose le 'bufale' in rete per chi si informa sulla salute?
I ciarlatani sono sempre esistiti, rispondono a un'innata esigenza dell’uomo: il desiderio di credere in qualcosa, particolarmente quando si tratta di mantenere o recuperare la salute. Ma oggi il web potenzia la capacità di diffondere informazioni senza alcun valore scientifico, e sulle quali il cittadino non ha alcuno strumento di verifica. Di solito questo tipo di informazione è veicolata da una storia personale, con un canovaccio sempre uguale: mi sono curato così e ora sto bene. A questo si aggiunge il proliferare delle teorie del complotto, per le quali le case farmaceutiche sono responsabili di 'nascondere' l'efficacia di ogni tipo di cura alternativa. Questo genere di racconto è molto attraente. Più è grave la patologia, più cresce il rischio di restare vittima di un inganno.

Pensa in particolare all'oncologia, e alle finte terapie contro il cancro?
In campo oncologico c'è un universo di terapie 'alternative' praticamente sterminato: dal veleno dello scorpione alla cartilagine di squalo, dal bicarbonato di sodio al metodo Hamer, dai ceci di Ashkar fino ai clisteri al caffè. Faccio tutti esempi di rimedi, assolutamente inefficaci, che vengono propagandati come cure. Il discredito della chemioterapia è molto grave, anche perché spesso la leva su cui fa affidamento chi propone queste alternative è la disperazione: il paziente si sente ascoltato e confortato. Questo ovviamente è un punto su quale la medicina ufficiale deve riflettere: l'ascolto del paziente, la comunicazione deve diventare sempre di più una priorità. Ma ciò che è importante fa passare è il concetto che per essere ritenuta valida una terapia attraversa un percorso che deriva dal metodo scientifico. Credo che su questo sia necessaria un'educazione collettiva, o l'opinione pubblica rischia di perdere fiducia nella scienza stessa.

Manca un'educazione scientifica diffusa, che aiuti a difendersi dai ciarlatani virtuali?
A scuola ci si concentra più sulle nozioni che sul metodo scientifico, che è invece la base di ogni tipo di terapia. Prima di introdurlo, un farmaco o un protocollo medico vengono sottoposti a un trial. I dati relativi alla cura vengono raccolti, analizzati, validati. E' un processo complesso, che ha degli step e delle procedure condivise. Ma per l'opinione pubblica talvolta è difficile comprenderlo. Una diversa educazione scientifica aiuterebbe molto a rendere tutti più consapevoli.