Quest’estate l’Italia è tra i paesi a rischio per la diffusione del virus. Soprattutto Roma. Dove sbarcano sia i turisti di ritorno dalle Olimpiadi in Brasile sia i pellegrini sudamericani in visita per il Giubileo

Èarrivata viaggiando con gli pneumatici, ma non su strada. Molto probabilmente la zanzara tigre (Aedes albopictus) sbarcò in Italia cullata nelle acque stagnanti dei copertoni importati dagli Stati Uniti. Un viaggio d’andata senza ritorno: erano gli anni Novanta e da allora la tigre asiatica - perché di lì la zanzara sembra essere originaria - avrebbe trovato terreno più che fertile in Italia diventando tra gli animali più infestanti e difficili da combattere. Specie d’estate, specie quest’estate, quando l’allarme di Zika - il virus per lo più asintomatico ma correlato al rischio della sindrome di Guillain-Barré e di microcefalia nei neonati da mamme infette - è diventato concreto.

Uno studio dell’Università di Umeå, in Svezia, ha appena calcolato il pericolo di diffusione del virus che preoccupa Sudamerica e Europa. L’Italia nelle mappe del rischio risplende di un rosso intenso: alto pericolo di epidemia, insieme alle coste della Grecia, della Francia, della Spagna, dell’Albania e a quelle russe che si affacciano sul Mar Nero.

Proprio lì dove, ricordano dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), la zanzara tigre è più presente. Periodo caldo: da giugno a agosto, con una coda che potrebbe estendersi fino a ottobre. «Il rischio che il virus Zika arrivi in Italia, e nel resto d’Europa è reale», conferma Alessandra della Torre, parassitologa presso il Dipartimento di Sanità pubblica e Malattie infettive dell’Università Sapienza: «Se infatti finora il pericolo per il nostro continente era basso, l’arrivo di questa stagione estiva cambia le carte in tavola».

Perché le zanzare sono attive d’estate sì, ma «il rischio di diffusione di un patogeno trasmesso dalle zanzare non è legato solo al periodo di attività degli insetti ma anche a quanto viaggiano le persone infette e alle possibilità di movimento del virus stesso. Con le olimpiadi brasiliane alle porte è più che probabile attendersi un aumento del numero di viaggiatori che ritornano dalle zone infette».

La paura infatti è che dopo essersi infettata in aree dove il virus è endemico, come il Brasile appunto, la persona portatrice (e con lei il virus) prenda un aereo, e possa arrivare in Europa. Qui le nostre zanzare tigri potrebbero fare il resto: pungendo la persona infetta diventerebbero bacino del virus e potrebbero innescare un’epidemia locale.

Piccola, con appena una manciata di casi nelle zone a rischio, ipotizzano i ricercatori svedesi incrociando stime sui viaggiatori provenienti da aree infette e diffusione delle zanzare locali. Dove? Lì dove le albopictus sono più presenti: in città e nelle periferie urbane, perché la zanzara tigre è un insetto tipicamente cittadino. «La reale capacità di diffusione del virus dipende dalle condizioni locali, sia per quanto riguarda la densità delle zanzare che la possibilità di arrivo di persone infettate da zone in cui il virus è endemico», continua della Torre.

Così, se per il Trentino il rischio è trascurabile, discorso diverso per città come Roma, dove, complice l’alta densità di zanzare ma anche la vicinanza di aeroporti internazionali e l’elevato numero di turisti, fino ad ottobre il rischio di epidemie locali è elevato, come risultato da studi coordinati da Beniamino Caputo e da Angelo Solimini della Sapienza. E non solo per l’andata e ritorno di viaggi in Brasile per le Olimpiadi: «Il 2016 è anche l’anno del giubileo ed è lecito attendersi un flusso maggiore di pellegrini provenienti dall’America Latina a Roma rispetto ad altri anni», spiega della Torre.

Le colpe del global warming
Tutto questo ammesso che la nostra zanzara sia efficiente almeno quanto la parente sudamericana, la Aedes aegypti, nel trasmettere il virus. Su questo qualche dubbio rimane: uno studio dell’Istituto superiore di sanità, pubblicato su Eurosurveillance, ha infatti mostrato che la zanzara tigre, seppur in grado di trasmettere il virus, è meno brava a farlo rispetto alla Ae. aegypti.

Ma se il dato dovrebbe da una parte tranquillizzare, dall’altra non esclude comunque il rischio, ribadisce anche Marco Di Luca, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, primo autore del paper su Eurosurveillance: «Oltre alla densità e al periodo di attività, vanno messi in conto anche la capacità di pungere ospiti diversi e quella di adattarsi a condizioni climatiche differenti, che possono influenzare l’efficienza della nostra zanzara tigre come vettore del patogeno».

Come a dire, il rischio di trasmissione del virus Zika da parte delle zanzare nostrane sembra minore, ma il pericolo resta. Anche perché non è detto che la Ae.aegypti, il vettore principe di Zika, rimanga a lungo un insetto lontano: «Se da una parte è vero che questa zanzara non riesce ad adattarsi ai climi temperati, perché non depone uova “diapausanti” che superano l’inverno, come fa invece la nostra albopictus, dall’altra il recente rinvenimento di Ae.aegypti lungo le coste del Mar nero sta creano preoccupazione tra le autorità sanitarie per una sua possibile introduzione nel Mar mediterraneo», continua Di Luca. Il motivo, neanche a dirlo, va cercato nei cambiamenti climatici che permettono alle zanzare di estendere il proprio regno anche dove prima non ve n’era traccia.

Ma non solo: le zanzare per muoversi hanno bisogno di passaggi, e così anche l’aumento del traffico di merci e di persone degli ultimi anni favorisce la diffusione di specie esotiche: «L’introduzione di nuove specie invasive è un rischio sempre possibile: si è verificato in passato per Ae.albopictus, ma anche di recente per Ae.koreicus e Ae.japonicus, anch’esse esotiche e potenziali vettori, che si stanno diffondendo in alcune province della Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia».

E se la paura oggi è per Zika, di patogeni trasportati dalle zanzare ne esistono diversi, come ci ricorda anche la storia recente. Era il 2007 e nelle area di Ravenna cominciarono a essere segnalati casi di una febbre dal nome dal sapore africano, difficile da pronunciarsi: la Chikungunya, “ciò che piega” o “contorce” per via di quei forti dolori articolari che limitano i movimenti dei pazienti e che possono durare per mesi in seguito all’infezione.

Malattia, così come Zika, che si diffonde attraverso le punture di zanzare del genere Aedes, aegypti e albopictus. E proprio la nostra zanzara tigre nel 2007 fu la responsabile dell’infezione di circa 200 persone nel ravennate. La prima epidemia di Chikungunya sul territorio europeo: «Proprio in quell’anno vi fu una grossa epidemia nella zona dell’Oceano Indiano e probabilmente la malattia arrivò tramite un viaggiatore», ricorda ancora della Torre: «Sappiamo che maggiore è la circolazione di un virus più è facile che i focolai epidemici si sviluppino lì dove le condizioni lo permettono, complice il movimento di merci e persone».

Ma in Italia, soprattutto al nord, negli ultimi anni si è imparato a tenere d’occhio un altro fratello di Zika: il West Nile virus, che insieme a Zika e Dengue rientra nei cosiddetti arbovirus, virus trasmessi all’uomo attraverso artropodi, come le zanzare: «Si tratta di un virus ben noto in Europa, in quanto circola liberamente negli uccelli, ma occasionalmente può essere trasmesso anche ai mammiferi, soprattutto nei cavalli, dove, colpendo il sistema nervoso, causa una malattia neurologica grave, e raramente anche all’uomo», continua della Torre.

Nella nostra specie solo di rado causa complicazioni: il più delle volte l’infezione rimane silente, senza sintomi, ma può essere letale nelle persone anziane, spiega la ricercatrice. Stavolta però le Aedes non c’entrano: il principale vettore del West Nile virus è un altro insetto, anch’esso urbano, il Culex pipiens, la cosiddetta zanzara comune, che a differenza della tigre punge di notte. Alle zanzare Culex si fanno anche riferire la maggior parte dei casi di filariosiosi cardiopolmonare nei cani, una patologia che può essere fatale: «In questi casi il responsabile non è un virus, ma sono dei nematodi, dei piccoli vermi che possono incistarsi nel cuore o nei polmoni e compromettere le funzioni cardiache e respiratorie».

Non solo tigri
Zanzare tigri e comuni non sono certo le uniche specie presenti sul territorio nazionale. In Italia se ne contano una sessantina in tutto, per lo più rare perché confinate in ambienti particolari, come aree palustri o laghetti alpini. Di queste appena una ventina sono comuni e diffuse e ancor meno pungono l’uomo e sono di interesse sanitario.

Tra le innocue si ricordano per esempio la Ae.caspius, una zanzara che si riproduce nelle risaie dove raggiunge densità altissime con risvolti negativi per il turismo. Densità non sempre facili da stimare. La Regione Emilia-Romagna dispone di un sito di monitoraggio consultabile on line. Così si scopre, per esempio, che lo scorso giugno le zanzare erano più dello stesso mese di quest’anno. Bologna contava 250 uova per trappola nei monitoraggi bisettimanali, e Piacenza 413, numeri scesi rispettivamente quest’anno a 125 e 143. Stesso andamento a Torino, dove i rilevamenti parlano di 31 uova per trappola contro le 144 dello scorso anno.

Per scongiurare il rischio di punture i consigli sono sempre gli stessi, ricorda Di Luca: «Zanzariere, repellenti per uso topico, indumenti di colore chiaro e che coprano il corpo il più possibile, insieme all’uso di diffusori di insetticida a corrente elettrica o la vaporizzazione spray a base di piretro e permetrina, rimangono i consigli più appropriati per ridurre il rischio di punture e scongiurare così i pericoli di infezioni».

Ma alcune infezioni, come Zika, possono trasmettersi anche per via sessuale. Per questo l’Oms consiglia a coppie o donne provenienti dai paesi interessati dall’epidemia e in cerca di un bimbo di aspettare 8 settimane prima di provare a concepire e sei mesi se il maschio della coppia mostra sintomi riconducibili al virus.