Dallo schiacciamento della nutria alla labirintite del cinghiale: la lista di epidemie e prossime catastrofi è già pronta

Il vaiolo delle scimmie inaugura la stagione primavera-estate delle epidemie, in attesa dell’ondata virale dell’autunno-inverno, tradizionalmente più produttiva e ricca. Il vaiolo delle scimmie è una new-entry: ne sanno molto poco anche le scimmie, che per rappresaglia lo chiamano “vaiolo dell’uomo”. Tra l’altro, il virus non è affatto trasmesso dalle scimmie, ma dai piccoli roditori, come topi e scoiattoli. Perché dunque si chiama “vaiolo delle scimmie”?

 

L’ipotesi Secondo alcune fonti il virologo che l’ha scoperto, Hector Levi-Pumpkin, odiava le scimmie, alle quali attribuiva ogni possibile patologia. Le sue pubblicazioni scientifiche (“La lebbra delle scimmie”, “La gotta delle scimmie”, “L’otite delle scimmie”, “Gli attacchi di panico delle scimmie”) sembrano confermare questa tesi. Altri sostengono che Levi-Pumpkin sapesse benissimo che le scimmie non c’entravano nulla, ma volendo sfondare nei primi talkshow in bianco e nero, che già all’epoca si contendevano i virologi, decise che “vaiolo dello scoiattolo” non faceva abbastanza effetto. In un primo momento lo battezzò “vaiolo di King Kong”, poi per una diffida della Paramount ripiegò su “vaiolo delle scimmie”.

 

La zoonosi Come abbiamo imparato durante il Covid, quasi tutte le epidemie si diffondono per zoonosi, passando dall’animale all’uomo. Fa eccezione la peste suina, che passa dal porco al prosciutto, e dal prosciutto al telegiornale, coinvolgendo l’uomo solo in quest’ultimo passaggio. Meno studiate sono le malattie che l’uomo trasmette alle bestie (il processo si chiama, in questo caso, umanosi). Tra i casi più noti di umanosi: lo schiacciamento della nutria e la labirintite del cinghiale. Esaminiamoli entrambi.

 

La nutria Venne liberata anni fa da attivisti dei diritti degli animali, quando ancora si chiamava castorino e veniva utilizzata per fare pellicce talmente brutte che venivano spesso indossate dalle signore animaliste per dissuadere dall’uso della pelliccia. Le uniche pellicce di minor pregio, secondo gli esperti, sono quella di pellicano e quella di rana riciclata. Purtroppo la nutria, fuori dalla gabbia, cominciò a riprodursi in progressione geometrica. Essendo il suo habitat preferito la rotonda stradale, milioni di nutrie vengono spiaccicate ogni giorno dalle automobili. In qualche caso gli ultimi pellicciai in clandestinità, con il favore delle tenebre, tentano di scrostare dalla strada le nutrie, contendendole alle cornacchie. Ma nella maggioranza dei casi la loro fusione con l’asfalto, lungo certe ridenti strade provinciali della Pianura padana, è così intensa che alcune ditte producono un nuovo tipo di asfalto con nutria già incorporata. La lieve peluria lo protegge dal gelo e nelle frenate si consumano di meno le gomme.

 

Il cinghiale Fino a una trentina d’anni fa il cinghiale nostrano viveva, in numero contenuto, nei boschi dell’Appennino. Poiché la cinghiala faceva solo due o tre cuccioli per volta, un cacciatore del quale oggi si conosce anche il nome, Gino Grancoglione, ebbe la geniale idea di incrociare il cinghiale italiano con quello ungherese, la cui scrofa partorisce dieci-dodici lattonzoli a botta. Ed ecco che il cinghiale, centuplicato di numero, è passato dalla selva e dalle ghiande ai supermercati di Roma, dove si serve senza usare il carrello, terrorizzando le commesse, sostenendo di avere perso la carta di credito e ingoiando lo scontrino. Nel caso della nutria, come in quello del cinghiale, gli scienziati parlano di una unica sindrome riassuntiva, detta “cretineria dell’uomo”. Rispetto al vaiolo delle scimmie, la cretineria dell’uomo ha una carica virale molto più potente e una contagiosità ineguagliabile: si trasmette anche a distanza di migliaia di chilometri, basta un account Instagram, una pagina Facebook, addirittura un solo tweet. Non esiste vaccino, e i pochi soggetti immuni non sembrano in grado di contrastare l’epidemia.