Mentre si aggrava il bilancio del terremoto che ha colpito la valle del Tronto e Amatrice, molte le similitudini con il sisma che colpì l'Abruzzo sette anni fa. I luoghi sono contigui. E una constatazione si affaccia: la lunga sequenza di tragedie provocate dai terremoti ci ha insegnato poco nel campo della prevenzione e dell'educazione di massa

L'ora, la stessa. Minuto più minuto meno. 3,36 segna l'orologio sul campanile di quel che resta di Amatrice. Erano le 3,32 sette anni fa all'Aquila. L'ora dolce della notte. Sonno profondo. 24 agosto 2016, un mercoledì di fine estate, borghi dell'Appennino centrale ancora affollati di turisti; per molti è un ritorno a casa: quella dei genitori, dei nonni.

Le radici, non le puoi tagliare. 6 aprile 2009, un lunedì della settimana santa: tanti studenti universitari erano già andati via dall'Aquila per tornare in vacanza alle loro case. Le radici, furono la salvezza. Non per quei poveri figli che erano invece rimasti ospiti nella malmessa Casa dello studente. E poi il risveglio con gli occhi sgranati per il terrore, l'odore acre della polvere che ti toglie il respiro, il buio, le prime voci che diventano pianti, disperazione. La malanotte.

Quante similitudini. I luoghi sono contigui, oggi come sette anni fa. Rieti, Amatrice, Accumuli, Pescara del Tronto, L'Aquila, Onna. Borghi antichi solo in parte preservati dal dilagare delle costruzioni in cemento armato non meno fragili di quelle d'un tempo. Presepi preziosi e sfasciume pendulo, secondo la definizione dei primi del '900 di un meridionalista appassionato quale fu Giustino Fortunato.

È la mescolanza contraddittoria di tanta parte dei nostri territori interni, appenninici, destinati all'inesorabile spopolamento, salvo rivitalizzarsi poche settimane all'anno. Le radici profonde, ancora vitali. Oggi si sono rivelate fonte di dolore e spaesamento. Non è l'ora delle recriminazioni e delle accuse. Ma del soccorso, del conforto, dell'assistenza.

Ci sono ancora vite da salvare, si spera. Eppure la lunga sequenza di tragedie provocate dai terremoti ci ha insegnato poco nel campo della prevenzione e dell'educazione di massa. Niente piani di evacuazione, niente punti di raccolta, niente di niente. Un'impreparazione collettiva resa ancora più evidente dal senso di impotenza trasmesso dalle immagine delle dirette televisive. Un ultimo ricordo, infine, legato alla malanotte dell'Aquila. Si scoprì, tempo dopo, che alcuni avevano riso al telefono scambiandosi le notizie sul disastro: vedevano grandi appalti all'orizzonte. La risata delle iene. Siamo sicuri che quella specie animale si sia estinta? Auguriamocelo.