Mancano 1,6 miliardi per far ripartire i lavori e completare i 100 chilometri dell'asse viario destinato a collegare le province di Treviso e Vicenza. E proprio attorno all'assenza di liquidità da mesi è in atto una battaglia tra il governatore veneto e il premier  perché venga dato il via libera a un prestito obbligazionario garantito dalla Cassa Depositi

Nel cuore del Nordest, in Veneto, da oltre vent'anni una superstrada lunga nemmeno 100 chilometri è al palo. È la Pedemontana Veneta, una Salerno-Reggio Calabria in modalità Nord Est, che da settimane ha i cantieri fermi. Mancano 1,6 miliardi per far ripartire i lavori e completare quasi il 70 per cento dell'asse viario destinato a collegare le province di Treviso e Vicenza.

E proprio attorno all'assenza di liquidità da mesi è in atto una battaglia tra il governatore veneto Luca Zaia e il premier Matteo Renzi, perché venga dato il via libera, ormai imminente, ad un prestito obbligazionario da 1,6 miliardi di euro, garantito dalla Cassa Depositi.

Un'opera, quella della Pedemontana Veneta, che comincia il proprio travagliato percorso più di venti anni fa. Il sogno di unire in modo diretto le province di Treviso e Vicenza prende infatti corpo nei primi anni Novanta. Nel 2003 arriva la svolta decisiva perché il sogno possa diventare realtà. Con Silvio Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, Pietro Lunardi come ministro delle infrastrutture e Giancarlo Galan al secondo mandato di presidenza del Veneto, viene siglata un’intesa quadro tra il Governo e la Regione: la superstrada viene dichiarata tra le “infrastrutture di preminente interesse nazionale per le quali concorre l’interesse regionale”.

L'iter di realizzazione prende dunque il via. E di progetto in progetto, con il passare degli anni, i costi dell'opera aumentano in modo esponenziale. Inizialmente lo studio di fattibilità stima i costi della superstrada in quasi 900 milioni di euro. Ma, appena pochi mesi dopo, nel progetto preliminare del dicembre del 2003, il budget necessario schizza a poco meno di 2 miliardi di euro. Spesa per la cui copertura il contributo pubblico viene fissato in 243,7 milioni di euro. Come vederemo, però, questo limite indicato all'inizio sarà poi ampiamente superato, per arrivare agli attuali 1,1 miliardi di euro.

«Oggi», scrive la Corte dei Conti in una corposa relazione del dicembre del 2015, «il costo di realizzazione ha superato, con gli oneri capitalizzati, i 3 miliardi, anche a causa del necessario, continuo miglioramento progettuale e delle opere compensative richieste dagli enti locali». La lievitazione dei costi fa poi il paio con un quadro di difficile sostenibilità finanziaria. Che dipende dai volumi di traffico generati. Ma proprio le previsioni di traffico sono incerte e spiegano le difficoltà di reperimento delle risorse necessarie a finanziare l'opera. «Suscita preoccupazione», si legge nel carteggio della Corte, «che ad oltre sei anni dalla stipula della convenzione non sia ancora disponibile gran parte del capitale privato per la realizzazione dell’opera. Al punto che gli oneri, finora, sono gravati quasi esclusivamente sulle spalle della finanza pubblica. Ciò, in contraddizione con le finalità del partenariato pubblico-privato, attuato con il ricorso al cosiddetto project financing. Cosicché, a fronte di un impegno finanziario della cordata di imprese aggiudicatarie pari a 200 milioni di euro (di cui però solo 50 realmente versati), i lavori sono già costati alle casse pubbliche 615 milioni. Ben oltre, dunque, i 243 milioni ipotizzati nel 2003.

Cifre, queste, che fanno venire i brividi. E che soprattutto non tengono conto degli effetti di una norma ad hoc, voluta da Zaia e destinata a modificare l'originaria convezione siglata con il consorzio di imprese costruttrici. Un vero e proprio paracadute. Perché in presenza di volumi di traffico inferiori a quelli previsti nel piano economico-finanziario, la Regione sarà chiamata ad indennizzare i gestori-concessionari dell'infrastruttura per i minori introiti realizzati, fino ad un ammontare massimo di 436 milioni di euro, spalmati nei primi 15 anni di esercizio.

Ma i vantaggi per i concessionari non finiscono qui. Perché, come mette in luce la Corte dei Conti nella sua relazione, l'articolo 7 della Convenzione prevede come durante «il primo quinquennio dall’entrata in esercizio, per tener conto della qualità intrinseca della nuova infrastruttura, la variazione annuale delle tariffe sarà pari al tasso di inflazione reale [...], incrementato del 10 per cento». In sostanza, anche con un'inflazione pari a zero, i pedaggi aumenteranno. Una vera e propria singolarità che non ha eguali in nessuna convenzione per la gestione di arterie in concessione. Basti pensare che i pedaggi sulle ventisei tratte stradali e autostradali in concessione hanno avuto nel 2016 un incremento complessivo pari allo 0,86 per cento.

Un'altra previsione appare degna di nota ed ha attirato l'attenzione della Corte dei Conti. L’articolo 18 della convenzione fissa infatti la durata della gestione in trentanove anni dall’entrata in esercizio dell’ultimo lotto funzionale. Generalmente, invece, gli anni di durata della concessione partono dal momento in cui viene approvato il progetto esecutivo e quindi gli eventuali ritardi nella realizzazione dell'opera incidono sul tempo di riscossione dei pedaggi. Nel caso della Pedemontana, invece, sembra proprio che si sia voluto porre al riparo il concessionario dal rischio d’impresa per i ritardi, già drammaticamente importanti, nella progettazione e nella realizzazione dell’opera. «Al contrario», spiegano infatti i magistrati contabili nella propria istruttoria sulla Pedemontana, «una durata certa della concessione avrebbe spinto il concessionario a ridurre i tempi di esecuzione, al fine di ottenere un periodo di gestione più lungo».

La storia della Pedemontana Veneta è stata poi contrassegnata anche da gravi carenze sul piano della rendicontazione dei costi e del monitoraggio da parte del ministero delle Infrastrutture. L'inoltro dei rendiconti della contabilità al ministero dell’Economia e delle finanze è avvenuto infatti solo dopo l’inizio dell’attività istruttoria della Corte dei Conti. Che fa notare come questo sia avvenuto «senza che, per l’inadempimento, il ministero controllore abbia mai fatto azione di sollecito».

In tutto ciò, inoltre, la Struttura tecnica di missione presso il ministero delle infrastrutture che si occupa di opere come la Pedemontana Veneta, non è mai stata destinataria di alcuna relazione periodica sullo stato di avanzamento del progetto. Rispetto al quale, però, il ministro Graziano Delrio e lo stesso Matteo Renzi non possono tirarsi indietro. Mettendo addirittura in campo, come avverrà a breve e come chiede da tempo Zaia, la Cassa Depositi. Con i relativi costi che ne deriveranno. E soprattutto con buona pace di chi pensava che la Pedemontana Veneta sarebbe stata realizzata senza il dissanguamento delle finanze pubbliche, tipico delle infrastrutture realizzate nel Belpaese.