L'astensione al 53% crea dubbi di legittimità. Il partito del presidente stravince. Suicidio politico dell'opposizione. Ancora brogli. L'analista: "la Russia non si può cambiare con le elezioni". Ma mancano anche i rivoluzionari. Istituto Levada: la povertà aumenta, la classe media era un'illusione e i russi son di nuovo apatici

La percentuale più alta va all'astensione ma la vittoria è del partito del presidente, e nella Duma - la camera dei deputati russa - continueranno a essere rappresentate solo le forze politiche che sostengono Vladimir Putin. Aumentano i seggi della destra nazionalista estrema.

Il risultato della consultazione elettorale in Russia - ancora una volta non esente da accuse di brogli - indica che la maggior parte della popolazione non crede alla possibilità di migliorar le cose partecipando alla politica. E costringe a porsi più di una domanda sulla rappresentatività e la legittimità dell' assemblea che esce dalle urne.

La crisi economica rende sempre più illusorio lo sviluppo di una vera classe media e crea disaffezione nelle grandi città, in tutti gli strati di una società civile ancora in fasce. La propaganda nazionalista del governo, dopo l'annessione della Crimea, mantiene però la presa su chi è sensibile al populismo patriottico. E a quanto pare questa gente - se vota - va sempre più a destra.

Tutto questo porta a dover considerare in modo realistico la possibilità di un epilogo non istituzionale per il regime, in un futuro prossimo o distante che sia. E a valutare le eventuali conseguenze.

Una Duma per Putin

L'affluenza è stata pari al 47,8 per cento degli aventi diritto, contro il 60,2 delle precedenti elezioni parlamentari. A Mosca ha votato solo il 35,2 per cento. A San Pietroburgo il 25. Sia per l'intera Federazione che per le due sue città più importanti è il record negativo di questo secolo.

Russia Unita, una creatura di Putin, ha ottenuto il 54,3 percento dei voti, contro il 49,3 percento delle precedenti elezioni. Significa oltre 343 deputati rispetto ai 238 attuali, ovvero una maggioranza superiore ai due terzi. Qualificata per l'approvazione di riforme costituzionali.

Già nella legislatura uscente il governo non aveva difficoltà a far passare riforme in grado di irrobustire l'autoritarismo, come quella sul limite per i mandati presidenziali. Ora è ancora più facile.

Pochi minuti dopo la chiusura dei seggi, quando lo spoglio e gli exit poll erano ancora in alto mare, lo zar è arrivato nella sede del suo partito con la camicia nera delle grandi occasioni e ha immediatamente cantato vittoria.

Opposizione "costruttiva"

Il partito "liberal-democratico" dell' ultra nazionalista Vladimir Zhirinovsky risulta in crescita al 13,2 percento e in pratica raggiunge i comunisti. (Zhirinovsky, per chi è distratto o non ricorda, è il tipo che una volta disse a due dei suoi di stuprare una giornalista incinta di sei mesi che gli aveva fatto una brutta domanda, ndr).

Conserva una presenza non trascurabile in parlamento anche Una Russia Giusta, partito di ispirazione social-democratica, al 6.2 percento.

I deputati di questi partiti, gli unici presenti nella Duma oltre a Russia Unita, siedono ai banchi dell'opposizione e continueranno a farlo. Ma l' opposizione è finta. Anzi "costruttiva", dicono qui. Di fatto, i tre "oppositori" votano sempre col partito del presidente.

Opposizione suicida

L'opposizione vera, in preda a un' incontrollabile mania suicida, si è presentata divisa e non ha in nessun caso passato la soglia di sbarramento del cinque percento.

I liberali filo-occidentali di Yabloko si sono scontrati con Parnas, il partito di Boris Nemtsov - ammazzato da sicari nel febbraio di un anno fa a due passi dal Cremlino - e con i candidati presentati dalla nemesi di Putin: l'ex petroliere Mikhail Khodorkovsky, oggi in esilio dopo aver passato dieci anni in carcere per aver osato sfidare politicamente il presidente.

Facendo due calcoli, i tre raggruppamenti se si fossero schierati sotto una sola bandiera avrebbero potuto entrare in parlamento.

Il leader più carismatico degli oppositori, Alexey Navalny, era fuori gioco. E per di più aveva annunciato che non sarebbe andato a votare. Così ha contribuito al "successo" dell'astensione. il popolare avvocato anticorruzione squalificato prima del fischio d'inizio perché condannato per appropriazione indebita in un processo farsa (così ritiene la Corte di Strasburgo), alla vigilia della consultazione ha detto che andare alla urne non sarebbe servito a nulla perché l'esito era scontato. E che comunque nessuno dei candidati della sua circoscrizione gli piaceva.

Dell'inutilità del voto

L'effetto Navalny si è visto soprattutto nelle grandi città.

"Sì, sarebbe il mio seggio, ma visto che Navalny non c'è, non saprei proprio per chi votare", diceva Alla, 34 anni passando domenica davanti al seggio numero cinque del ricco quartiere Arbat, nella capitale, senza alcuna intenzione di fermarsi a esercitare i suoi diritti di cittadina. "Eppoi ha ragione a dire che votare non serve a niente: siamo in Russia, non sono mica elezioni vere", aggiunge.

Dalle 12:00 alle 12:40 al seggio dell' Arbat sono entrate per votare nove persone in tutto.

"Un'affluenza così bassa priva di ogni legittimazione la Duma, e dimostra che questo sistema politico è fallito", ha detto il leader di Yabloko Grigory Yavlinsky ammettendo la sconfitta quando - nel cuore della notte - i risultati avevano ormai preso forma: "dobbiamo cambiare la costituzione, e le istituzioni al completo, oltre al presidente".

Ma come fate a cambiar tutto se non siete nemmeno in parlamento? Significa che la strada istituzionale non è più percorribile? Resta solo la rivoluzione? "Non fraintendetemi: solo pacificamente e attraverso il voto possiamo cambiare il Paese", risponde Yavlinsky all'Espresso, ammettendo che pensa di candidarsi alle presidenziali del 2018. Lo ha già fatto tre volte in passato, con risultati deludenti.

Rivoluzionari cercasi

Yavlinsky ha spiegato che Yabloko non poteva correre insieme agli altri anti-putinisti perché troppo sovversivi. Poi il partito ha precisato che invece sì, in futuro tenterà l'unione delle forze.

L'impressione è che con nemici politici come questi Vladimir Putin, almeno per ora, possa dormire sonni tranquilli.

A Yavlinsky non piace Khodorkovsky perché è "rivoluzionario", dice. In effetti, l'esule sostiene da tempo che per cambiare la Russia si dovrà attendere l' inevitabile implosione del regime, e farsi trovare ben preparati a gestire la transizione e il cambiamento.

"La gente sa bene che in Russia le cose non si cambiano con le elezioni", dice all'Espresso Boris Makarenko, direttore del Centro per la tecnologia politica (Cpt) - un think tank moscovita.

L'asserzione è gelida come un vento siberiano, e sembra indicare la necessità di una soluzione extra-istituzionale. Ci possiamo aspettare eventi capaci di sconvolgere, di nuovo, il mondo?

La verità è che per le rivoluzioni oggi in Russia manca il materiale umano. Secondo l'istituto indipendente di ricerca sociale Levada, l'80 per cento dei cittadini non si sogna nemmeno di andare in strada a protestare.

Anche se queste elezioni odorano di brogli quasi come quelle del 2011, che furono seguìte dalle manifestazioni antigovernative più imponenti dai tempi della fine dell'Urss, probabilmente stavolta non ci saranno cortei.

"Prevale una profonda disillusione", dice all'Espresso la responsabile dei sondaggi politici di Levada Natalia Zorkaya: "molte persone che magari scesero in piazza cinque anni fa oggi pensano solo a sé: hanno visto finire nei guai i loro compagni di protesta, temono la repressione, e anche l'instabilità che - come la propaganda governativa non manca di sottolineare costantemente - spesso è seguita alle "rivoluzioni colorate" nei paesi ex-comunisti". Eppoi, constata la sociologa, "non c'è una vera organizzazione del dissenso, né ci sono grandi leader". Negli anni Settanta dalle nostre parti lo chiamavamo "riflusso".

Schede magiche

In misura minore rispetto a quanto successe nel 2011, sta emergendo l'evidenza di vere e proprie frodi. In tre regioni del Paese si riconteranno i voti, ha reso noto la responsabile dell'ufficio elettorale centrale Ella Pamfilova.

Alcuni osservatori elettorali hanno postato sul web video delle telecamere installate ai seggi in cui si vedono scrutatori rimpinzare le urne di schede già pronte.

La Pamfilova, integerrima e rispettata attivista per i diritti umani, aveva parlato di sue dimissioni nel caso di brogli. Ma ha già chiarito che no, se ne resterà al suo posto.

Insieme alla novità del sistema maggioritario a collegio uninominale per l'assegnazione di metà dei seggi (proporzionale a liste chiuse per l'altra metà), la Pamfilova, da poco nominata era considerata la testimonial della volontà governativa di evitare accuse di irregolarità.

E la volontà probabilmente c'era davvero. Tanto, l'esito del voto era scontato. Ma ci sono i realisti più realisti del re. Specialmente in Russia, dove settant'anni di comunismo hanno insegnato che il capo è meglio tenerlo contento anche quando non te lo chiede. Così capi-ufficio e dirigenti statali hanno imposto ai dipendenti di portar le prove della loro fedeltà.

Sono le stesse opposizioni a dire che Putin non voleva brogli. Voleva l'astensione, che ha favorito solo il suo partito. Una strategia precisa. Attuata con l'anticipo del voto in un periodo che per molti russi è di vacanza, e anche in altri modi.

Nel centro di Mosca, città che di Russia Unita farebbe volentieri a meno, non si vedevano manifesti elettorali. Nei sobborghi e nei villaggi della regione, dove il partito ha più voti, il clima da campagna elettorale era invece ben presente.

Vecchia piccola borghesia

Eppure di motivi per dire la propria ed utilizzare il diritto di voto - con tutti i limiti imposti in Russia - i cittadini ne avevano: tre anni di recessione, tasso d'inflazione sopra il sette percento, salari in calo di quasi il dieci per cento nell'ultimo anno e circa 20 milioni di persone sotto la soglia della povertà. Mentre il governo taglia la spesa sociale (niente contingenza per le pensioni) e finanzia senza limiti il riarmo di tipo sovietico in corso.

"I russi possono essere politicamente apatici anche quando non sono contenti di come vanno le cose, spiega Natalya Zorkaya: "non sono mai diventati ricchi, sono abituati a una povertà se possibile dignitosa, e a conviverci esercitando l'arte di arrangiarsi, come ai tempi del comunismo e ai tempi degli zar".

Tra i motivi di queste fasi di inerzia politica così radicate nella memoria storica della popolazione è la mancanza di una piccola e media borghesia, tessuto connettivo di una società civile che offra luoghi di incontro culturale e motivi di coesione ideale.

"La creazione di una classe media per la prima volta nella storia della Russia sembrava la grande novità degli anni Duemila, ma si è rilevata illusoria", spiega la sociologa: "calcoliamo che non più del 5/7 percento della popolazione possa definirsi classe media". E tra queste persone, quasi tutte con un alto livello di studi, molte appena possono vanno a vivere all'estero, almeno per un periodo - registra il centro Levada.

Realtà e mistificazione

Val la pena ricordare che Levada è stato appena messo nella ormai lunga lista degli "agenti stranieri", secondo disposizioni di una legge recente che usa terminologie da film di spie degli anni Sessanta. Infatti, l'istituto di sondaggi più autorevole della Russia ha un accordo per borse di studio con uno dei più temibili nemici di Mosca: l'università del Wisconsin.

Vladimir Putin è idolatrato dalla destra populista d'Europa e d'America. In tanti oggi parlano della Russia come di un grande paese di patrioti duri e puri. La Russia è un grande paese e Putin ha il merito di aver fatto capire - con tutti i mezzi - che è impensabile non considerarla.

Ma la realtà è diversa da quella che i nazional-populisti occidentali hanno in testa. E le cose sembrano destinate ad andare peggio. Forse quando andranno davvero molto male, salterà il tappo, il Cremlino cambierà ospiti. E le cose potranno andar meglio.