"Dopo Snowden c'è una migrazione pazzesca verso il dark web che consente l'anonimato", spiega il professor Paolo Fabbri. Che al Festival della Comunicazione terrà una conferenza sulla "comunicazione al nero"
Quanto è profondo il web? E, soprattutto, quanto siamo sopraffatti dalla mole di informazioni che quotidianamente si riversano su di noi attraverso gli schermi con i quali viviamo ormai in simbiosi? Prendiamo qualche cifra: ogni giorno su Facebook vengono pubblicate 350 milioni di foto; mentre le pagine indicizzate sul web sono 30 miliardi e le email che circolano quotidianamente raggiungono la rispettabile cifra di 14 miliardi. Numeri da capogiro. E non è tutto. «Questa immensa nebulosa informativa è solo la parte in chiaro, conosciuta del web», afferma
Paolo Fabbri, docente di Semiotica dei Linguaggi specialistici alla Luiss di Roma, da anni studioso di crittografia. La rete è infatti anche il "non luogo" del deep web, "l'insieme della circolazione di fenomeni anonimi e criptati", secondo la definizione del professore.
Il deep web, una parte della rete ancora poco conosciuta dalla maggior parte degli utenti ma destinata a crescere nei prossimi anni, è al centro della conferenza che il professor Fabbri terrà in occasione del Festival della Comunicazione (Camogli, 8-11 settembre,
qui il programma in Pdf).
«Oggi la scienza dominante è la crittografia che permette di viaggiare anonimi nella Rete», spiega Fabbri. «Da quando Edward Snowden ha rivelato che siamo tutti controllati c'è stata una migrazione pazzesca di utenti verso il deep web. Si è creata una situazione delicata: gli Stati, abituati a controllare, non riescono più a seguire determinate tracce. Questo vale per gli stati totalitari, come la Cina, ma anche la Francia ha recentemente chiesto che in determinati casi si possa accedere alle conversazioni criptate. Così, come ha ben mostrato la recente vicenda che ha visto contrapposte la Fbi e la Apple, siamo giunti al paradosso che gli stati chiedono di poter penetrare i sistemi di comunicazione e le aziende private invece oppongono il rifiuto nel presunto interesse dei clienti».
Ma chi sono gli utilizzatori del deep web? «E' un mercato gigantesco, il vero mercato della globalizzazione dove si trova di tutto, anche scempiaggini: dagli scambisti alle persone che semplicemente non vogliono essere controllate, dai commerci di droga a quelli delle armi, dalla vendita di organi alla ricerca di assassini su commissione. A mio modo di vedere – dice il professore – è il capitalismo della globalizzazione portato all'estremo, dove perfino i pagamenti vengono fatti in bitcoin, una moneta che non lascia traccia: siamo all'interno di un immenso mercato nero».
Eppure anche il deep web, come la vita, non è tutto in bianco e nero. Al suo interno ci sono una infinità di sfumature, una condivisione di spazio dove i criminali convivono con i giornalisti, gli attivisti, i dissidenti, i whistleblower, come ha raccontato la giornalista Carola Frediani nel libro
Deep Web. La rete oltre Google (Stampa Alternativa 2016), un viaggio all'interno dei segreti di questo mondo poco conosciuto. «E' una zona franca, dove è fondamentale la libertà. Come tutte le tecnologie è reversibile: la tecnica non spiega niente, è innocente; la tecnologia, invece, può essere vantaggiosa da una parte e svantaggiosa dall'altra». Ma in ultima analisi, dovendo rispondere al quesito di Umberto Eco, che ha ispirato questa edizione del Festival della Comunicazione, "Pro e contro il web", dal suo osservatorio da quale parte si schiererebbe? «Se mi chiede una risposta secca, la mia risposta non può essere che: "Mi dispiace caro Umberto, non è vero che il web sia pieno di imbecilli"».