La chiamano 'medicina narrativa'. Stimola il paziente a esporre la sua patologia come una cronaca o una favola. E aumenta le chance di guarigione, abbreviandone i tempi

Raccontare una storia: la nostra. O anche inventarne una, per rappresentare la propria malattia. La narrazione, lo storytelling (come oggi è chiamata la capacità di raccontare quello che accade intorno a un evento e non solo l’evento stesso) è uno strumento in più in mano a medici e pazienti. Si chiama “medicina narrativa”, o “medicina basata sulla narrazione”, e si sta facendo strada fra le corsie degli ospedali, negli ambulatori degli specialisti e in Rete, nelle comunità di pazienti o nelle bacheche delle associazioni.

L’idea è quella di raccogliere i diversi punti di vista da cui si può guardare un percorso di cura: ci sono i medici e i pazienti, ma anche i famigliari, quelli che stanno accanto al malato a vario titolo, gli infermieri. L’obiettivo è migliorare la cura. E ci si riesce: dal momento della diagnosi a quello della scelta della terapia, e per tutto il percorso successivo.

Lo dimostrano, per esempio, gli esperimenti che mettono a confronto la somministrazione di un farmaco contro il dolore da parte di un medico che ne spiega l’azione con quella fatta da un computer. Il risultato è che nel primo caso l’effetto antidolorifico della medicina è maggiore. Perché l’atto di cura non si esaurisce nel far deglutire una compressa, ma veicola molti stimoli sia di tipo fisiologico sia psicologico. «Il rituale dell’atto terapeutico facilita la produzione di neurotrasmettitori che attivano gli stessi recettori sui quali agiscono farmaci come, per esempio, l’aspirina», ha spiegato Fabrizio Benedetti, professore di Fisiologia Umana e Neurofisiologia dell’Università di Torino e all’Istituto Nazionale di Neuroscienze, durante il Convegno Nazionale di Medicina Narrativa di Foligno promosso da USL Umbria2 e Osservatorio Medicina Narrativa Italia (Omni). Così anche un atto che può apparire meccanico come la somministrazione della cura diventa parte integrante della terapia fino a influenzarne l’esito.
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La narrazione ha infatti la forza di modificare gli atteggiamenti e di conseguenza l’efficacia di una cura, come dimostra il progetto portato avanti nel centro di Sclerosi Multipla dell’Ospedale di Gallarate, in provincia di Varese: qui i pazienti sono diventati più diligenti e seguono meglio la terapia. Merito della “cartella clinica integrata”: una raccolta di informazioni sulla vita del paziente che emergono durante le visite, dalle sue abitudini alle relazioni che intrattiene, i problemi a casa o sul lavoro, i suoi stati d’animo. La cartella, che affianca quella tradizionale, è condivisa fra tutti gli operatori e ognuno può inserire gli elementi che ritiene importanti sulla persona e la sua storia. Dopo un anno i sanitari hanno chiesto ai pazienti di valutare questo nuovo servizio attraverso un questionario ed è così emerso che la medicina narrativa non solo aveva aumentato la fiducia e la soddisfazione dei pazienti ma anche che i malati avevano seguito la terapia più scrupolosamente. E questo vuol dire avere migliori risultati.

ROMPERE L'ISOLAMENTO
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Un paziente che si sente ascoltato, quindi, diventa parte più attiva del percorso di cura. Un elemento importante, soprattutto quando le terapie sono lunghe e difficili da gestire. «L’ascolto della storia personale del paziente, diversa da tutte le altre nonostante la comune condizione di patologia, è il punto cardine che consente al paziente di essere coinvolto e proattivo», dice Roberto Labianca, direttore del Cancer Center dell’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Papa Giovanni XXIII, Bergamo.

La formazione è così importante in questo campo che l’Associazione Italiana Oncologia Medica ha appena lanciato la seconda edizione di AIOM-HuCare, una scuola per l’umanizzazione delle cure: il personale di 43 reparti oncologici sparsi su tutto il territorio nazionale andrà a lezione per imparare a migliorare la comunicazione con pazienti e famiglie.

D’altronde in Italia la medicina narrativa può contare sull’avallo dell’Istituto Superiore di Sanità: «Abbiamo iniziato con le malattie rare perché ognuna di queste oltre 5 mila patologie colpisce pochissime persone e quindi rappresenta un vissuto di solitudine e isolamento», dice Amalia Egle Gentile, responsabile scientifico del progetto e referente del Laboratorio di Medicina Narrativa del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Iss.

Dal lavoro di revisione promosso dall’Istituto sono nate nel 2014 le linee guida, che definiscono che cosa è la medicina basata sulla narrazione e a cosa serve. Gli strumenti che si possono usare sono diversi a seconda del contesto ma due criteri devono essere comunque soddisfatti: lasciare libero l’intervistato di usare la modalità narrativa che preferisce e finalizzare il racconto ad avere un risvolto operativo sulle cure.

ANONIMI MA AMICI
A volte, però, il paziente non sa bene come cominciare a parlare di sé. «Mi piacerebbe molto saper raccontare la mia storia, ma ho paura di iniziare». «Non so come affrontare il foglio bianco, temo di non trovare le parole giuste»: sono alcuni dei timori raccolti nella pagina Facebook del più grande esperimento online di medicina narrativa in Italia, “Viverla Tutta”, un progetto nato nel 2011 con il finanziamento di Pfizer che ha coinvolto l’Iss e molti esperti della materia.

Per aiutare chi ha voglia di raccontare la propria storia quest’anno il progetto si allarga a comprendere anche la Scuola Holden, che metterà a disposizione i consigli dei propri esperti per narrare al meglio le proprie esperienze. «Il nostro obiettivo è quello di formare dei narratori consapevoli: che siano scrittori, giornalisti, registi, qualunque sia il mezzo scelto abbiamo a cuore che i narratori abbiano coscienza del proprio ruolo nel mondo», sottolinea Martino Gozzi, direttore didattico della scuola.

«Con questo spirito abbiamo accettato di aiutare chi vuole raccontare la propria esperienza di malattia a farlo in modo efficace, così che arrivi al pubblico e lo emozioni». I segreti della scuola di Alessandro Baricco sono dispensati in cinque video tutorial disponibili sul sito della campagna: come iniziare, scegliere una voce narrante, trovare un ritmo, il tempo e ovviamente come finire. Tutti sono invitati a lasciare la propria storia e le migliori verranno “lavorate” dagli esperti della Scuola per poi essere pubblicate in un libro che uscirà in autunno.

“Viverla Tutta” ha già raccolto più di 4 mila storie che grazie a Facebook sono diventate un patrimonio condiviso di una comunità che ha superato le 12mila persone. «Il digitale consente a pazienti e caregiver di entrare in contatto con altri in maniera diretta, intima», spiega Cristina Cenci, antropologa, direttore del Center for Digital Health Humanities. «L’uso dei nickname fa sì che ci sia intimità sebbene in anonimato, che si possa entrare in sintonia con l’altro preservando il sé, che invece in incontri faccia a faccia potrebbe essere messo alla prova».

È il confronto fra pari, fra chi vive la stessa esperienza o una simile, che rende la comunicazione sul Web così importante e che ha, in qualche modo, rivoluzionato anche il modo di relazionarsi con i medici. «Nella storia della medicina non era mai successo che la relazione fra medico e paziente, asimmetrica e top down, potesse essere cambiata. Il digitale invece lo fa, ridefinendo ruoli e modi», conclude Cenci. Sarà anche per questo che la medicina basata sulla narrazione sta entrando così prepotentemente nella pratica clinica.