Il risentimento verso l'Occidente è il vero collante del riavvicinamento tra Russia e Turchia. Il presidente turco: "L'Unione europea ci prende in giro da 53 anni". Sullo sfondo anche interesssi economici: le trattative per il gasdotto Turkish Stream e il contenzioso tra Saipem e Gazprom

Il risentimento verso l'Occidente è il terreno comune su cui si sta compiendo il riavvicinamento tra Russia e Turchia. Obbiettivo primario di Mosca, quello di ridefinire un sistema di alleanze pieno di ambiguità e da tempo in crisi, per veder riconosciuto in Medio Oriente - e non solo - il ruolo di grande potenza che ritiene le competa. Per Ankara, invece, si tratta soprattutto di uscire dall'isolamento da quarantena creatosi a causa della reazione del governo al fallito golpe - condannata senza mezzi termini da Ue e Usa. E di crearsi quante più amicizie possibile in una regione in cui, sullo sfondo della devastazione della Siria, agisce la nuova forza dell'Iran sciita.

La coincidenza di alcuni interessi nell'attuale situazione internazionale potrebbe sortire un'alleanza inedita, difficilmente immaginabile dopo l'abbattimento da parte turca di un cacciabombardiere russo nel novembre scorso e le sanzioni di conseguenza imposte da Mosca - ritirate solo poche settimane fa in seguito a una lettera di non meglio identificate "scuse" del presidente turco Tayyip Erdogan a Vladimir Putin.

"L'incontro col mio amico Vladimir rappresenta un nuovo inizio, i nostri paesi faranno molta strada insieme", dice ora alla Tass Erdogan. "Senza la Russia non sarà mai possibile trovare una soluzione alla crisi siriana", aggiunge. Musica per gli orecchi di Vladimir Putin. Quanto all'Unione Europea, il giudizio di Erdogan è  perentorio: "Ci prendono in giro da 53 anni, e continuano a farlo".

"La frustrazione per il fallimento di ogni tentativo di avvicinarsi all'Unione Europea è ciò che più accomuna Russia e Turchia", dice all'Espresso Andrey Kortunov, direttore del Consiglio russo per gli affari internazionali (Riac), istituto vicino al ministero degli esteri di Mosca. Secondo Kortunov, il disappunto nei confronti dell'Occidente è un collante abbastanza forte da resistere alla capacità disgregante dei punti di divergenza che pure esistono.

"E' vero che la Russia, al contrario della Turchia, in Siria appoggia Bashir Assad", spiega il numero uno del Riac, "ma possono prevalere le posizioni comuni, spesso in contrasto con quelle di Usa e Ue: sia Mosca che Ankara vogliono che la Siria resti una e indivisibile, e per entrambe la sicurezza della regione è una priorità assoluta, da raggiungere in fretta". A questo proposito, secondo Kortunov, non sarà difficile raggiungere un compromesso sul problema curdo. La Russia ha finora appoggiato il Pkk, partito curdo considerato da Teheran un gruppo terrorista. Probabilmente l'appoggio sarà implicitamente rinnegato in cambio del via libera da parte di Ankara al riconoscimento di un'entità curda nel dopoguerra: "Un punto fermo della politica russa nella regione", sottolinea l'esperto.

Il nodo più difficile da sciogliere resta però l'atteggiamento della Turchia sunnita nei confronti del grande rivale sciita: l'Iran. Non a caso l'incontro di San Pietroburgo è stato preceduto di 24 ore da un incontro a Baku tra i presidenti di Russia, Iran e Azerbaigian - paese ex sovietico del Caucaso a maggioranza sciita eppure nemico dell'Iran - oltre che della Turchia - nel conflitto del Nagorno Karabak, territorio conteso con l'Armenia. L'arrivo di Hassan Rouhani alla presidenza iraniana ha già contribuito a una distensione, con conseguenze diplomatiche di ampio raggio - che sembrano aprire la strada a una nuova fase dei rapporti turco-persiani.

"Noi vorremmo, al fianco del presidente Putin, assistere Erdogan nel creare buone condizioni e risolvere i problemi, in modo che possa prendere decisioni giuste", afferma il vice ministro degli Esteri di Teheran, Ibrahim Rahimpur, in un'intervista con l'agenzia di stampa russa Ria Novosti. "Si tratta di questioni regionali, dall'Iraq alla Siria. Penso che sia Rouhani sia Putin siano pronti a fornire a Erdogan assistenza e sostegno. Il supporto che Putin e Rouhani potrebbero fornire non può essere garantito né dagli arabi né dagli stati occidentali. La nostra regione - conclude - ha bisogno che Russia, Iran e Turchia abbiano buoni rapporti".

Una troika Mosca-Teheran-Ankara per risolvere i problemi mediorientali, insomma. Qualcosa che Washington e l'Unione Europea non avevano previsto, quando un anno fa siglarono l'accordo sul programma nucleare iraniano abolendo le sanzioni contro Teheran e di fatto riportando il grande Paese sciita nel sistema internazionale. D'altra parte, al trattato gli Usa non hanno fatto seguire quella revisione dei rapporti con l'Arabia Saudita, l'arcinemico dell'Iran, che alcuni osservatori auspicavano. E l'alleato saudita degli americani continua a combattere una guerra per procura contro l'Iran nello Yemen, e a finanziare indirettamente - attraverso il suo clero whahabita e le charity che ne dipendono - l'estremismo musulmano in tutto il mondo. 

Per carità, il governo turco assicura che il riavvicinamento con Mosca non prelude a uno sganciamento dalla Nato. Figuriamoci che la Turchia non uscì dalla Nato nemmeno in seguito alla profonda crisi con l'Alleanza che seguì il colpo di stato di Kemal Gursel e l'impiccagione del leader democratico Adnan Menderes all'inizio degli anni Sessanta. Ma, come ha detto alla Reuter l'ex diplomatico di Ankara Sinan Ulgen, "per Erdogan, quest'incontro con Putin è certamente un opportunità per segnalare all'Occidente che ha altre opzioni strategiche".

L'Europa non è più l'ombelico del mondo, sembra volerci dire questa inedita diplomazia mediorientale. Certamente, la dipendenza dalle forniture di idrocarburi dalla Russia e la crisi ucraina, così come il ruolo chiave della Turchia per l'emergenza immigrazione nei paesi Ue - grido di guerra del populismo quasi ovunque in ascesa - non ci consente alcuno smarcamento alla Ponzio Pilato. Le cancellerie europee hanno davanti situazioni nuove e dovranno essere più rapide e efficaci nel cercare equilibri che possano tenerne conto.

Le alleanze consuete sono meno forti e tutt'altro che stabili, nel mondo. Nel sistema internazionale, oggi tutto cambia in fretta. La Russia, e a quanto pare la Turchia, agiscono secondo quello che gli analisti diplomatici definiscono "opportunismo costruttivo", ovvero cercano di ottenere ciò che si può ottenere subito a seconda delle circostanze, al di là di ogni altra considerazione - alleanze tradizionali comprese. Non è una strategia da copiare. Non è nemmeno una strategia, in effetti. Ma implica immaginazione e originalità. Concetti che sembrano da tempo essere  quasi del tutto assenti nelle menti dei responsabili delle politiche estere occidentali.

Nell'agenda dell'incontro di San Pietroburgo, anche i rapporti economici. In particolare, russi e turchi hanno ripreso a parlare di Turkish Stream, gasdotto il cui sviluppo fu congelato nel novembre scorso con danni per 760 milioni di euro per la committente italiana Saipem, che in merito ha aperto un contenzioso con il colosso energetico statale russo Gazprom. I turchi insistono per riportare in vita il progetto. I russi meno. "Difficile vada in porto", dice Kortunov: "Costa troppo ed era solo un ripiego rispetto al progetto South Stream, che riguardava i rifornimenti di gas all'intera Europa". South Stream è stato bloccato dalle sanzione anti-russe seguite all'intrusione di Mosca negli affari interni ucraini sfociata nell'annessione della Crimea. Recentemente l'Ue ha dato alla Bulgaria, uno dei Paesi attraversati dal gasdotto, il permesso di ripendere le trattative con la Gazprom. E secondo fonti bulgare sentite dal Riac, "sono effettivamente già riprese" - rivela Kortunov.