Una nuova segnalazione sulla nostra piattaforma protetta mostra la fine in carcere di un alto dirigente del ministero del Culto. E ogni giorno tre persone nel paese scompaiono per non tornare più a casa

È morto abbandonato in una cella. Mentre l’intera prigione chiedeva soccorso a squarciagola. Le guardie sono intervenute due ore dopo. Quando ormai non c’era più niente da fare. Così se n’è andato Rifaat Radwan.

L’ultimo dei suoi sessant’anni l’ha trascorso sballottato da un carcere all’altro. Malato e mai curato. Quando l’Egitto non era ancora in mano al generale al Sisi, faceva il dirigente nel ministero del Culto. Una delle istituzioni più stimate del Cairo. La sua colpa è stata quella di non condividere il massacro del popolo dopo il golpe militare. È stato portato via dal luogo di lavoro e a casa non c’è più tornato.

La sua storia l’ha raccontata una fonte anonima a "l’Espresso" attraverso RegeniLeaks, la piattaforma accessibile anche in inglese e in arabo lanciata per chiedere verità per Giulio e per smascherare tutte le menzogne del regime egiziano.

È la terza segnalazione verificata arrivata nel giro di pochi giorni. Gli accessi sono migliaia. In tanti sfidano il terrore della repressione per raccontare la verità e chiedere giustizia. Quella giustizia che Radwan non ha mai ottenuto. La fonte anonima ha allegato alla segnalazione anche diversi documenti, tra cui un certificato medico che indicava chiaramente la grave condizione di salute del detenuto.

«Lavorava come dirigente generale al ministero del Culto ma non condivideva la linea politica dello Stato, basata su maltrattamenti, torture e uccisioni. Ed è ciò che lo ha portato all’arresto. Era tornato in ufficio dopo due mesi di malattia, aveva un’insufficienza epatica, e gli serviva un nuovo permesso per le cure. È stato arrestato l’8 dicembre 2014». Così riporta la denuncia che il whistleblower ha inviato a "RegeniLeaks", aggiungendo poi che «per oltre dieci mesi è stato trasferito da una prigione all’altra senza alcuna attenzione per le sue precarie condizioni di salute.

Il certificato medico allegato riporta chiaramente che era in grave pericolo di vita e che quindi doveva essere ricoverato. Le forze di sicurezza non hanno mai preso in considerazione la segnalazione e il 12 agosto 2015 è andato in coma epatico. È morto in prigione». Lo avevano accusato, tra l’altro, di appartenere a un’organizzazione terroristica e di progettare attacchi contro lo Stato per rovesciare il governo. Se fosse vissuto abbastanza l’avrebbero probabilmente condannato a morte.

Il decesso di Rifaat Radwan, avvenuto nel carcere di Abu Zaabal, trenta chilometri a nord del Cairo, ha innescato una serie di proteste e scioperi della fame da parte degli altri detenuti. Alcuni di loro hanno raccontato le sue ultime ore: «Le sue condizioni di salute sono peggiorate la mattina presto, per giorni le guardie avevano continuato a somministrargli solo antibiotici generici quando invece aveva bisogno di essere almeno visitato da un medico. Quando ha perso conoscenza gli agenti sono intervenuti con colpevole ritardo. Davanti alle nostre proteste hanno semplicemente detto che loro sperano nella nostra morte così si liberano di tutti noi», ha riportato il sito indipendente rassd.com.

La storia di Radwan è una delle tante che non vengono raccontate. Solo nel mese di maggio i morti accertati nelle prigioni egiziane per mancate cure sono stati undici. A questi si aggiungono i casi di tortura e di violenza. I dati forniti dalla ong El Nadeem dimostrano come il regime di al Sisi continui ad agire quasi indisturbato. L’attenzione mediatica del caso Regeni non è riuscita a intaccarlo. Chi non condivide la linea del dittatore sparisce.

A maggio ne sono scomparsi 93. La media è sempre quella: ogni giorno in Egitto tre persone non tornano più a casa. Finiscono nei bunker del regime. E sempre il mese scorso sono stati segnalati 103 casi di tortura. Gli egiziani giustiziati subito dopo l’arresto sono stati oltre quaranta. Due hanno perso la vita in un banale litigio con alcuni agenti di polizia. Loro fanno parte dei milioni di Regeni di cui nessuno si interessa.

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